Statuto - Viva i modernisti

Il mondo si divide in mods e "regolari". L'intervista di Silvio Bernardi per i 30 anni degli Statuto.

Il mondo si divide in mods e "regolari". L'intervista di Silvio Bernardi per i 30 anni degli Statuto.
Il mondo si divide in mods e "regolari". L'intervista di Silvio Bernardi per i 30 anni degli Statuto. - Statuto

Appuntamento da Pavè, sfiziosa caffetteria in zona Porta Venezia, intorno è già orario aperitivo ma qui si sorseggiano ancora degli ottimi shakerati di arancia e carota. Al tavolo aspettano Oskar, frontman e leader degli Statuto sin dai suoi esordi, ed Ennio, il "teen mod" che da qualche tempo - dividendosi con gli impegni della sua band, i promettenti Tailor Made - è bassista della band. Verso metà intervista ci raggiunge anche Naska, lo storico batterista, per una chiacchierata che verte principalmente sui trent'anni di vita degli Statuto e sul nuovo disco "Un giorno di festa".

Trent'anni, tanto è passato dalla nascita della band. Oskar, raccontaci un po' com'è andata, qual è stata la genesi degli Statuto.
Oskar: L'idea della band è nata perchè in Piazza Statuto non avevamo un gruppo musicale, invece sia a Milano (Four By Art) che a Roma (Underground Arrows) c'erano già i primi complessi mod. Io allora studiavo al Conservatorio, poi mi sono diplomato in contrabbasso, così ho detto a uno dei nostri, Lele: "Non esiste che da noi non ci sia un gruppo, poi anche tu suoni...". Lui ha saputo che c'erano dei ragazzi, dei mod, alla Barriera di Milano, che suonavano la chitarra, e si è così pensato di formare il gruppo. Questo succedeva nell'82, che abbiamo iniziato a pensarci. Il primo concerto fu il Primo Maggio dell'83, al Parco della Tesoriera: c'era un evento per la pace (allora se ne facevano tanti, contro il nucleare ecc.), con gruppi torinesi conosciuti del periodo, e c'erano i Blind Alley del grande Gigi Restagno - purtroppo scomparso -, e gli avevo girato intorno parecchio per convincerlo ad invitarci a fare qualche pezzo - pensa che noi non avevamo neanche gli strumenti nostri... Alla fine ci ha chiamato e ci ha fatto salire a fine concerto, abbiamo fatto gli headliner, la spalla al contrario: ci hanno prestato loro davvero tutto - chitarra, basso, batteria - abbiamo suonato, malissimo, due pezzi.

Negli anni avete visto cambiare il vostro pubblico, Torino e anche l'Italia (non tutti in meglio), eppure voi siete rimasti fedeli alla vostra linea, come pochissime altre band in Italia.
O: Beh, riuscirci non è stato facile, è stato facilissimo... Siamo sempre stati noi stessi, le cose attorno cambiavano - qualcosa in peggio qualcosa in meglio, qualcuno spariva qualcuno arrivava, non è tanto quello - ma talmente forte è sempre stata la nostra identità mod che non siamo esattamente rimasti fermi, il mod è sempre una cultura in evoluzione, sia dal punto di vista estetico che ideologico, quindi è un tipo di approccio culturale che ti permette di accrescere continuamente il tuo patrimonio musicale, di pensiero, di cultura. Questo ci ha permesso di rimanere sempre noi stessi restando al contempo al passo coi tempi.

Non esagero se dico che molti (non troppi, ma è anche bello così) ragazzi italiani si sono avvicinati al modernismo grazie a voi. Avete quantomeno un ruolo da portavoce, ormai...
O: Certo, se non altro anche solo per il fatto che suoniamo da tanti anni. Ovviamente il nostro obiettivo principale è sempre quello di far conoscere il modernismo, farlo scoprire a delle persone che magari non sospettavano neanche della sua esistenza. Quando abbiamo iniziato noi era più facile, erano gli anni del film "Quadrophenia", degli Specials, dei Madness, dei Secret Affair e dei Jam, ora dall'Inghilterra arriva poca roba di questo tipo. La nostra è stata sempre una forma di propaganda autoctona, sempre al servizio del modernismo, essendo questa la nostra priorità assoluta.

