Tommaso Colliva - Il lavoro del produttore

Ha prodotto dischi molto importanti, ci racconta l'ultimo dei Ministri, ma anche quelli di Afterhours, Dente e Zeus. Più che tutto, ci racconta la musica italiana: perché non riesce ad andare all'estero, perché non c'è lo showbusiness, perché siamo troppo artisti. L'intervista a Tommaso Colliva.

Tommaso Colliva
Tommaso Colliva - Tommaso Colliva

Ha prodotto dischi molto importanti, ci racconta l'ultimo dei Ministri, ma anche quelli di Afterhours, Dente e Zeus, lavora tutt'ora con i Muse. Più che tutto negli anni ha maturato un'idea decisamente chiara sulla musica italiana: i pregi, i difetti, i limiti del mercato. E nonostante un periodo a Los Angeles, nonostante lavori con i Muse, resta convinto che l'Italia sia un buon posto dove lavorare. L'intervista a Tommaso Colliva.

Riesci a raccontarmi la tua carriera in poche righe?
Vengo da La Spezia. Sono cresciuto nell'ambito hip hop, a quattordici anni ho venduto un sassofono e ho comprato un campionatore. Facevo beat, un po' il dj, è un attimo quindi che ti butti sul funk, non ho ascoltato una chitarra distorta fino ai 18 anni (ride, NdA). Ho lavorato a un po' a Radio Popolare di Massa Carrara, poi mi sono trasferito a Milano per fare la Sae, la scuola per tecnici del suono. Mentre finivo la Sae ho avuto modo di entrare nelle Officine Meccaniche di Mauro Pagani, finite le due settimane di stage gli ho detto: io ho un contratto d'affitto per tutta l'estate, se vi va bene rimango qua. Era il 2002, ci sono rimasto quattro anni. Nel frattempo ho iniziato a lavorare con gli Afterhours, contemporaneamente avevo partecipato da assistente alla registrazione di “Black Holes and revelation” dei Muse. Poi nel 2006, era il periodo in cui gli After dovevano andare in America, sono andato con loro. Al ritorno ho lasciato le Officine e mi sono messo a fare il free lance. Ho fatto dischi in vario modo, ho avuto prima uno studio a Milano, in via Certosa, poi sono stato sette mesi negli Stati Uniti, adesso ho preso uno studio qui in via Brioschi. 

Hai un preciso metodo di lavoro?
Dipende, io faccio dei dischi molto diversi l'uno dall'altro. Ci sono dischi che durano 9 mesi e dischi che faccio in 10 giorni. Quello degli Zeus l'ho fatto in 4 giorni di registrazione e 4 di mix, punto. E a me piace tantissimo. Dipende molto... ci sono band che hanno bisogno di essere guidate e altre che sanno cosa vogliono, e allora applichi una grande lezione che mi ha dato Mauro Pagani, ovvero che alla fine la metà del lavoro di un produttore è tenere lontano l'artista dai suoi difetti. Più che istradarlo su cose nuove è meglio tenerlo vicino a cosa sa fare meglio, poi se serve lo stimoli anche a far altro.  non mi ritengo un produttore impositivo...


Lavori con i Muse, c'è così tanta differenza tra un loro disco e quello dei Ministri?
Io ho co-prodotto alcune cose dei Muse ma più in generale mi occupo di altro, gestisco tutto il processo di registrazione. I Muse tempo fa, dopo “Black Holes and revelation”, hanno deciso che si sarebbero prodotti da soli. E un gruppo come i Muse, che sta in tour 18 mesi l'anno, non ha tempo per fare nient'altro: non sanno come funzionano gli altri studi e non vogliono neanche saperlo, giustamente. E' il mio lavoro occuparmene, io gli devo dire: tu hai in mente una cosa, spiegamela molto bene, capiamo come realizzarla. In effetti con i Ministri non è stato così diverso perchè Federico Dragogna è anche un produttore, ha già prodotto il disco degli Iori's, ha imparato a smanettare. Sono riusciti a fare una pre-produzione in salaprove, con tutte le parte scritte bene e messe a clic, il mio compito è stato quello di dargli una direzione.

