Otto artisti italiani dimenticati da riscoprire

31/05/2016 - 10:54 Caricato da Redazione
Con i loro lavori hanno segnato la storia della musica italiana, ma per ragioni disparate non sono riusciti a rimanere impressi nella memoria collettiva di pubblico e critica. Ce ne sono ancora tantissimi, ma questi sono sette artisti italiani dimenticati, e da riscoprire al più presto.
Mauro Pelosi
Rimasto ai margini della scena musicale italiana degli anni ’70, Mauro Pelosi è considerato da molti come il classico genio incompreso, confinato nella cerchia molto ristretta del prog romano di quegli anni.
Mauro Pelosi è un cantautore dell'assurdo e un grandissimo poeta che, come tutti i poeti, non è contemporaneo della sua epoca; la sua scrittura non è attuale, non assimilabile ad un periodo storico seppur ricco come quello dei primi anni ’70. Nonostante questo, le sonorità sono fortemente contemporanee al suo tempo: un progressive rock molto internazionale, con dei momenti di innovazione interessanti. L’lp omonimo del 1977 rappresenta al meglio la svolta più paradossale e alternative dell’artista. “Ho fatto la cacca” su tutti, è quasi un brano concettuale: Mauro Pelosi fa la cacca dappertutto, sui dischi, sui libri, perfino su se stesso, sulle sue parole, sulla sua sensibilità e, alla fine, per la troppa fatica, se la fa addosso. Ma la sua non è una merda d’artista vanitoso, è un divertissement scevro di intellettualismi, forse è più un disprezzarsi con estremo autocompiacimento, l’apice del nichilismo.
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Franca Sacchi
Fra le pochissime presenze femminili che tra '60 e '70 si dedicarono alla musica elettronica in Italia, e più in generale fra le pochissime donne attive in ambito musicale in quegli anni, la riservatissima artista milanese ha alle spalle un percorso di intensa ricerca, cresciuto tra le maggiori città d’Europa, esplorato sotto l’egida di grandi maestri e fluito fra la composizione più classica e ardita sperimentazione elettroacustica. Non esattamente uno degli iter più lineari e immediati della musica e sicuramente non uno dei più noti, sebbene foriero di impulsi importantissimi per lo sviluppo della ricerca sonora italiana e ricco di interessanti riflessioni sul rapporto tra esperienza e coscienza nell’atto artistico.
Franca Sacchi inizia a maturare un crescente interesse verso l’elettroacustica e si dedica a un'intensa attività di ricerca e sperimentazione tra l’Office de Radiodiffusion Télévision Française di Parigi, lo studio del pioniere della musica elettronica Léo Kupper a Bruxelles e soprattutto lo Studio di Fonologia Musicale Rai a Milano.
L’avvicinamento a nuove forme di espressione artistica e a discipline di ricerca interiore, unite alle numerose collaborazioni di quegli anni con pittori, compositori, scultori e architetti (Ugo La Pietra, Paolo Scheggi, Giuseppe Chiari ed Emilio Isgrò tra gli altri), la portano a maturare alcuni interessi nuovi –tra questi la pittura- e a porsi come mai prima l’interrogativo su quale sia la forma espressiva migliore per esprimere le pulsioni che sente dentro di sé intersecando discipline diverse: dopo un intenso periodo di riflessione, nel 1975 Franca Sacchi abbandona definitivamente un approccio compositivo rigido in favore dell’improvvisazione. È nella prima metà degli anni '70 che Franca Sacchi teorizza e brevetta l’idea di arte enstatica, la cui applicazione musicale, elaborata nel periodo tra fine ’60 e 1972, sarà raccolta nella pubblicazione discografica “En”, parte della sua ristretta produzione discografica insieme alle due registrazioni di concerti “Ho Sempre Desiderato Avere Un Cane, Un Gatto Ed Un Cavallo - Ora Ho Un Gatto Ed Un Cavallo, Mi Manca Soltanto Il Cane” (1973) ed “Essere” (1975).
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Enzo Carella
Carella è conosciuto (da alcuni) per "Malamore", canzone che nel 1977 riscosse un certo successo radiofonico, e per aver collaborato durante la sua carriera con Pasquale Panella, celebre paroliere che scriverà tutti i testi di Carella; "Malamore" è contenuta in "Vocazione", disco uscito nello stesso anno, che segnò per sempre il pop italiano per il carattere innovativo di testi e musica (si dice che ascoltando "Malamore", Lucio Battisti affermò che Carella era il solo cantante italiano che lo intrigasse.)

Nel '79 partecipò al Festival di Sanremo arrivando secondo con il brano Barbara, che anticipava un disco dallo stesso titolo che ricevette anche un premio per la grafica di copertina, composta da foto scattate nei pressi del Velodromo dell'EUR.

