Abbiamo intervistato Alessandro Raina per farci raccontare un talent show come X Factor dal punto di vista di qualcuno che ci ha lavorato: ci ha raccontato della forza della lobby gay, della presunzione e del talento, che è nascosto ma c'è. Una lunga lettura che vi chiarirà le idee su come funzionano le cose in tv, e dentro le etichette major.
Iniziamo subito andando dritti al punto: X Factor. Com'è iniziato tutto, e che impressione ne hai avuto?
Premettiamo che io X Factor non l’ho mai seguito. Ho seguito solo l’anno in cui vinsero gli Aram Quartet e Giusy Ferreri arrivò seconda e la stagione di Mengoni. Mai e poi mai mi sarei immaginato di arrivare in quell’ambito se non come autore, ma non per un atteggiamento snob. Non sono mai stato critico verso questo genere, magari di più verso Amici, che però paradossalmente ho seguito di più per capire come funzionassero le lezioni di canto.
Quindi sono approdato a X Factor di punto in bianco, quando mi arrivò questa chiamata da Giulio Mazzoleni, un ex collaboratore della Universal che nel frattempo era entrato nello staff di Mika, il quale si ricordava di me perché avevamo fatto insieme la promozione dell’ultimo disco degli Amor Fou, in particolare una cosa che avevamo fatto per Vanity Fair. Quando a X Factor si è deciso di inserire queste nuove figure, i producer, lui ha proposto uno come me che nell'ambito era un elemento nuovo, un po’ diverso, che veniva da un ambiente molto più alternativo degli altri proposti, più giovane e con un’attitudine magari più “internazionale”, credendo quindi che a Mika potesse piacere questa cosa. Nella realtà in effetti è andata così, senonché quando sono andato a fare il mio colloquio al Forum di Assago nel mese di agosto, me ne andai furibondo perché il tutto durò tre minuti dopo una attesa di 4 ore, con Mika che mi dava le spalle preparando un tè e io che cercavo di riempire questi vuoti imbarazzanti. Dopo di me entrò Bertallot, rimase dentro 40 minuti e uscì abbracciato a uno degli autori, quindi per me l'esito era abbastanza chiaro, ma mi sbagliavo.
Che tipo di colloquio è stato?
Mi hanno chiesto cosa non avesse funzionato l’anno prima secondo me, cosa ne pensavo di Mika e cosa ne pensavo delle sue scelte. Io gli ho spiegato semplicemente cosa ero capace di fare e cosa non ero assolutamente in grado di fare... quindi nel caso in cui mi fosse venuto in mente qualcun altro che potesse fare meglio di me, glielo avrei consigliato. Però, sulle cose che mi sentivo di saper fare, ero abbastanza sicuro di esser la persona giusta. Quindi ho detto a Mika che non ero un suo fan, che avevo sentito sì e no 2 o 3 suoi pezzi, e che quindi da parte mia non ci sarebbe mai stato un atteggiamento adorante o servile. Ho pensato sarebbe stato meglio dire la verità, senza cercare di fare il figo, anche se sinceramente ero molto fatalista perché pensavo che sicuramente gente come me non sarebbe andata bene per un contesto come quello di X Factor. Invece mi hanno chiamato dopo quasi due mesi, dicendomi che in realtà Mika non aveva più sollevato la questione perché aveva già deciso di prendere me (anche se questo non l’aveva capito nessuno), cosa che mi rivelò in un bellissimo incontro di due ore a casa sua in cui gettammo le basi della nostra collaborazione. In realtà nemmeno loro avevano chiarissimo in mente cosa dovesse fare un producer all'interno del programma; per loro è stato un esperimento legato al fatto che avessero necessità di affiancare i giudici con persone musicalmente competenti e con un'età più vicina ai ragazzi, che sembrassero meno dei maestri, e che potessero interfacciarsi sia col giudice che con la macchina che produce le basi dei pezzi. Devi immaginare che X Factor è una grande città con tanti reparti che non sono in grandissima comunicazione tra loro, poi c’è il loft dove sono i ragazzi che è un mondo parallelo. A un certo punto tutti si interfacciano con tutti, e questo poi determina dei mega assembramenti al semaforo: per questo hanno cercato delle figure che potessero parlare in modo autorevole innanzitutto con i giudici (che sono come degli dei, a cui tutto è concesso e tutto possono decidere) poi con gli autori e che infine che passassero del tempo con i ragazzi tutti i giorni, ma non fossero dei vocal coach.
Quindi nella pratica di tutti i giorni, il tuo compito qual era?
Lavoravo con i ragazzi, seguivo le prove a volte da solo a volte con le vocal coach. A un certo punto siamo diventati come dei fratelli per loro, perché lavoravamo comunque cinque o sei ore al giorno per preparare le canzoni della puntata successiva; però poi tutti i concorrenti tiravano fuori altri problemi: avevano i dubbi, volevano ritirarsi, non trombavano, oppure avevano iniziato a non capire più da che parte stavano… insomma erano stressati. Quindi io dovevo fondamentalmente stare lì, ascoltarli e decidere quando dovevano fermarsi o quando dovevo cazziarli.
Quindi da parte tua c’era sia un supporto artistico sia psicologico.