Quindi è solo il budget a fare la differenza?
C'è una differenza abissale di budget, i Muse vendono 5 milioni di dischi, è ovvio che ci sia. Non è tanto una questione di macchinari usati, cambia il tempo: con i Ministri abbiamo fatto 10 giorni di registrazione, 10 di overdub, 10 di missaggio. Con i Muse facciamo mesi e mesi di registrazione, e non è detto che siano tutti utili. Il punto è che quando hai un budget simile, ed è questa la cosa veramente figa, ti puoi permettere di sbagliare. Vuol dire, ad esempio, produrre e registrare il pezzo tre volte in tre studi diversi e poi scegliere la versione che ti piace di più, oppure prendere il pezzo e costruirlo passo passo, aggiungere delle programmazioni elettroniche o dei synth, per poi arrivare ad un punto e dire: no, preferisco senza. E butti via tutto.

Con i Ministri come hai lavorato?
Io conosco Fede ma non siamo amiconi, giusto per contestualizzarti un attimo il quadro. Lui voleva un disco autogestito, che fosse interamente dei Ministri. Per fare un disco così identitario non puoi prescindere da cosa sono i Ministri dal vivo. Sono tre ottimi musicisti, bravissimi a fare quello che fanno. E un disco rock molto diretto.

Gli ultimi due dischi, "Tempi Bui" e "Fuori", mi davano l'impressione che i Ministri non avessero ancora trovato una loro identità in studio?
Erano dischi molto prodotti, un'altra cosa rispetto a quello che sono dal vivo. Come dici tu, stavano cercando una loro identità in studio, noi abbiamo cercato di restituire l'identità che hanno sul palco o in salaprove.

Non sono ritornati al suono del primo disco solo perchè non sono mai riusciti a trovarne un altro in studio?
No, lo stai vedendo molto più pensato di quello che in realtà è. Ogni persona fa dei percorsi, all'inizio ti poni il problema di come entrare in studio ma col tempo arrivano anche altre sfide, il confronto con il pubblico ad esempio. Arrivi anche a capire che tante cose credevi ti pendessero sopra la testa alla fine non sono così necessarie. Io ne ho riprova con il mio gruppo, i Calibro 35. Ad esempio, avere un singolo: al primo disco dei Calibro abbiamo messo un pezzo cantato perché credevamo fosse obbligatorio. Poi ti fai le tue esperienze, ti guardi intorno e dici: ma anche no. Ti accetti di più per quello che sei e capisci che la tua forza è in un certo modo; l'identità di gruppo, tre persone che spingono nella stessa direzione, è una cosa molto importante.

E' importante il confronto con il pubblico?
La musica è comunicazione, e penso che negli ultimi 10 anni sia diventata una cosa evidente. Come tutti i processi di comunicazione devi tenere presente a chi ti rivolgi. Anche solo per evitare frustrazioni. E' inutile che scegliamo di lavorare in un certo modo per poi dire: nessuno ci ha capiti. Ci dovevamo pensare prima. Ci sono dischi in cui questa cosa non si mette in conto, punto. E' un'assunzione di responsabilità forte, credimi, non tutti sono in grado di farla.


 

Anche gli Zeus si pongono il problema?
Si, ad esempio: la musica degli Zeus prevede una certa preparazione tecnica, funziona solo se l'esecuzione è perfetta, e se non lo è un certo pubblico potrebbe accorgersene. E' una cosa a cui puoi dare peso o meno, è una tua decisione, ma devi comunque considerarla.

A volte sembra quasi un tabù. Non sai quanti musicisti sviano la domanda, o si offendono quando gli chiedi se tengono in considerazione chi li ascolta.
Non è facile. Tu hai una tua identità e te la senti dentro, ma una volta che diventi un personaggio popolare, che ti piaccia o meno, assumi l'identità che ti attribuisce il tuo pubblico. Accettarlo è veramente molto più profondo che una seduta da uno psichiatra, credimi.
Io ho la convinzione che essendo europei, in particolar modo Italiani, abbiamo ancora una visione molto artistica della musica. Capita spesso che una una band italiana agli inizi si lamenti del locale che gli chiede: quanto pubblico mi porti? E la band: oddio, sei tu che mi devi fare promozione, trovarmi un pubblico, io sono l'artista. Le band anglosassoni partono con il presupposto che se non capisci chi è il tuo pubblico non hai un motivo per fare il musicista.
E' una consapevolezza nuova per l'Italia, direi degli ultimi 10 anni. Prima c'era tanto mercato che permetteva all'artista di non preoccuparsi del meccanismo base per cui se vendo X biglietti guadagno X soldi. Il pubblico c'era, era tanto, aveva solo determinati canali attraverso scoprire la musica, erano dei grossi imbuti e se tu eri nell'imbuto vendevi. Non parlo di super band, 100.000 copie negli anni 90 erano cifre raggiungibili. Ora gli imbuti non ci sono più, la gente trova la musica diversamente.