Poi comunque il movimento gode di ottima salute in questo momento, non solo a Torino ma anche a Milano e nel resto d'Italia, e si sta assistendo a una bella integrazione tra le nuove generazioni e quelli della vecchia guardia...
O: Assolutamente, i "vecchi" come noi non devono essere motivo di snobismo, oppure di intralcio per quelli che si affacciano ora a questa cultura. Certo i nostri trent'anni di appartenenza al movimento sono una ricchezza: quando ci siamo avvicinati noi al modernismo tutto quello che c'era attorno era diverso, lo era anche il nostro percorso. Ma da un altro punto di vista è anche giusto dare spazio ai ragazzi giovani, che si esprimano nel modo che ritengono più opportuno.

Avete attraversato la Penisola un numero incalcolabile di volte, senza soluzione di continuità tra i concerti di beneficenza, centri sociali e le occasionali puntate nello show-business ufficiale, su tutte ovviamente Sanremo. Raccontateci un paio di queste esperienze di palco che vi portate nel cuore.
O: A livello umano, sicuramente essere stati presentati nel concerto del nostro ritorno a Torino da Paolino Pulici è stata una soddisfazione enorme. Così come lo è stato suonare sul palco dei Madness, o al Traffic con Paul Weller e gli Specials, o con gli Oasis a Roma. Oppure suonare a L'avana in piazza della Rivoluzione, invitati dal governo cubano, nel 1997 quando ancora Fidel era nel pieno delle forze, mentali e fisiche. Ma poi mi ricordo ancora il primo concerto al Leonkavallo - ancora quello vecchio, in via Leoncavallo - che è stato se non erro l'ultimo che hanno fatto nella vecchia sede. Poi ovviamente tantissimi aneddoti: abbiamo fatto due-tre volte Domenica In. Una volta stavamo appunto provando, prima di andare in onda, e c'erano Pippo Baudo e tutti gli altri artisti ospiti sul palco. Qualcuno ha fatto un errore, non so cosa, noi siamo scesi un attimo prima, e l'assistente di palco fa: "Allora, giù dal palco..." e io, forte, l'hanno sentito tutti: "...tutti quelli che non sono mod. Tutti quelli che non sono mod giù dal palco". Pippo Baudo mi guarda smarrito e io rido imbarazzato: "Eh, dai, tutti quelli che non sono mod!".
Oppure un'altra volta, in un centro sociale a Cosenza, pioveva ma eravamo al coperto, mentre stavo cantando a un certo punto non sento più la batteria dietro, allora mi giro tutto incazzato ed era crollata la tettoia con i tubi dell'acqua e c'era tutta la batteria che galleggiava, Naska era scappato in tempo a ripararsi...

So che è impossibile, ma dovessimo dire tre canzoni, per riassumere trent'anni di Statuto?
O: "Io Dio", "Rabbia e stile" e "Io non ho la mia età". Naska: "Io Dio", "Qui non c'è il mare", "In fabbrica" (anche se non è nostra, è dei Gang, ma vale lo stesso visto quante volte l'abbiamo suonata) Ennio: (ci pensa più o meno fino alla fine dell'intervista, poi li scrive su un foglio) "Piazza Statuto", "Chi è ribelle non cambia mai", "Rabbia e stile".