Super psicologico! Anzi da metà in poi più psicologico che artistico… perché questi ragazzi venivano dalle scuole di canto o dal piano bar, da progetti loro che non sono mai partiti del tutto, per cui alla fine avevano ripiegato sulle cover, oppure erano proprio ragazzini senza alcuna esperienza: c’è stata gente come Ilaria, che è passata direttamente dalla scuola di musica alla tv, quindi senza neanche aver mai cantato dal vivo prima di X Factor. A questi ragazzi devi anche un po’ raccontare cosa è la musica, o perché si scriva un certo tipo di canzone.
Quindi le persone che vengono selezionate dai talent show non sono dei musicisti, né degli artisti… sono principianti totali?
Alcuni sono dei musicisti: ad esempio Lorenzo Fragola, il ragazzo che ha vinto, è un musicista e anche bravo che suona duemila strumenti per passione, però nessuno di loro ha una grande idea di cosa voglia dire fare l’artista. Quindi chi magari è educato e più positivo prende il talent come una sorta di università: studia, e ti ascolta. Non capita spesso di poterti relazionare con mega artisti, insegnanti con alle spalle 30 anni di carriera e popstar internazionali: se uno lo prende così è veramente uno stage ultraformativo. Invece quelli che arrivano lì credendo che tutto sia una macchina costruita per lanciarli, ovviamente si perdono tantissimo… che vincano o che arrivino ultimi, è chiaro che se poi non abbiano un pezzo di grande successo il loro percorso è probabilmente un episodio. Mentre alcuni capisci che sono strutturati, scatta qualcosa per cui anche tra squadre, tra tutti, c’è la percezione di chi meriti davvero. È una cosa abbastanza naturale: prendi ad esempio Lorenzo, il terzo giorno che son stato lì dentro sono andato dal suo producer che è Fausto Cogliati, lo stesso di Fedez, e gli ho detto “guarda, sarà una coincidenza ma al contrario di altri, lui non l’ho mai visto cazzeggiare, suona e canta sempre”. In realtà questa è una sorta di selezione, se hai questa forma mentis, riesci. Se hai dei requisiti che "matchano" con quell'ambito lì, che è quello della ricerca di un interprete, puoi avere i presupposti per un grande successo, altrimenti fai un'esperienza. Utile non so quanto, probabilmente divertente se sei giovane, ma poi tra un anno o due tornerai nel tuo mondo.
Hai detto una frase chiave, cioè che il fine ultimo del talent è la ricerca dell’interprete. Secondo te funzionerebbe in Italia un talent dove invece si tirano fuori degli artisti o dei musicisti veri?
Per quanto riguarda i talent, secondo me si può fare tutto. Però quasi sempre tutti i concorrenti vengono da scuole di musica dove hanno studiato canto e basta, e non si rendono conto che stanno andando in una trasmissione televisiva dove la componente di immagine, l'attitudine, è fondamentale, perché sarai sempre ripreso e potresti andare a influenzare il voto degli spettatori. Questo secondo me vuol dire che la figura dell’interprete, proprio perché ha bisogno di una struttura attorno a sé, è sicuramente più gestibile in una situazione del genere. È l'elemento finale di un prodotto che consiste in un insieme di brani che deve arrivare al grande pubblico. La figura dell’artista più versatile, tipo il cantautore, teoricamente nasce già più completa, più preparata e quindi più consapevole, magari più esigente ed egocentrica, potrebbe creare delle dinamiche complesse da gestire e non per forza sarebbe appetibile per il pubblico generalista quanto dei ragazzi che cantano. Il meccanismo del talent televisivo deve essere una cosa di immedesimazione veloce: il cantante ti sta simpatico, lo vedi, ti identifichi, ti emoziona… la voce è un mezzo immediato. Questo funziona soprattutto in Italia, poiché non abbiamo una grande cultura di valorizzazione degli aspetti musicali. So che hanno spesso immaginato altri tipi di talent, però la figura del cantante giovane e anche un po’ ingenuo, naif, in cui ci si può immedesimare, funziona. Devono essere persone che alla fine ce la fanno, che seguono un percorso di crescita. E probabilmente il fatto che in questo momento il pubblico giovanile sia l'80% di chi vota, partecipa e crea i numeri, è il motivo per il quale la figura del cantante giovane e anche un po' ingenuo corrisponde perfettamente alle richieste del programma.
Quindi è soprattutto una questione di marketing, niente di nuovo
Secondo me sì. Poi io ho guardato anche altri talent, come Masterpiece, quello degli scrittori che tra l'altro è una produzione di Lorenzo Mieli che è lo stesso di X Factor, dei Soliti Idioti, di Boris e di un sacco di altre cose. Ovviamente ha avuto un pubblico molto di nicchia e toccava leve completamente diverse; però finché c’è la tv, servono dei personaggi, anche a loro insaputa. E che siano ben assortiti.
Tireremo avanti con questi talent per altri 15 anni, come è successo col Grande Fratello?
Secondo me tireremo avanti fino a quando quella musica lì genererà profitto, il che sarà sempre più difficile perché ci sono sempre più golosi per una torta sempre più piccola. Però comunque, nel breve periodo, qualche numero questo sistema lo fa. Per un po’ di anni continuerà a crescere, poi avrà un calo fisiologico; per il mercato discografico italiano non penso ci saranno dei grandi sconvolgimenti. Ci sarà sempre bisogno di interpreti e il talent può essere uno dei modi per tirarne fuori uno bravo ogni dieci anni.