Maria Monti
A febbraio del 1975 viene pubblicato un album live, intitolato “Bologna 2 settembre 1974”.
È la testimonianza di un concerto tenuto al Festival Nazionale dell'Unità da quattro artisti: Francesco De Gregori, Lucio Dalla, Antonello Venditti e Maria Monti.
Quattro artisti grandi, importanti e significativi per i loro tempi e per quelli a venire, ognuno a modo suo impegnato, attento, anche avanguardista. Ma senza voler stilare classifiche, se dovessimo indicare chi dei quattro era il più “rivoluzionario”, il più scomodo (volendo usare parole di sinistra) dovremmo fare il nome di Maria Monti.
Nome che plausibilmente potrebbe non dire molto alla maggior parte di noi, sicuramente non in termini di successo discografico, sicuramente non quanto ci dicono i nomi di Dalla, De Gregori e Venditti. Sarà probabilmente più familiare agli appassionati di cinema e di teatro – come attrice ha lavorato, fra i tanti altri, con Sergio Leone, Bernardo Bertolucci, Alberto Lattuada, Paolo Poli – ma di certo non è la prima persona a cui si pensa quando si parla di cantautori, o di cantautrici.
Ora, la domanda è: perché? Perché non ce la ricordiamo, oppure ne ignoriamo proprio l'esistenza, nonostante una produzione discografica che non ha nulla da invidiare a quella dei ben più considerati colleghi?
La risposta più banale, ma anche tristemente verosimile, è: forse perché era una donna, interprete e autrice difficilmente etichettabile, ai tempi delle mille bolle blu.
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Clem Sacco
Nella comunità di 10.000 italiani che tutto l’anno vivono a Tenerife, nelle isole Canarie, c’è una star degli anni Sessanta, Clem Sacco. Nato nel 1933 al Cairo da genitori emigranti, Clementino Sacco tornò nel dopoguerra in Italia con l’ambizione di sfondare nella lirica. Quel che faceva in realtà negli anni Cinquanta era lavorare tutto il giorno, tirare il carrello e scaricare la frutta dentro nel verziere di Milano garantedosi così il fisico di un culturista.
Abbandonata la Civica Scuola di Musica e il bel canto Sacco non rinunciò tuttavia ai palcoscenici ma fu anzi svelto a cavalcare l’onda di una nuova moda made in USA, il rock ’n’ roll. Tra le strade del capoluogo meneghino si moltiplicavano gli epigoni di Elvis Presley, primo fra tutti il Molleggiato, Adriano Celentano. A seguire l’esempio del ragazzo della via Gluck tanti altri, si pensi solo a Tony Renis e Little Tony, ma fra loro, pantaloni neri o bianchi e camicia rossa d’ordinanza, il ciuffo imbrillantinato, il bacino snodabile, uno spiccava per simpatia: Clem Sacco.
A differenza degli altri cantanti della sua epoca Sacco, sotto contratto prima con la Smeraldo Records, poi per le Edizioni musicali Carisch, per la Durium e infine autoprodotto, scriveva però da sé le sue canzoni con l’intento di divertire se stesso e il proprio pubblico: “Oh mama, voglio l’uovo alla coque”; “Il deficiente”; “Vino, chitarra e luna”; “L’angolino dell’amor”; “Chunga twist”. In un’epoca in cui le canzoni dovevano però essere serie per passare in Rai, sia in radio sia nelle trasmissioni di una televisione neonata, questa vena umoristica condannò Sacco all’esclusione dalla scena musiciale ufficiale italiana.
Donatella Bardi
Spesso, nelle analisi tese a ricordare le giornate convulse del Festival del Re Nudo di Milano, si è corso il rischio di porre in secondo piano la protagonista assoluta, ovvero la musica. Tra band storiche e altri artisti improbabili (qualcuno ha detto Adriano Pappalardo?) c'è anche qualche gemma nascosta che negli anni è stata dimenticata. Donatella Bardi è una di queste: suonava nella band Il Pacco assieme a Finardi e Alberto Camerini, ma qualche anno dopo realizza il suo primo e unico album solista, che vale assolutamente la pena recuperare.
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Margot Galante Garrone
La biografia sul sito di Margot Galante Garrone è scritta tutta in rima. E sembra di sentirgliela cantare, con quella voce dritta, accompagnata solo da una chitarra e dalla voglia di non mandarle a dire che ha caratterizzato una carriera nel segno dell'attenzione alla realtà, di un impegno quasi sfacciato nel raccontare il mondo, soprattutto nei suoi aspetti meno belli, alla maniera dei cantastorie più ancora che dei cantautori. E, come suggerisce appunto nella verseggiante biografia, probabilmente era scritto che andasse così. Nella storia di una famiglia che è dentro la Storia, quella con la S maiuscola, d'Italia.
Tralasciando anche zii e prozii, parliamo di un padre come Carlo Galante Garrone, uno che fa satira antifascista, che partecipa attivamente alla resistenza, poi diventa senatore e deputato con il PCI, battendosi, per esempio, per l'introduzione del divorzio: i casi sono due, o ci si ribella disinteressandosi di politica, oppure si porta avanti “la tradizione di famiglia”. Margherita – questo il vero nome – decide per la seconda, e unisce al sacro fuoco civile paterno il talento musicale della madre, per diventare parte di un'altra tradizione, quella dei fustigatori di costumi armati di canzoni taglienti e sempre attuali.
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Ugolino
Guido Lamberti, in arte Ugolino, è da molti considerato uno dei padri del rock demenziale, una sorta di cantautore surreale e lunatico che anticipò i tempi col suo stile. Nato in Calabria nel 1940, pubblica il suo più grande successo (“Ma che bella giornata”) nel 1968, grazie all’aiuto di Detto Mariano, noto produttore/compositore/arrangiatore dell’epoca (sua la colonna sonora di "Amore Tossico", recentemente stampata in vinile). È il suo anno d’oro: partecipa a trasmissioni televisive e appare persino in un film con Franco e Ciccio, ma da lì in poi, dopo qualche singolo azzeccato, è tutto un cambiare etichetta e pubblicare dischi che non vengono notati. Così, alla fine degli anni settanta, si ritira dalle scene e va a vivere in Val d’Aosta dove si dedicherà al teatro.

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La gallery Otto artisti italiani dimenticati da riscoprire è apparsa su Rockit.it il 2016-05-31 10:54:41