Gli altri anni ottanta. Intervista a Livia Satriano

Intervista a Livia Satriano, autrice del libro "Gli altri anni ottanta"

Intervista a Livia Satriano, autrice del libro "Gli altri anni ottanta"
Intervista a Livia Satriano, autrice del libro "Gli altri anni ottanta" - Illustrazione di Roberto Roseano

Ho conosciuto Livia Satriano qualche anno fa. Era in televisione a parlare di No Wave, su Rai5, dopo l'uscita del suo primo libro. Una cosa che esattamente non capita tutti i giorni. Mi ha incuriosito molto e le ho chiesto di collaborare, anzi, di regalarmi qualche playlist matta per Quasi. Finora ne ha fatte due che valgono oro e una l'ho dedicata alla sua ultima pubblicazione, un libro di testimonianze sugli anni del post punk italiano, direttamente dalla voce dei suoi protagonisti, tra cui Freak Antoni, Federico Fiumani, Massimo Zamboni, Andrea Chimenti, Christina Moser, Carlo Casale, Lalli e molti altri, dal titolo "Gli Altri Ottanta". Puntuale come le tasse, chiamo Livia alle 14.30 per farmi spiegare come le è venuto in mente di diventare la giovane saggista underground più famosa d’Italia. Mi chiede se mi è arrivata la copia di “Gli Altri Ottanta.” Ancora no, l’ho letto in ebook.

Pensa che è arrivata prima a Parigi che in Toscana…

(Livia Satriano)

Già. Ci starebbe un dissing contro Posteitaliane ma noi siamo gran signori. Cominciamo. Io mi sono sempre interessato di band, quindi il percorso che porta a formare un gruppo, a suonare in giro ecc. lo conosco bene. Invece mi incuriosisce il motivo per cui una ragazza decida non di suonare, non di scrivere romanzi, ma di pubblicare saggi sull’underground.
È successo in realtà tutto molto per caso. Amo la musica di un certo tipo e questa passione mi ha portato a fare una tesi di laurea che parlava di sottoculture musicali. Da lì sono stata contattata da Crac Edizioni che mi ha proposto di fare di questa tesi che trattava la No Wave un libro, dunque mi sono messa al lavoro su questa pubblicazione (“No Wave. Contorsionismi e sperimentazioni dal CBGB al Tenax” - Crac Edizioni, 2012) ed è venuto tutto il resto, consequenziale. Non ho sempre scritto di musica. Mi è capitato ed è stato molto bello. Poi questa passione ha avuto vari sviluppi e declinazioni ma è successo piuttosto per caso. In italiano, prima della mia, non esisteva nessuna pubblicazione che parlasse di No Wave ed era un argomento che mi interessava approfondire anche perché a livello mondiale non se ne era scritto molto, esisteva un solo libro. Mi piace molto l’aspetto del fare ricerca, più che dello scrivere in sé. Ricercare nel passato tra esperienze musicali, ma anche cinematografiche, artistiche a 360°.

Quindi non hai un background di giornalista musicale o blogger?
No, non mi ritengo una scrittrice musicale, sono una persona molto curiosa a cui piace approfondire cose che sono accadute nel passato.

Mi immagino l’emozione di trovarti di fronte alcuni mostri sacri che hanno fatto la storia, da Arto Lindsay a Lydia Lunch ma anche tutti quegli artisti italiani poco conosciuti che hanno cambiato il modo di suonare…
Decisamente. Ho avuto un percorso strano di ascolti che mi ha portato a conoscere, nei primi anni del liceo, prima il post punk inglese che i Beatles (ride), di conseguenza anche gli italiani della new wave. È stato divertente perciò tornare alle mie prime passioni, le prime esperienze che mi hanno interessata veramente.

Ti capisco, io ero uno di quelli che ha scoperto prima i Bauhaus dei Rolling Stones, per dire.
È fantastico. Da piccola ascoltavo i cantautori italiani, le cose che ascoltano mamma e papà, poi di colpo BOOM, grazie a internet mi si apre un mondo. Sarebbe stato più difficile scoprirlo in un’altra epoca senza l’aiuto di Youtube o di Google. Gruppi strampalati, ne ascolti uno e scopri che ce ne sono altri mille! Probabilmente all’inizio dei 2000 c’è stato un po’ un revival di sonorità wave. Magari leggevo l’intervista di una band che diceva di rifarsi ai Sound o agli Wire e m’incuriosiva andare ad ascoltare gli originali, che ovviamente il più delle volte erano meglio dei revivalisti.