[GUARDA LA GALLERY DEDICATA AI 30 ANNI DEGLI STATUTO]


Parliamo di "Un giorno di festa", il disco in cui celebrate il vostro trentennale con dodici inediti, di cui uno in particolare, "Il meglio arriverà", è il vostro modo di togliervi qualche sassolino dalla scarpa... col sorriso sulle labbra però...
O: Sì, sì... il messaggio è che alla fine, dopo trent'anni, la storia dà delle risposte, nel nostro caso le ha date e molto importanti, ovviamente ci possiamo scherzare su quanto vogliamo, ma io credo che rispetto al nostro talento effettivo, noi abbiamo raccolto molto di più di quello che meritavamo. Venuti dalla strada, ci siamo sempre visti come dei mod che hanno preso in mano gli strumenti, e ci sembra di aver raggiunto dei traguardi che ci premiano più delle nostre qualità, musicali e artistiche. Per quelle ideologiche invece è un altro discorso, quelle peraltro sono state fondamentali per superare i momenti difficili, che nella storia della band ci sono stati.

Fantastico secondo me l'attacco del pezzo, in cui dite "Gruppo emergente/si dice di noi"... Dai, ma chi lo dice?
O: Eh, lo dicono, lo dicono. Poi va beh, vedi lui (indica Naska, detto bonariamente "il nonno", e ride, NdA) e dici: "Sono pronti per il sarcofago!".

Inevitabile la domanda su Torino, città a cui siete legatissimi nel bene e nel male, amata e odiata, con "cinque cerchi inutili e la fabbrica che ci ricatta ancora" (così la cantate in "La mia città"). Parliamo per una volta però delle cose positive di Torino, cosa salvate?
O: Una delle peculiarità di Torino da sempre è quella di avere una vena creativa molto fervida, primo perchè c'era l'industria che veramente alienava il pensiero e dovevi per forza inventarti delle cose per sopravvivere. Poi adesso abbiamo dovuto reinventare tutto, perchè con la Fiat che sta chiudendo si è dato un taglio addirittura turistico alla città, e maggior spazio a cose legate alla cultura: un tipo di commercio diverso. Ma in parte la cosa sta anche riuscendo, anche se comunque il tutto è sempre ben controllato e gestito dalla Fiat, il potere economico e politico è ancora tutto suo.
N: Poi è una città che ha preso con sè anche negli anni '50 molti meridionali, che erano visti in altri posti come degli extraterrestri e invece a Torino sono stati ben accolti, nel tessuto sociale. La stessa cosa avviene ora con gli stranieri, non ha mai preso piede il razzismo, la destra estrema a Torino non ha attecchito, la Lega poi non parliamone, praticamente non esiste da noi.

Nel disco si parla anche molto di conflitto generazionale, sia interiore, tuo, ("Io non ho la mia età") sia sociale ("Colpevole"), dove canti "giovane è una colpa che ora hai/ma col tempo vedrai passerà". Un tema che sentite molto vostro, sarà perchè "sulla strada puoi morire ma non invecchi mai"?
O: Mah, sono due canzoni con messaggi completamente differenti: "Io non ho la mia età" è un testo volutamente mod, legato alla strada. Non tutti vivono sulla strada, noi mod lo siamo, ma un "regolare" o chi a un certo punto decide di far parte del sistema con tutti gli annessi e connessi fa un percorso diverso. Chi vive sulla strada non può permettersi di essere vecchio, cioè lo sei, ma devi attenerti alle stesse regole, alle stesse necessità di vita che avevi quando avevi vent'anni. Quindi o muori, o vai avanti così, ecco perchè dico che non puoi invecchiare.
Il discorso di "Colpevole" invece è più oggettivo, ampio: dicono tutti che bisogna rinnovare i centri di potere, rinnovare i responsabili delle istituzioni, tutti vogliono rinnovare ma nessuno molla il suo posto. Il che è anche comprensibile in un momento di crisi come questo, ma si finisce col fatto di avere dei vertici vecchi in tutti gli ambiti, e questa è una cosa che danneggia tantissimo l'Italia. Per questo essere giovane ormai è una colpa.