Facebook ha cambiato anche il tuo lavoro?
Non solo Facebook ovviamente, ma si, ha cambiato il modo di percepire la musica. Dal punto di vista culturale lo trovo profondamente positivo, dal punto di vista economico ha messo in luce come prima tutto fosse dopato, non so come spiegarti, c'erano dei media che decidevano per te cosa ascoltare. Ora lo decidi attraverso i suggerimenti dei tuoi amici, o presunti tali.

E il crollo della discografia?
Ti dico, molto di più l'ha fatto Myspace. E' stato il momento in cui tutti gli artisti si sono dovuti confrontare con il fatto che il mondo è pieno di gente che spacca il culo. Myspace è stato molto democratico: non importa che tu sia inglese, americano, o altro. Ovvio per alcuni paesi è più difficile ma, di base, è stato un processo molto democratizzante.

Un po' di tempo fa Teho Teardo ha scritto un lungo status di Facebook dove citava un'appello degli Swans sul non caricare la musica in rete. Da produttore che ne pensi?
Capisco la sua posizione. La rete offre grandi poteri, e viene facile citare l'uomo ragno, grandi responsabilità. Il passaggio che manca è il rapporto diretto tra artista e il suo pubblico. Ad esempio, in America supportano di tutto: tu puoi comprare la calamita da frigo con scritto "supporto la lotta la cancro", o "le nostre truppe in Iraq", terribile, "la squadra di basket di mio figlio". E un gadget che compri e paghi di più del suo valore reale perchè sai che quella cosa va a supportare una cosa che ti piace. Una band si sente responsabilizzata se tu la supporti, e questo link diretto artista-pubblico non lo trovo nella storia italiana che conosco. Storicamente i concerti che hanno sempre pagato di più erano le feste in piazza. L'assessore del piccolo comune, tolto quando si intasca i soldi, è interessato ad avere un cartellone culturalmente vario, non gli interessa che la band valga in base a quanti partecipanti ci sono. Alla fine è il mecenatismo che ci portiamo dietro dal rinascimento e secondo me con la crisi, oggi, nessuno può permettersi il mecenatismo.
Hai però la possibità di sperimentare altre strade. Ad esempio, per i Calibro dovevamo decidere se investire 1500 euro a fare un video e veicolarlo sui soliti canali. Tra l'altro avevamo fatto la scelta di non avere un'etichetta discografica e di non vendere le edizioni del disco, quindi rinunciavamo a due pilastri di finanziamento sostanziali. Ad un certo punto non ce la facevo più a fare tutti questi ragionamenti sui soldi e ho detto: 'sticazzi, proviamo a vendere il disco a un euro per due giorni. Ho avuto 3000 download, la notizia mi ha fatto più pubblicità di quanto avrebbe fatto un video, e sono sicuro che sia venuta molta più gente ai concerti. Secondo me l'idea di base del creative commons era giusta, facciamo girare le cose, ma decidiamo delle regole che responsabilizzino chi le fa girare. Da qui a dire di non caricate la musica in rete...

E quando dice che l'mp3 priva totalmente l'esperienza del suono?
Completamente d'accordo. Ti faccio un esempio: esce "In rainbows" dei Radiohead, lo pago 2 sterline e me lo scarico, ordino anche il cofanetto fuffa. Ascolto gli mp3 la prima volta e non mi piace, alla seconda pure, dico pazienza, può capitare che un disco non ti piaccia. Arriva il confanetto e il cd mi fa tutta un'altra impressione.

C'è così tanta differenza anche tra il cd e l'mp3 a 320 kbps?
Ci sono dei begli articoli a riguardo, i confronti non sono così indicati per capire la qualità. Se tu prendi un mp3 e una traccia ad alta risoluzione, a meno che tu non abbia uno stereo importante, puoi non sentire la differenza. Il problema è che se ti abitui ad ascoltare musica con una ridotta gamma dinamica, gli mp3 appunto, educhi il tuo cervello a cose diverse. Finchè la Apple si riempie la bocca del suo Mastered For Itunes....