Parlando di interpreti, voglio chiederti anche un’altra cosa: se tu guardi agli artisti da classifica, gente tipo Laura Pausini, Emma Marrone o Vasco Rossi, quasi sempre gli uomini si scrivono le proprie canzoni, mentre le donne sono solo interpreti. La trovi un'osservazione giusta?
È un dato di fatto. L’unica cosa che posso dirti è che per quanto riguarda l’ultima generazione, partendo appunto da Emma che ha 30 anni, scendendo fino a la Michelin che ne non ne ha ancora 20, quasi tutte stanno esprimendo la volontà di diventare autrici: si son rimesse a studiare. Anche la stessa Malika Ayane, il suo ultimo disco è prodotto da lei, che ha scritto anche i testi. Quindi secondo me questa cosa qui cambierà.
Quindi il trend femminista del 2014 si riverserà anche nella musica italiana più commerciale?
Sì, ma secondo me c'entrano aspetti anche molto più cinici. Cioè di interpreti di successo ce ne sono molti, e quando arrivano da una filiera che già ha tanti personaggi attorno (autori, produttori, editori, etc), anche per delle mere considerazioni di guadagno, l’artista capisce che più riesce a mettere la sua mano in quello che fa, più guadagna e più può ambire ad avere qualcosa di più concreto che un successo momentaneo che il prossimo anno deve essere riposizionato sul mercato. Per questo, tutti gli interpreti stanno iniziando a chiedere punti, purtroppo non sempre a fronte di una reale collaborazione con gli autori.
Spieghiamolo per le persone che magari non lo sanno: i punti sono le quote dei diritti di ogni pezzo, giusto?
Sì, mirano a diventare co-autori del proprio brano. C'è uno scenario economico molto diverso oggi. Questo perché trent’anni fa se tu scrivevi due hit ci campavi 30 anni. Se avessi scritto "Tre cose" (il pezzoscritto da Raina e cantato da Malika Ayane, ndr) negli anni '90, ci avrei comprato dieci case; oggi invece ne devo scrivere due all’anno di singoloni per garantirmi una buona qualità della vita. Non puoi mai mollare perché gli autori sono diventati sempre di più e ce ne sono anche tanti dall’indie che ci stanno provando, probabilmente sulla scia di quello che è successo a me, o anche perché qualcuno delle major li nota.
Uno degli ultimi in ordine temporale è Tommaso dei Thegiornalisti, che pare stia scrivendo grandi canzoni.
Sì, infatti. Anche se secondo me gli autori è bene anche crescerli: io sono il primo a cui è capitato di piazzare una mega hit, e immediatamente essere individuato come un autore da parte di un editore. In realtà solo adesso sto cominciando a sentire di scrivere sul serio, anche se ho piazzato dei brani importanti negli ultimi tre anni; forse ancora ad oggi sono 'episodi', ed erano figli del fatto che in quel momento lì il mio stile per una combinazione si adattava a quell'esigenza. Ma fare l'autore, di mestiere, è un'altra cosa, e sto cercando di impararlo da gente molto più capace di me come Dario Faini o Matteo Buzzanca, con cui scrivo spesso.
Quindi, in finale: la tua opinione sui talent prima e dopo l'esperienza a X Factor, è cambiata?
Ho sempre cercato di avere un’attitudine legata a un'esperienza diretta, non ho mai amato il trend, sia quello mainstream che quello antagonista. Non ho mai avuto problemi ad ascoltare musica di estrazione diversa: mi ricordo di una volta in cui per fare una news-scherzo per il primo d'aprile scriveste “Nel prossimo disco degli Amor Fou ci sarà la collaborazione di Amedeo Minghi”, ma per me Minghi è stato un artista cardine dell'adolescenza! Una certa scena di hiphop o di cantautorato italiano un po’ sputtanato io l'ho sempre ascoltata perché mi restava, magari non l'ascoltavo con la stessa attenzione che do ai Radiohead, però quando poi per esempio ho iniziato a scrivere le canzoni dentro c’era molto più Venditti che la musica che ascoltavo in quegli anni.
Per quanto riguarda il talent, a me non ha mai intrigato perché non amo lo spettacolo televisivo. Dal punto di vista del prodotto televisivo quindi ho mantenuto le mie riserve, anzi forse le ho anche aumentate perché mi sono sentito quasi disturbato dal livello di protagonismo, di rimbalzo che ha il pubblico. Se tu vedi una puntata di X Factor, il problema non sono tanto i fan sfegatati (perché quelli ci son stati sempre), quanto vedere i genitori o persone di 40 anni che sono lì come se fossero alla settimana della moda o a un "evento in". C'è un'esasperazione cannibalizzante, alcuni sembrano personaggi di Black Mirror passati dal Billionaire, l’aspetto del costume va troppo oltre non mi coinvolge né mi stimola neanche come osservatore.