(Gaznevada)

È stato facile trovare una casa editrice? Come funziona il mondo dell’editoria indipendente?
Dunque io ti parlo della mia esperienza e posso dirti che non ho trovato molte difficoltà. Con il primo libro è successo grazie a internet. Avevo pubblicato la mia tesi di laurea su un portale che si chiama Tesionline ed è lì che sono stata contattata da un editore che mi ha proposto di scriverne un libro. Nel caso de “Gli altri Ottanta”, lo spunto è venuto dal primo libro perché è naturale che nel momento in cui si hanno già delle pubblicazioni alle spalle è più semplice essere poi contattati per nuovi progetti; ma credo che anche per chi inizi, con un po’ di buona volontà, con una bella idea e individuando quelle che sono le case editrici più adatte a quello che si ha intenzione di fare, si possa facilmente arrivare alla pubblicazione. Chiaramente io ti parlo del mio ambito, che è quello saggistico perché immagino che con la narrativa la questione sia un po’ diversa, ma in generale vedo che ci sono molte case editrici indipendenti in giro, specializzate a vari livelli e che offrono opportunità, e poi internet sicuramente aumenta la possibilità di farsi conoscere e di interagire. Bisogna solo avere le idee chiare su cosa si vuole proporre e a chi.

Ci si guadagna?
Da un progetto editoriale si può guadagnare anche qualcosa, certo, in base alle vendite o ad altre formule di contratto. Nell’ambito dell’editoria indipendente, si tratta più che altro di un contributo per il lavoro svolto, diciamo che non si rischia certo di diventar ricchi, ma poi in fondo non credo sia questo lo scopo primario di chi pubblica un certo tipo di cose. Parafrasando Zappa, we’re ‘not’ in it for the money.

Tornando agli incontri per il tuo ultimo libro ("Gli Altri Ottanta - racconti dalla galassia post-punk italiana” - Agenzia X, 2014) come hai organizzato il lavoro? Interviste telefoniche oppure faccia a faccia?
Parte della bellezza di questo lavoro è stato proprio il viaggio per raggiungere i musicisti. Ho girato l’Italia, posti che non avevo avuto modo di visitare prima, tipo chessò, Pordenone, la patria del Great Complotto, oltre ad essere stata spesso a Bologna e Firenze, che sappiamo essere i centri propulsori del nuovo rock italiano negli anni 80. In generale prendevo il treno armata di registratore e taccuino ed andavo in loco per intervistare tutti questi personaggi che sono stai i testimoni del mio libro, che alla fine è una raccolta di racconti, è molto narrativo in questo senso. Non è un tipico saggio nel quale io parlo, ma sono loro, i protagonisti, che mi raccontano dei loro anni 80, della loro crescita, perché in quegli anni avevano la mia età, tra i 20 e i 30 anni.

(The Great Complotto)


Ho notato che hai proprio tolto te stessa dalla narrazione. Nessuna domanda, solo il fluire dei pensieri del protagonista…
Esatto, volevo fosse il più fluido possibile. Anche le mie domande non erano molto specifiche, erano volutamente ampie e generiche, volevo farli parlare il più possibile per raccogliere le loro emozioni ed impressioni su quello che si andava ad approfondire di quegli anni. In un certo senso sono dei flussi di coscienza che abbiamo definito “racconti orali” di quegli anni, fatti a me che fondamentalmente in quegli anni non c’ero, essendo nata nell’87 non potevo averli vissuti! È stata un’esperienza stimolante anche dal punto di vista personale.

Sei stata una delle ultime persone a poter intervistare Freak Antoni, ne è nato una sorta di testamento molto toccante.
Sicuramente è stato uno degli incontri che ricordo con più affetto. Ho superato molte traversie per incontrarlo, perché già non stava tanto bene di salute. L’inverno scorso Freak partecipava ad un reading, ci siamo conosciuti lì. Tra l’altro era la sera in cui veniva a mancare Lou Reed, mi ricordo questo dettaglio perché ne parlammo un po’. Ci siamo dati appuntamento per il giorno seguente a casa di una sua amica e mi ha lasciato la sua testimonianza, che per me è fondamentale per capire quegli anni, la realtà bolognese, quella italiana. Lui con gli Skiantos ha inaugurato un nuovo modo di fare rock, che poi è stato definito “demenziale”, ma allora era solo una nuova forma. In quegli anni era diffusa la tendenza a rifarsi a modelli esterofili, utilizzare l’inglese, invece lui ha fatto della lingua italiana una bandiera. Non l’italiano colto con i paroloni dei cantautori ma quello volutamente irriverente, semplice. Parlava di argomenti come la pastasciutta o i gelati, per criticare un certo tipo di cultura che si prende troppo sul serio. Il suo racconto l’abbiamo chiamato “Anni di Pongo” perché lui definisce così il passaggio tra i 70 e gli 80. Invece del piombo, il pongo descrive meglio quegli anni eterogenei, plasmabili, in movimento.



Gli anni del punk…
Certamente. Il punk in Italia è arrivato con i suoi tempi, qualche anno dopo rispetto alla sua nascita, e ha fatto tabula rasa di quel rock evoluto, del prog di fine 70, che probabilmente aveva ormai usato tutte le vie possibili. Il post punk, in questo senso, ha dovuto trovare per forza di cose una nuova via sulla quale costruire. Una ricerca verso nuove forme che ha avuto eco negli anni a venire. Sono nate le prime etichette indipendenti, le radio libere che hanno contribuito alla diffusione della cultura alternativa. Il post punk ha realizzato anche interessanti commistioni fra il rock e mondi, come l’elettronica o la disco, che con il rock poco avevano a che fare.

