
Mauro Pelosi è un cantautore dell'assurdo e un grandissimo poeta che, come tutti i poeti, non è contemporaneo della sua epoca; la sua scrittura non è attuale, non assimilabile ad un periodo storico seppur ricco come quello dei primi anni ’70. Nonostante questo, le sonorità sono fortemente contemporanee al suo tempo: un progressive rock molto internazionale, con dei momenti di innovazione interessanti. L’lp omonimo del 1977 rappresenta al meglio la svolta più paradossale e alternative dell’artista. “Ho fatto la cacca” su tutti, è quasi un brano concettuale: Mauro Pelosi fa la cacca dappertutto, sui dischi, sui libri, perfino su se stesso, sulle sue parole, sulla sua sensibilità e, alla fine, per la troppa fatica, se la fa addosso. Ma la sua non è una merda d’artista vanitoso, è un divertissement scevro di intellettualismi, forse è più un disprezzarsi con estremo autocompiacimento, l’apice del nichilismo.
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Franca Sacchi inizia a maturare un crescente interesse verso l’elettroacustica e si dedica a un'intensa attività di ricerca e sperimentazione tra l’Office de Radiodiffusion Télévision Française di Parigi, lo studio del pioniere della musica elettronica Léo Kupper a Bruxelles e soprattutto lo Studio di Fonologia Musicale Rai a Milano.
L’avvicinamento a nuove forme di espressione artistica e a discipline di ricerca interiore, unite alle numerose collaborazioni di quegli anni con pittori, compositori, scultori e architetti (Ugo La Pietra, Paolo Scheggi, Giuseppe Chiari ed Emilio Isgrò tra gli altri), la portano a maturare alcuni interessi nuovi –tra questi la pittura- e a porsi come mai prima l’interrogativo su quale sia la forma espressiva migliore per esprimere le pulsioni che sente dentro di sé intersecando discipline diverse: dopo un intenso periodo di riflessione, nel 1975 Franca Sacchi abbandona definitivamente un approccio compositivo rigido in favore dell’improvvisazione. È nella prima metà degli anni '70 che Franca Sacchi teorizza e brevetta l’idea di arte enstatica, la cui applicazione musicale, elaborata nel periodo tra fine ’60 e 1972, sarà raccolta nella pubblicazione discografica “En”, parte della sua ristretta produzione discografica insieme alle due registrazioni di concerti “Ho Sempre Desiderato Avere Un Cane, Un Gatto Ed Un Cavallo - Ora Ho Un Gatto Ed Un Cavallo, Mi Manca Soltanto Il Cane” (1973) ed “Essere” (1975).
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Nel '79 partecipò al Festival di Sanremo arrivando secondo con il brano Barbara, che anticipava un disco dallo stesso titolo che ricevette anche un premio per la grafica di copertina, composta da foto scattate nei pressi del Velodromo dell'EUR.

È la testimonianza di un concerto tenuto al Festival Nazionale dell'Unità da quattro artisti: Francesco De Gregori, Lucio Dalla, Antonello Venditti e Maria Monti.
Quattro artisti grandi, importanti e significativi per i loro tempi e per quelli a venire, ognuno a modo suo impegnato, attento, anche avanguardista. Ma senza voler stilare classifiche, se dovessimo indicare chi dei quattro era il più “rivoluzionario”, il più scomodo (volendo usare parole di sinistra) dovremmo fare il nome di Maria Monti.
Nome che plausibilmente potrebbe non dire molto alla maggior parte di noi, sicuramente non in termini di successo discografico, sicuramente non quanto ci dicono i nomi di Dalla, De Gregori e Venditti. Sarà probabilmente più familiare agli appassionati di cinema e di teatro – come attrice ha lavorato, fra i tanti altri, con Sergio Leone, Bernardo Bertolucci, Alberto Lattuada, Paolo Poli – ma di certo non è la prima persona a cui si pensa quando si parla di cantautori, o di cantautrici.
Ora, la domanda è: perché? Perché non ce la ricordiamo, oppure ne ignoriamo proprio l'esistenza, nonostante una produzione discografica che non ha nulla da invidiare a quella dei ben più considerati colleghi?
La risposta più banale, ma anche tristemente verosimile, è: forse perché era una donna, interprete e autrice difficilmente etichettabile, ai tempi delle mille bolle blu.
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Abbandonata la Civica Scuola di Musica e il bel canto Sacco non rinunciò tuttavia ai palcoscenici ma fu anzi svelto a cavalcare l’onda di una nuova moda made in USA, il rock ’n’ roll. Tra le strade del capoluogo meneghino si moltiplicavano gli epigoni di Elvis Presley, primo fra tutti il Molleggiato, Adriano Celentano. A seguire l’esempio del ragazzo della via Gluck tanti altri, si pensi solo a Tony Renis e Little Tony, ma fra loro, pantaloni neri o bianchi e camicia rossa d’ordinanza, il ciuffo imbrillantinato, il bacino snodabile, uno spiccava per simpatia: Clem Sacco.
A differenza degli altri cantanti della sua epoca Sacco, sotto contratto prima con la Smeraldo Records, poi per le Edizioni musicali Carisch, per la Durium e infine autoprodotto, scriveva però da sé le sue canzoni con l’intento di divertire se stesso e il proprio pubblico: “Oh mama, voglio l’uovo alla coque”; “Il deficiente”; “Vino, chitarra e luna”; “L’angolino dell’amor”; “Chunga twist”. In un’epoca in cui le canzoni dovevano però essere serie per passare in Rai, sia in radio sia nelle trasmissioni di una televisione neonata, questa vena umoristica condannò Sacco all’esclusione dalla scena musiciale ufficiale italiana.

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Tralasciando anche zii e prozii, parliamo di un padre come Carlo Galante Garrone, uno che fa satira antifascista, che partecipa attivamente alla resistenza, poi diventa senatore e deputato con il PCI, battendosi, per esempio, per l'introduzione del divorzio: i casi sono due, o ci si ribella disinteressandosi di politica, oppure si porta avanti “la tradizione di famiglia”. Margherita – questo il vero nome – decide per la seconda, e unisce al sacro fuoco civile paterno il talento musicale della madre, per diventare parte di un'altra tradizione, quella dei fustigatori di costumi armati di canzoni taglienti e sempre attuali.
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La gallery Otto artisti italiani dimenticati da riscoprire è apparsa su Rockit.it il 2016-05-31 10:54:41