Però il discorso dell’investimento e della costruzione del talento è una cosa che fa parte dell'industria della musica pop da sempre. Se prendi i Beatles o mille altri interpreti di musica nera o pop, scopri che la maggior parte di loro sono venuti fuori da audizioni su audizioni, solo che non c'erano riprese, non c'era costruito un hype o uno storytelling, però forse le macchine di ricerca sono state ancora più brutali di adesso. Insomma non è una cosa nata con X Factor. Certo se sei John Lennon probabilmente dai un apporto gigante all'apparato che lavora per te, se invece sei Scanu dai più a Chi, fai l'Isola di Famosi ed esce quella roba lì. Quello che interessa, almeno a me, è cercare di fare in modo che attraverso i talent, il lavoro con le case discografiche, gli editori, etc si riescano ad attivare dinamiche per cui esca fuori un prodotto interessante.
Il problema delle critiche che si leggono su Facebook, che capisco, è che comunque sono critiche parziali: lo so anch’io che Mario Garruggiu è un piccolo Al Bano, ma anche senza il pathos di Al Bano! Il problema è che se la sintesi di 50.000 candidati è questa, non è colpa di nessuno. Se mi dite che c’è un nuovo Lou Reed a Squinzano e noi non l’abbiamo visto, io sono il primo a dire “cavolo ci investo io, gli scrivo io le canzoni gratis”. Ma dov'è il Bowie inascoltato che noi non stiamo notando o escludendo dal gioco? Non c’è, sennò sarebbero le major stesse a cercare di lavorarci insieme.
Nì, nel senso che un Bowie magari non decide di andare a X Factor.
No, ma probabilmente non viene neanche fuori dalla scena italiana di questi anni. Io quando ti dico un Bowie intendo un grande artista, con una vocalità importante, un grande stile e una grande capacità di performance, di presenza scenica, di utilizzo interessante dell'estetica. Un artista che sappia prenderti a vari livelli: ti coinvolge perché è una macchina da intrattenimento sul palco, è un comunicatore e usa tutti i suoi strumenti. Se parliamo di successo, la gente vuole ascoltare e vuole vedere, e vuole vedere delle cose di qualità. Se poi le cose sono di bassa qualità, e quella diventa la media e la cifra stilistica di una generazione, ce ne faremo una ragione. Accade sia nel mainstream che nell'indie. Però io l’ho capito perché una Emma Marrone ha venduto 300000 copie e un’altra che magari canta tecnicamente meglio di lei ne ha vendute 400: Emma Marrone è un animale da palcoscenico. Magari il suo stile differisce dal mio, se penso alla musica che mi piace di più in questi anni e che non è il rock, ma non mi stupisce che coinvolga moltissima gente e dal vivo trasmette moltissimo anche a me. A parità di visibilità che hanno avuto tante altre vincitrici di talent tocca delle corde totalmente irrazionali che arrivano anche al fan del rock, del metal, anche a Vasco Brondi.
Te l'ha detto lui?
Certo che sì. Quindi, fermo restando che magari un Bowie non andrebbe a un talent, se oggi io vedessi al MI AMI un ragazzo o una ragazza che sta da dio sul palco, che ha una bella voce, che ha talento… io non gli direi di non provare anche lì, magari gli direi di provare anche all’estero, di farsi vedere in tutti i modi. Secondo me bisogna avere sempre in chiaro di cosa si sta parlando, cioè: X Factor non cerca Dente, non cerca Bon Iver… poi magari dà da cantare ai concorrenti anche le canzoni di Bon Iver perché sono bellissime. X Factor cerca, attraverso un lavoro che coinvolga una major discografica, degli artisti pop che devono avere anche dei requisiti scenici che nella cultura italiana sono stati assolutamente boicottati...
...per colpa dei cantautori
Per colpa dei cantautori, certo, della morale e di tante altre cose. Lo sappiamo benissimo che in Italia, anche in ambito indie, una ragazza che facesse quello che fa Miley Cyrus verrebbe immediatamente bollata e sommersa di insulti.
Guarda già Maria Antonietta, è sempre presa di mira, ed è tutt'altro che una ragazza promiscua
Ecco, figurati se una si mettesse ad alludere… quindi, in finale, noi tiriamo fuori quello che siamo in grado di produrre e quello che ci può rappresentare.
Un po’ come nella politica
Certo, dov’è un Berlinguer? ? Io lo voterei se ci fosse, ma semplicemente l'Italia di oggi non può produrre una figura simile e dobbiamo prenderne atto, soprattutto se restiamo qui. Possiamo continuare a vagheggiare il passato mitico e sparare sul declino o cercare di valorizzare il presente, sporcandoci anche le mani. A X Factor ci sono state tante persone che potevano vantare un background di danza, però noi magari ci ricordiamo di più di quella tipa di Roma un po' sfigata che è andata alle audizioni a spogliarsi vestita da Wonder Woman. È uscita urlacchiando 'l'Italia non è pronta' e il primo a bocciarla era stato Mika che è anglo-libanese! Quello che ha fatto Cosmo nel suo piccolo, cioè di prendere due ragazze e ballare, cantare, creare una scenografia, per molti è apparsa come una cosa trasgressiva mentre in realtà dovrebbe esser normale. Allora se mi si dice che quella dei talent è una macchina che produce prodotti finti ti dico ok, però allora anche una come Beyoncé è un prodotto finto, cioè meno vero del cantautore. Secondo me questa qui è una forma di ignoranza: nel pop c'è dell’arte sopraffina mediata in modi diversi rispetto la musica classica o la canzone d’autore. A X Factor ci sono tante persone con sensibilità diverse che cercano di valorizzare, di dare anche un po’ di educazione, a persone che hanno dei talenti. C’è molta buona fede, il prodotto finale può anche essere discutibile, ma all’interno è tutto molto più artigianale di quanto si possa credere, anche troppo, nel senso che un problema che ho riscontrato è stata la mancanza di rigore. Ci si adatta troppo ai capricci, sia dei giudici che dei ragazzi.
