Immaginate David Tibet dei Current 93, Robin Hitchcock (ma giusto uno spruzzettinino), Ivan Della Mea (vecchio cantore popolare di protesta politica degli anni 60), che suonano insieme, con alla voce Ciprì e Maresco (sì, quelli di "Cinico tv", "Lo zio di Brooklyn", "Totò che visse due volte", "Enzo, domani a Palermo!", "Come inguaiammo il cinema italiano. La vera storia di Franco e Ciccio", "I migliori nani della nostra vita"). Ok, avete un'idea di quello che fa Antonio Mainenti. Quasi trentenne, convinto siciliano (sono cazzi capire quel che dice per chi è nato sopra il Volturno, ma lui – bellamente – se ne frega: "io non voglio più limitarmi perché la gente, la cosa che più mi interessa al mondo, non vuole attuare un minimo sforzo per capire che non sempre tutto deve essere comprensibile: bisogna anche soffrire e sforzarsi". Beh, amico, con tutto il rispetto, non mi metto certo a studiare il siciliano per te. Ma per fortuna c'è anche qualche testo in italiano), convinto anarchico (tutto bene), nel 2001 ha avuto l'idea del Canzoniere Sintetico. Per capirlo magari occorre fare un passo indietro: agli anni 60, quando un gruppo di cantautori (Ivan della Mea, Giovanna Marini, Gualtiero Bertelli) decidono di recuperare il patrimonio folk italiano più politico e di scrivere nuove canzoni nel solco di quella tradizione. Altra premessa: caratteristica del folk è comporre nuovi testi su melodie famose. Ok? Allora Mainenti parte da queste due premesse e le aggiorna al 2000, con tanto di sintetizzatori che sostengono melodie della tradizione ("Amici, amici"), distorcono voci ("Amici di Rausa"), nuovi canti sulla base di classici rock ("Don Luiggi" ha la base di "Child in time" dei Deep Purple; ""Porfirio" corre su un giro standard jazz), contamina leggermente strutture compositive tradizionali con le lezioni del rock e del folk internazionali degli ultimi 50 anni. I testi dipingono un'umanità dolente e distrutta ("U ma amicu è / berluxxxxx, inventori di' lla televisioni / 'nta l'infanzia aveva ad iddu / ca mi dava a cchi pinsari"; "mi sentu vecchiu, stancu / e buono cchiu di travagghiari"), recuperano storie possibili e distrutte dell'antichità (il filosofo Porfirio, i conquistatori romani), tipo Ciprì e Maresco. Nelle note al disco (sì, come nei viniloni anni 60). Aldo Migliorisi parla di "sguardo allucinato, curioso e attento" e di attitudine da fantine, veloce ed essenziale. Tutto vero. Che poi sia anche godibile, è un altro paio di maniche. Può dare un piacere intellettuale, forse. Ma non è neppure questa novità: può anche farvi due palle così.
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La recensione don Luiggi e altri canti a-sociali di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-03-23 00:00:00
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