Ci sono poi due pezzi dedicati a due "eroi" sportivi, uno molto recente, il ciclista medaglia d'oro Bradley Wiggins, allo stato attuale probabilmente il mod più famoso del mondo, avrà superato anche Paul Weller...
O: Beh, per i mods ovviamente no, per i "regolari" forse sì, ma loro non sanno che è un mod! Comunque è difficile trovare uno di un ambiente che non sia musicale, così famoso, che rivendica orgogliosamente la sua appartenenza al modernismo. L'abbiamo subito considerato uno dei nostri, e adesso tifiamo per lui, anche se è inglese...

L'altro "eroe" è invece di data più antica, il capitano del Toro degli anni Sessanta Giorgio Ferrini. Oskar, in una delle pagine più belle del libro "Rock'n'goal" di Tony Face Bacciocchi, racconti il tuo incontro d'infanzia col capitano...
O: Sì, allora giocavo nelle giovanili del Toro e mi ero tagliato il tendine d'Achille, facendo il picio con una bottiglietta. Mi avevano portato all'ospedale e operato, avevo su un gambaletto. Mio padre che mi aveva sgridato prima, poi mi aveva fatto un po' di terrorismo psicologico: "Ecco, vedi, così impari, adesso non giocherai più a pallone, ecc ecc". Allora coi pulcini ci allenavamo al Filadelfia, dove giocava anche la prima squadra, e nonostante il gambaletto andavo spesso e volentieri con mio padre ad assistere all'allenamento dei miei compagni. Un giorno passa Ferrini e mi fa: "Cos'hai fatto?". Risponde mio padre in piemontese: "A l'ha fait al fol con na bottiglietta e ades a peul pi nen gieughe a balun!". "Bravo!" mi fa Ferrini un po' ironico: io già lo temevo, era uno che metteva in soggezione, poi figurati, già avevo paura di non giocare più a pallone, in più mi sono sentito sgridato, dal capitano del Toro, mi sono messo a piangere... Allora mio papà gli dice che io sono il capitano dei Pulcini, e Ferrini rimane un po' così, forse imbarazzato di avermi fatto piangere, mi tira su e mi fa: "Guarda che i capitani del Torino non piangono mai, eh!". Come puoi immaginare è un momento che mi è rimasto impresso.

Una nota musicale, infine: "Un giorno di festa" è un disco in cui più che spaziare fondete un po' i vostri generi preferiti, dal soul al rocksteady, al mod revival e al rock. In alcuni brani il risultato non è dissimile da uno dei gruppi-feticcio del Mod '79, i Secret Affair, che peraltro sono tornati da poco con un (bel) nuovo disco dopo decenni di assenza. A tal proposito, c'è un aneddoto che li e vi riguarda, vi va di raccontarlo?
O: Quello è un tasto dolente, eh... Avevamo chiesto a Ian Page di scriverci la parte musicale di un pezzo, che poi noi ci avremmo aggiunto il testo. Al che lui propone: "Perchè non lo facciamo anche col testo, io l'italiano lo so scrivere, proviamo". Così, ci manda prima il testo senza la musica, ed era una cosa tipo "Vieni a ballare il tarantello", ed era tutto pieno di questi clichè dell'italiano visto dall'estero. Io cerco di spiegargli che un pezzo con un testo del genere in Italia verrebbe percepito come una presa in giro dei napoletani, e non è certo una cosa di cui gli Statuto avrebbero voluto cantare. Lui però non capisce ed è inflessibile: o la fate così com'è o niente. Nulla di fatto dunque, poi è uscita nel loro nuovo disco, si chiama "All the rage". A parte tutto, oltre il fatto degli stereotipi che posso anche non offendermi, ma anche solo da un punto di vista musicale, dove lui canta "All-the-rage" c'era "Ta-ran-tello"... insomma, ci stava proprio male!
 

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L'articolo Statuto - Viva i modernisti di Silvio Bernardi è apparso su Rockit.it il 2013-07-17 14:08:39

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