Qual è la cosa che ti sei trovato a dover insegnare di più?
Principalmente la disciplina, stare al proprio posto. C’è una differenza abbastanza macroscopica: ci sono quelli veramente educati, la cui famiglia li ha già preparati a fare tutto, anche X Factor; poi ci sono quelli che vengono lì e si sentono dei talenti incompresi, si trovano davanti una persona famosa che ha venduto non so quanti milioni di copie (che può essere Fedez, Mika, Cremonini o De Gregori) e se per due minuti l’attenzione non è su di loro fanno i capricci; oppure sono loro che vengono a dire a te che canzoni devono cantare, e tu gli dici che il gioco non è venire lì e fare la tua cover band per tre milioni di persone, sarebbe troppo facile. Il gioco è che io ti guardo e penso “hai sempre cantato roba neomelodica, secondo me dovresti cimentarti con l'elettronica", per cui da domani provi per una settimana ad esibirti così. Io ti aiuto, ti costruisco una produzione, cerco di insegnarti, di valorizzarti. A volte chi arriva è già a posto e tu devi sistemare solo due tre cose, a volte chi arriva è una tavola bianca, magari canta bene però non ha personalità, a volte devi invece ribaltarli completamente.
Parliamo invece del tuo lavoro come autore: tu hai scritto per Emma Marrone e per Malika, che sono due artiste completamente diverse come personalità, musica, registro, anche come pubblico. Come funziona l'assegnazione dei tuoi pezzi?
Nel mondo ideale è l’artista che ti chiede un pezzo. Nel caso di Malika è successo così e guarda caso il risultato è stato ottimo, a mio avviso.
Vi incontraste proprio grazie a Rockit, giusto?
Sì, in un'intervista in cui parlammo solo di scarpe. Ora, Malika sicuramente è un’artista attenta a cui piace avvicinarsi ad ambiti diversi, e cerca in ogni disco una quota di autori che in qualche modo "ha scoperto lei". Io capitai in questa sliding doors e scrissi questo brano pensando proprio a lei, anche se secondo me è il brano più sfigato di quelli che gli avevo proposto.
In altri casi, come in quello per Emma, lo dico con sincerità: l’ispirazione iniziale era la Nannini, che poi in realtà a livello subliminale è l’idolo di Emma. In altri casi ancora invece capita che l’editore ci dica “all’orizzonte ci sono dischi di: Pausini, Renga, Ramazzotti. Scrivete, i briefing sono questi.”
E cosa c’è in un briefing?
In un briefing ci sono una serie di indicazioni sulla direzione che il disco avrà, tipo le sonorità…
Le sonorità di Renga non sono sempre tutte uguali, da anni?
Diciamo che di base è il produttore che crea il suono del disco e nel caso di certi artisti si tende ad essere molto conservatori perché il punto forte resta la voce e il pubblico fondamentalmente vuole quello più che concentrarsi sull'aspetto del suono. Gli step sono questi: la casa discografica fa un briefing, lo manda in giro a tutti gli editori e ai relativi autori. Nel briefing per esempio si può indicare che l'obiettivo del disco è ricollocare un artista, ossia dargli una dimensione diversa, nei testi, nelle sonorità, e tu ti adegui. Ultimamente si cerca più o meno di collegarsi al pop internazionale, purtroppo però in genere non si va oltre la top 5 di iTunes. Quindi tu scrivi e il lavoro che ti ritrovi a fare è sempre più quello di un produttore: i pezzi che tu mandi risultano meno appetibili se non sono già quasi in versione disco. Il lavoro dell’autore per questo sta sempre più diventando un lavoro di una persona multitasking, un artista che è in grado di scrivere una melodia, arrangiarla, suonare tutti gli strumenti, registrare e mixare. Potresti anche non farlo, volendo: se scrivi "Almeno tu nell'universo", sicuramente la piazzi, a prescindere da come la consegni.
C’è qualcosa in questo ambito che non è assolutamente concesso, oppure al contrario qualcosa che deve starci sempre?
Qualcosa potrebbe essere non concesso oggi e magari tra due mesi no… magari fino a 10 anni fa ti dicevano di non parlare troppo di sesso o che il ritornello non poteva entrare dopo 40 secondi, ora queste cose non esistono più. Nel momento in cui la hit dell'anno è "Magnifico" di Fedez, che è il classico pezzo rap col ritornello melodico, e i rappers hanno venduto molto più di altri interpreti....
Guarda, qualche giorno fa sono usciti i dati della Fimi sulle vendite del 2014, e nelle prime 10 posizioni e non c’è nemmeno un rapper.