…non so minimamente cosa sia.
L'anno scorso per il disco dei Red Hot Chili Peppers Apple ha lanciato il Mastered For Itunes, in pratica ha inventato un programma che permette ai fonici di fare una preview e ottimizzare il suono per Itunes. E' come se Apple dicesse: il nostro è un formato di merda, non suona bene quanto un cd, non cambiamo il formato anche se le tecnologie ce lo permetterebbero ma diamo a te fonico uno strumento per adattare il suono del tuo disco al fine che suoni un po' meglio sul nostro formato di merda. La maggior parte delle persone che ascoltano musica ha un iPhone e due iPod, capisci che queste cose non le combatti con dicendo “per favore non caricate la musica su internet”, le combatti facendo informazione, cercando di far capire a chi ascolta in cosa consiste il tuo lavoro.

Ritorniamo al tuo lavoro, quanto è importante il testo in una canzone?
Io sono uno... è troppo dipendente dal progetto, ci sono progetti dove il testo è la cosa, dove tu sei qualcuno che mi sta raccontando una cosa e io ci devo credere. Quello di Dente è un disco del genere, il compito è trovare ai testi un buon posto dove vivere.

 

Pregi e difetti di Dente?
Ha una forte identità, ti bastano poche parole e capisci che è Dente. L'altro lato della medaglia è facile intuirlo, rischi di essere sempre e solo Dente. Ma devo dire che ho finito da poco di mixare una canzone che ha fatto per una colonna sonora di Fabio Barovero, e mi ha stupito perché è riuscito a calarsi un contesto diverso. Mi è piaciuto molto.

Qual è la ricetta per la canzone d'amore che funziona?
Dovresti chiederlo agli Zeus (ride, NdA). La cosa fondamentale è: se tu mi racconti una cosa io ci deve credere, non devo percepire falsità o insicurezze. Da questo punto di vista uno degli artisti più belli con cui ho lavorato è Massimo Ranieri. Può cantarti qualsiasi cosa e tu ci credi, e non perchè sia emotivo o si metta a piangere in studio, semplicemente perchè è molto bravo a farlo, è molto attoriale. Non esiste la vergogna per il “sono teatrale”. Certo che devi essere teatrale, porco giuda, sei su un palco.

Gli americani invece la teatralità ce l'hanno nel dna...
...gli americani sono tutti “napoletani” (ride, NdA). Se hai una cultura che è basata sullo show business, sul no shame, se io sono Justin Timberlake e ti faccio la parodia di Beyoncè al Saturday Night Live, è semplicemente lo show, finisce insieme alla trasmissione, non si carica di chissà quali altri significati, è show business. E lo stesso discorso vale per l'uso del corpo o del sesso. Nello show busines mostrare il corpo, essere provocanti anche da un punto di vista sessuale è permesso. Ed è permesso anche in italia, Belen con la farfallina fa scandalo ma nessuno le dice niente. La mia idea, però, è che in Italia la musica non faccia parte dello show business, fa parte dell'art business dove le regole non sono quelle, l'arte non si macchia di questa cosa, magari si macchia con “Sodoma” di Pasolini, ma altrimenti è volgare, è greve. Non c'è una via di mezzo, passi subito a Anna Tatangelo che fa le pubblicità di Coconuda nelle pause di Sanremo, che non è uno show, è un altra cosa, è gossip. Ovviamente non è facile stabilire la linea di demarcazione delle due cose.

Più in generale, l'Italia regge il confronto con l'estero?
Ci sono gruppi molto validi. Purtroppo i gruppi Italiani sono inseriti in un mercato molto più piccolo, ti fai un culo così a raggiungere quella dimensione che ti fa campare, campare, non diventare ricco, in vita mia ne ho conosciuti pochissimi che si sono arricchiti con la musica. A questo aggiungi che è difficile uscire: fuori hai l'Europa, ovvero dieci mercati differenti. Il disco dei Calibro esce in Europa questo mese con Rough Trade, l'ufficio stampa dove lo prendiamo? In Francia o Germania? Quando il disco è uscito in America avevamo un'ufficio stampa solo che ci faceva tutta l'America, per dire.

Perchè hai scelto di rimanere a lavorare in Italia?
Non lo so (ride, NdA). Sono cresciuto qui. E poi una delle cose che non mi era piaciuta di Los Angeles è che è molto compartimentata, è nella loro cultura, se diventi quella roba lì farai sempre quella roba lì. Io soffro la noia, è un mio problema, non posso passare la vita a fare sempre lo stesso disco cambiando solo le virgole di volta in volta. Sono molto fortunato ad avere i Muse o Greg Dulli & Twilight Singers, perchè ti dà la possibilità di lavorare anche con dinamiche non italiane ma al tempo stesso impari a non deificare l'estero, le dinamiche di merda ci sono ovunque, non è che se girano più soldi siano più belle, semplicemente girano un po' più soldi...