La scena indipendente di oggi come la vedi? Ti interessa o sei irrimediabilmente passatista?
La “musica indiE” come la definiva Fausto Rossi quando l’ho intervistato per il mio libro, marcando con ironia la ‘e’ finale... Sicuramente negli anni zero si è affermata una nuova scena musicale italiana, di varie declinazioni, dal cantautorato al rock alternativo, è palese. C’è un fermento, certo, però non so dove porterà. Non so se magari tra 20 anni si parlerà di questi musicisti, solo il tempo ce lo potrà dire. Quello che sappiamo è che però i dischi non si vendono più, che oggi la musica la si ascolta di fretta sul telefono o dalle casse del computer. La soglia di attenzione è calata a livelli paurosi. È bello che ci sia qualcosa, bisogna capire se avrà poi la forza di affermarsi nel tempo e di influenzare altre cose in seguito. Con internet si può dare ad una band mediocre la stessa visibilità di un’ottima band, creando un calderone nel quale è difficile poi dare l’attenzione giusta a ciò che di bello c’è, a causa della confusione, del sovrannumero. È interessante che con questo libro si sia sviluppata una sorta di riflessione anche su questo argomento. L'indipendente oggi sembra giochi a fare il piccolo mainstream, quando invece potrebbe sfruttare di più la possibilità delle nuove tecnologie per sperimentare, per rischiare un po' di più. Tutti i musicisti che ho intervistato non hanno mai smesso di fare musica e hanno visto la musica stessa cambiare. Il modo di produrla e di fruirla si è trasformato nell'arco di questi 30 anni, quindi di fronte alle nuove tecnologie, che trovano quasi tutti favorevoli, c'è sempre un però. Quello che traspare dai loro racconti è che forse adesso manca un po’ di quell’ingenuità, si parla di un tempo in cui tu venivi a sapere da un tuo amico che esisteva un disco assurdo perché magari lui era stato a Londra e lo aveva trovato rovistando in un mercatino, allora lo cercavi ovunque fino ad ottenere una copia e poterla passare agli amici. Oggi si condivide tutto ma la forma della condivisione è diversa. Il periodo era diverso, c'era una forte connotazione politica in tutto ciò che si faceva e alla crisi si rispondeva con la contestazione giovanile.



Io che sono un po' più vecchio di te, ho vissuto gli ultimi vagiti di quell'era in cui si prendeva il treno per andare, nel mio caso, a Firenze da Contempo Records per cercare quel vinile trasparente in 100 copie che c'era solo lì, quindi capisco bene. Il disco si leggeva come un libro, si mandavano a memoria persino i "grazie". Ma tu negli anni 80 eri una neonata. Cosa ti spinge ad interessarti così tanto di epoche che non hai vissuto? Mi spiego, anche il tuo progetto visivo, il blog Assez Vu, riguarda il recupero di immagini di un altro tempo.
Eh, a questa è difficile rispondere (ride). Magari semplicemente nel presente uno non trova stimoli particolari e quindi si rivolge al passato. La musica nuova è sempre una scoperta, però ci sono anche un sacco di cose del passato che non conosciamo o che conosciamo poco e vale la pena di scoprire. Mi piace ricercare cosa c'è dietro cose che si danno per scontate, perché a volte vi si trovano esperienze bizzarre, strane, link a epoche che non immagineresti. Non è che rifiuti il presente eh, però diciamo che mi piace anche approfondire cose belle che magari sono passate un po' in sordina e che il più delle volte hanno dato vita a qualcos'altro.

In qualche modo i tuoi libri contribuiscono alla scolarizzazione riguardo la controcultura, parlano di argomenti che incredibilmente non sono mai stati trattati su pubblicazioni italiane.
In Italia, a livello di letteratura, mancano trattazioni su un bel po' di argomenti. Prima si parlava di no wave e post punk, ma prendi ad esempio la italo disco o i grandi compositori italiani, magari c'è un libro che ne parla in inglese, ma in patria non se ne è ancora trattato. Della wave italiana se ne parla sempre e poi effettivamente non c’era un libro a riguardo. Quindi invece di pensarlo come un saggio, mi sembrava più interessante andare a far parlare chi l’aveva vissuto in prima persona.

(Neon)

Di che parlerai nelle prossime pubblicazioni?
Ho in ballo progetti editoriali non propriamente musicali. Vorrei continuare a fare ricerca su quello che mi piace. A breve farò anche un sito dove raccoglierò meglio tutto quello che ho fatto finora.

Quindi niente romanzi.
(ride) No, non credo di essere in grado di scrivere di narrativa, faccio sempre un po’ fatica a trovare il romanzo giusto da leggere, vado molto più sul sicuro con la saggistica.

Toglimi una curiosità, ma tu hai mai suonato? Perché col tour di promozione del libro sembra tu stia sublimando questa passione.
Eh no, mi sarebbe piaciuto ma senza doverlo imparare, come quelli che nascono con un talento. Non l'avevo e ho pensato fosse meglio dedicarsi a quello che sapevo fare meglio. Sfruttare la mia curiosità.

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L'articolo Gli altri anni ottanta. Intervista a Livia Satriano di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2014-06-25 00:00:00

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