Lo so, però diciamo che il rap ha un po’ scardinato le regole: ora qualsiasi cosa arriva, purché sia forte, va bene. Ovviamente c’è sempre il tabù del linguaggio, per cui un testo come "Back to Black" qui non lo potrai mai fare a meno che tu non sia Guè Pequeno, e comunque non andrai in radio. Io in un anno mi sono sentito dire che tutto dipendeva dalle punch line, quindi dovevi trovare una frase slogan nel testo; poi che tutto dipendeva dagli arrangiamenti, dopo tre mesi bisognava ispirarsi a pezzi dance, electro-pop stranieri… nessuno sa da che parte andare. Secondo me uno deve avere il tempo di imparare, maturare una cifra stilistica, poi scegliere se lo vuole fare. A me serve molto scrivere il più possibile, perché se poi vorrò fare un disco mio risentirà molto più di questa esperienza che non di 10 anni di indie in cui tutto quello che facevo era definitivo e non doveva essere messo in discussione perché io ero "il cantautore". In realtà nessuno della mia generazione, a prescindere dal successo che ha avuto, è un cantautore nel senso vero della parola. Forse solo De Min dei Non Voglio Che Clara è uno con una preparazione che poi si riversa nel suo stile.
Cosa intendi esattamente?
Che nessuno di noi ha fatto un percorso vero, di gavetta e di studio, siamo tutti praticamente autodidatti, coi limiti del caso; ognuno ha inventato il suo stile, come Brondi che ha creato quella roba che fa solo lui e che finisce con lui. Non c’è stata una scuola. Se senti ora De Gregori, parla un linguaggio che si può rapportare a quello di Mika, al mio o a un compositore di 70 anni, senti che c’è sotto una scuola musicale: ascolti gli accordi de "La donna cannone" e sono accordi colti, hanno una progressione che non la crei a caso o per mera ispirazione. Noi invece abbiamo usato dieci accordi! Se pensi anche alle voci, ce ne sono stati pochissime importanti nel vero senso della parola. Questo anche perché al di là della scuola di canto abbiamo realizzato altri aspetti che sono stati più estetici, a volte anche più legati all'urgenza. Va benissimo, è giusto che quando c’è un ristagno ci siano delle cose di rottura, è fisiologico. Ma magari dopo due o tre dischi inizi a faticare e ripeterti proprio perché non hai delle basi a sostenere la tua creatività, e perché sei stato troppo pigro ed autoreferenziale per pensare di creartele e in questo secondo il mio personale parere è il grande limite della scena indie sul piano della qualità delle canzoni. A X Factor ho provato a pescare dalla 'mia scena' ma alla fine gli unici brani papabili erano di Benvegnù. Tutto il resto o quasi resta veramente debole e purtroppo imparagonabile al repertorio italiano del passato.
Se dovessi tornare indietro a fare un'analisi critica degli Amor Fou, mi rendo conto che nonostante la grande cura musicale che ci mettevamo non ci siamo mai posti di fronte l’idea di prendere un produttore, o di prendere lezioni di canto. C’è sempre stata un po’ l’idea di avere già tutti i mezzi e le risorse, anche troppe. Poi guardavi i festival grandi e ti chiedevi perché certi artisti senza una certa "integrità culturale" suonavano davanti migliaia di persone e tu invece negli arci; ma eravamo noi in primis a mettere dei veti. Poi c'è chi non ha mai avuto bisogno di metterli: vai a dire a Niccolò Contessa dei Cani di prendere lezioni di canto, lui ti risponde che fa la doppia data al Circolo degli Artisti e quindi gli va bene così. Va benissimo… anzi meno male, non è che devono avere tutti grandi voci, però credo che qualsiasi musicista dovrebbe porsi di fronte all’eventualità di arricchire il proprio bagaglio.
Insomma una delle lezioni è: siate più professionali, non abbiate paura. E tenete conto che se i Muse suonano su palchi enormi, un motivo c’è.
Certo, e questa cosa cerchiamo di farla capire anche a X Factor. Io ho detto a tutti i concorrenti che anche se un giorno si stuferanno del mainstream e vorranno dedicarsi ad una cosa super di nicchia, dovranno comunque partorire una roba che spacca, piacevole da ascoltare. Una cosa bella è che mediamente, quando gli fai sentire i Verdena, lo capiscono che è una cosa devastante, anche se è fuori dai canoni e non la ritroveranno mai in classifica per un anno di fila. A me la cosa che impressiona è quando lavoriamo in studio e vengono questi ragazzini di 20 anni a comprarsi un mixer, sono super preparati su tutti i tipi di sintetizzatori...
... e sono tutti maschi. Secondo te perché le femmine non se ne interessano?
Perché in qualche modo nella nostra società ci sono delle categorie pre-impostate, in più è anche lo stesso sistema che non si aspetta che ci siamo donne in questo ambito e le approccia con molti pregiudizi. Pensa a Bat for Lashes, aveva il suo primo disco (che è già super maturo), pronto tre anni prima che uscisse. La madre le consiglia di lasciar perdere la musica, e di concentrarsi su quello per cui aveva studiato, l'insegnamento. Lei ha insegnato per quattro anni, e aveva un disco che quando l'ha ascoltato Thom Yorke l'ha voluta con lui per tutto il tour. Lì ci sono due elementi: da un lato la preparazione, la consapevolezza di quello che fai; dall’altro un mondo in cui se vai a fare un video nuda la gente coglie le citazioni di Ryan McGinley, non sta a pensare subito alla figa.