 

Com'è lavorare con Agnelli? Immagino non sia facile gestire una personalità così forte.
Ci siamo scontrati più di una volta, siamo molto simili, siamo tutti e due zucconi.

In un intervista ha definito “Padania” un disco focalizzato, cosa vuol dire?
Per la prima volta non è stato registrato dal vivo, come hanno sempre fatto. Si è lavorato per trovare i tasselli che andassero bene insieme. Prima gli After, almeno da quando li conosco io, la pre-produzione la facevano con una serie di registrazioni ambientali fatte in salaprove, per “Padania” hanno usato un multitraccia. Ognuno poteva risentire e lavorare individualmente sulla sua parte. Siamo arrivati in studio con degli ingredienti ben precisi, dovevamo solo più cucinarli. E per quanto sia un disco eclettico, ha tante cose a suo interno, è un disco in cui tutti i pezzi fanno parte di un unico progetto, nessun pezzo potrebbe appartenere a “Quello che non c'è” o ai “Milanesi...”

Pregi e difetti degli Afterhours?
(Lunga pausa, NdA) Ha veramente voglia, Manuel è uno di quelli che ha proprio la missione in testa, e non è facile, non è facile portare avanti in maniera così decisa l'idea di una band, come non è facile per gli altri convivere in una band che ha una storia così. Mi ricordo quando Andrea Viti se n'era andato e c'era il problema di trovare il nuovo bassista, suggeriscimi tu un bassista per gli Afterhours, chi ci mandi? Non puoi mandare un ragazzino ma nemmeno un turnista perchè con gli After non c'entrerebbe niente. Il loro pregio è di aver investito tutto sulla loro identità. Può piacere o no ma non si può non riconoscere agli After di avere una personalità, hanno un loro gusto. Ovviamente è anche il loro difetto, è una band solo basata su quella cosa lì.

 

Ultima domanda, che rapporto hai con la televisione? Enrico Gabrielli mi ha raccontato che l'esperienza dei Calibro da Fabio Volo è stata decisamente impegnativa.
E' stata una grossa sfida. La televisione è un ambiente molto particolare dove tu hai un ruolo ben preciso. Per molti versi eravamo il gruppo adatto, ci chiedi una determinata musica? La facciamo. Ci è servito un minimo di tempo a trovare il nostro spazio, all'inizio eravamo un po' impauriti, vedevi tutte queste persone che lavoravano, avevi quasi il timore di uscire dal tuo angolino, alla fine sei un elemento di un qualcosa più grande, non è il tuo concerto. Passate un paio di puntate abbiamo trovato la nostra dimensione. Secondo me la chiave di tutto è stata non cercare l'esposizione mediatica, non era il nostro show dovevamo solo fare molto bene il nostro lavoro. Non era facile, essere sotto contratto per tot mesi per un lavoro di attese massacranti, stavi negli studi Rai dalle 3 del pomeriggio alle 8 di sera per suonare una cosa come 8 minuti. Temevo che ci saremmo spaccati, tipo che alla fine ci odiavamo e scioglievamo il gruppo, invece ne siamo usciti abbastanza bene.

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L'articolo Tommaso Colliva - Il lavoro del produttore di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2013-02-25 00:00:00

COMMENTI (13)

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  • severo06 8 anni fa Rispondi

    complimenti

  • twelverecords 11 anni fa Rispondi

    molto bella e interessante..

  • ivanilterribile 11 anni fa Rispondi

    Ma questo chi crede di essere?

  • IlRagazzoDel99 11 anni fa Rispondi

    Interesting

  • dabeat 11 anni fa Rispondi

    migliore intervista da molti giorni in qua - capita di rado di avere un punto di vista intelligente e non esterofilo da parte di chi ha avuto esperienze di spessore fuori dai confini classici

  • utente49563 11 anni fa Rispondi

    Bravi.
    Bell'intervista, ha detto tante robette intelligenti.

  • TheBrownSpacebob 11 anni fa Rispondi

    Grande Tommaso, mi pare un ottima analisi....
    Mr. Battle ma i m66r6 in che formazione li vedremo dal vivo?

  • retrolover 11 anni fa Rispondi

    in compenso, grande intervista ;)

  • retrolover 11 anni fa Rispondi

    @jac.battaglia

    poveri muse...18 mesi l'anno in tour

    ahaha, finiti i 12 tornano indietro nel tempo e ne fanno altri 6 :D

  • worlich 11 anni fa Rispondi

    Bella! Altra roba del genere, please.