Io mi sono fatta una mia idea sul perché in Italia non abbiamo una Bat For Lashes: da una parte hai ragione, abbiamo un terreno maschilista fortissimo. Dall’altro però penso che questa cosa si stia affievolendo sempre di più anche grazie a internet, per cui i modelli femminili vincenti non mancano: quindi a questo punto sono anche le ragazze che devono darsi una svegliata.
Hai ragione. Guarda Carmen Consoli: quando hai quel talento hai già delle buone chances, quando invece sei un’interprete e hai bisogno di una struttura attorno, o hai una grandissima personalità oppure c’è il rischio che tu venga manipolata. E se penso poi a chi manipola in Italia oggi, mi metto le mani nei capelli: è una grande lobby, zero ricambio. Ecco ti posso dire che è stato interessante confermare questa cosa attraverso l'esperienza televisiva, le lobby esistono. La maggior parte degli autori che lavora a X-Factor è gay e di una certa età.
Questa roba qua influenza il contenuto, le scelte, la direzione, i rapporti interpersonali… è una roba che determina tutto, anche il ruolo delle donne.
Strano, perché di solito i gay hanno più gusto degli etero.
Ma ce l’hanno, il fatto è che si innescano dinamiche di competizione, di egocentrismo, che ovviamente riguardano tutti, sia gay che etero, in base alla propria personalità. Si creano dei contrasti interiori fortissimi in televisione: da un lato hai moltiplicato per mille la voglia di apparire o di stare affianco di chi appare, dall’altro sei compresso in un ruolo, in una competizione nella competizione. C’è una quota di persone che lavora in questo ambiente che nel giro di 10 anni cambia orientamento sessuale, oppure lascia la moglie. Noi attraverso questa intervista cerchiamo di razionalizzare dei fenomeni che però spesso sono molto più influenzati da aspetti 'collaterali'... a me viene spesso in mente che una quota dei grandi trader economici sono cocainomani, quindi l’economia mondiale è influenzata da gente che pippa 20 minuti prima di fare scelte importanti. Ci sono fattori, ad esempio quanto l'orientamento sessuale influenzi la cultura di chi decide i contenuti di un programma televisivo, che apparentemente non dovrebbero incidere sui contenuti, ma che alla fine lo fanno molto.
C’è quindi un livello di imponderabilità per cui la mia unica speranza è che in questo caos, ogni tanto la purezza della forza del talento riesca comunque a emergere.
Chiudiamo. Stai scrivendo robe tue?
Sto scrivendo robe per gli altri, dove però una volta su due penso “cazzo no questo potrebbe essere un mio pezzo!”, quindi sicuramente le cose che farò avranno un approccio di scrittura molto diverso e più aperto. Ora come ora non mi sento assolutamente in grado di produrre un cd da solo che mi convinca, perché so che posso fare molto di più se mi affianco a qualcuno, sarà quindi un lavoro più corale. Secondo me fino ad ora mi sono messo un freno inibitorio, ho anche pensato di non voler fare più dei dischi, ho avuto anche una fase in cui ho pensato non fosse la mia strada arrivare ad esser riconosciuto facendo il cantante. In realtà poi sarebbe un ragionamento di basso profilo, nel senso che non mi conosce nessuno, quindi di questa roba qui me ne frego. Ora voglio creare più qualcosa in base alle mie attitudini, non sono ancora un autore, non ho ancora dimostrato di valere l'investimento che è stato fatto su di me quindi vorrei provare a lavorare solo su quello, e poi verso marzo vorrei provare a scrivere un disco. Se poi non va e non mi piace, non lo pubblicherò mai.
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L'articolo Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sui talent show, spiegato da Alessandro Raina di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2015-01-29 09:00:00
COMMENTI (33)
ciao, non riesco a trovare alessandro raina su facebook. qualcuno può aiutarmi? grazie
occhei
salve. mi faccio un po' di spam solo perché è a tema. qualche anno fa ho fatto una canzone su questa roba qui: "ex factor"... tratta di un ex concorrente finito nel dimenticatoio che non riesce più a riinserirsi nella vita normale... nonché "coreografi e scenografi ambigui". se vi va potrete ascoltarla a questo link...
youtube.com/watch?v=advQm11…
Ciao a tutti, sono Alessandro, in "arte" Alessandro MOP e nella vita reale un lavoro normale, nell tempo libero scrivo musica, arrangio, registro e cazzeggio.
Se avessi potuto avrei fatto la stessa cosa di Raina.
Articolo interessante e ancora di più lo sono i commenti. Questo è il web 2.0 che mi piace.
Ho commentato solo per ricevere le notifiche (e dare il mio contributo quando possibile).
Bye
"Ps la 'lobby gay' è una provocazione che Nur ha scelto di inserire nel sotto titolo."
"Quel passagio dell'intervista, che effettivamente sintetizzato così suona male, fu una rielaborazione personale del mio pensiero da parte del giornalista"
Io mi ispirerò a Sallusti ma anche tu mi ricordi qualcuno famoso per il "io non ho mai detto che...."
Torno alla mia vita di merda, bye bye.
Ciao Alessandro se ti riferisci anche a me quando scrivi queste frasi "La divisione manichea indie vs mainstream mi annoia da sempre e appartiene a una visione finto militante che trovo sterile","Probabilmente però avete ragione voi che alimentate la cultura degli opposti schieramenti, della classismo e della segregazione culturale, e fate sicuramente bene a impiegare le vostre energie a screditare me in nome della purezza della razza indie" e addirittura parli di rabbia e di volontà di affermazione,allora o non hai letto bene oppure non hai capito il mio discorso.Guarda che io ti ho citato bands che amo e che fanno parte della mia vita che incidono per major e che hanno fatto un pacco di soldi:Cure,Pink Floyd,Rem, Nirvana,Pixies,Joy Division,Clash,Radiohead,Lou Reed etc sono questi gli esempi di MUSICISTI VIRTUOSI che ti ho fatto io,che hanno dei collaboratori come tutti è ovvio, ma che non si fanno costruire le canzoni a tavolino da qualcuno anzi si sono spesso scontrati con i loro produttori,e ad esempio potremmo parlare di tutte le campagne di Tom Yorke ma sarebbe troppo lungo.Poi non ti ho parlato dei Laddio Boloko o dei June Of 44,bands o dei Chokebore che amo allo stesso modo ma che forse li conosciamo io te e qualcun'altro,altro che razza indie ahahahaa.Allora se ce ne fosse bisogno ti ripeto che sono d'accordo con te che è da ottusi creare delle divisioni tra scene e fare discriminazioni o avere pregiudizi,ci sono opere importanti prodotte da artisti importanti che incidono per grandi etichette,e ci sono opere pessime e inutili che sono costate un sacco di soldi,come allo stesso tempo ci sono dischi indipendenti fondamentali e meravigliosi,e dischi indipendenti pessimi e onanistici.Spero di essere stato chiaro,e ti ripeto non cambiare discorso,noi parlavamo dei TALENT SHOW e delle canzoni scritte e create a tavolino guardando cosa passa il convento in quel periodo storico,e le lobby che influenzano il target del programma,e hai parlato anche di ricollocazione di un artista,e poi hai citato Marrone,Cremonini ed altri che non mi rappresentano musicalmente e non approvo il loro percorso per quello che ho sentito,ma alla fine sono cazzi loro gli auguro di divertirsi e di fare i soldi che mi frega non sono paranoico su questo credimi che non me li sogno la notte ahahahaha ti ripeto non estremizzare. Il titolo del post in questione non era "scena indipendente vs.quella mainstream",quello sarebbe stato un altro argomento,e ti ho spiegato che fare classismo musicale è assurdo e deleterio,si parlava dei segreti che tu ci avresti svelato sui talent,ma perdonami io di segreti non ne ho letti,ho letto tutte cose che si sapevano e che non condivido.Vedi però sempre riguardo al discorso che ti facevo sulla forma e la sostanza,non mi hai risposto alla mia domanda più sostanziale che avrebbe potuto chiarire bene cosa in pratica pensi,allora te la rifaccio:Mi consigli un disco valido di un artista che hai seguito tu su questi benedetti talent che io me lo vado a studiare??????se non mi rispondi allora continuiamo a fare i filosofi e i soloni e continuare a dibattere su teorie relative e astratte ma di musica concreta io tra queste tue dichiarazioni non ne ho vista e non riuscirei neanche a trovarne perdonami te lo dico sinceramente magari mi sono perso qualche passaggio e qualcosa di interessante in televisione,io non ho pregiudizi ed ammetterei se magari mi sono precluso qualcosa.Ma se continuiamo a scriverci i soliti discorsi sui massimi sistemi,o addirittura scendere alle offese personali a me questo non piace e non serve a nulla.Infine per rispondere al messaggio che hai scritto a me è ovvio che non considero Thurston Moore un Santo,anche io conosco quella campagna pubblicitaria,io non l'avrei fatta e secondo me hanno sbagliato ma hanno guadagnato,tu sai benissimo che mi riferivo ai mille progetti musicali sia major che indipendenti ai quali hanno collaborato.Poi sul fatto che molti mali della società moderna sono in qualche modo collegati questo lo penso e ti ripeto è soprattutto un discorso culturale,se vivessimo in una civiltà con valori e dignità diverse da quelli che ci inculcano oggi tutti i media, di sicuro saremmo più attenti all'ambiente,saremmo più educati e rispettosi nei confronti delle persone,saremmo più attenti agli animali come Morrissey ad esempio,ci sarebbero meno risse meno volgarità,meno reality,e di conseguenza ci sarebbe un'educazione anche all'ascolto musicale maggiore.Vedi una cosa che dico sempre ai miei alunni di chitarra,è che loro non hanno l'educazione al lavoro,non sono abituati,anzi sono educati ad avere tutto e subito per poi bruciarlo e ricominciare in maniera schizofrenica qualche altra passione fugace,e questa mentalità è figlia di internet di facebook di you tube di guitar pro dei talent,di amici maria de filippi e di tutti quelli che per guadagnarci se ne fottono dell'educazione e del progresso della società,viviamo un'imbarbarimento costante una decadenza assoluta un nuovo medioevo e questo non lo dico solo io credimi......aspetto il tuo consiglio sul disco di un artista di un talent ciao.
pierthebest, mi dai un tuo contatto? grazie, pietro 347/4123787
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