Una visionarietà femminile con un forte retrogusto di irrimediabile concretezza. Un buon disco che non convince fino in fondo.
“Ciò che a voi sembra osceno a me pare il cielo” è una perifrasi un po’ ricercata ma (dopo un po’) efficace per tratteggiare i confini di questo nuovo album dei Petramante: celebrare la bellezza delle grandi e piccole diversità, usando gli strumenti di un onesto cantautorato pop. La cifra del secondo disco della band umbra - che vede la produzione e la collaborazione di Paolo Benvegnù - è quella di una visionarietà tipicamente femminile (le canzoni sono quasi tutte scritte dalla cantante Francesca Dragoni): sognante, sfaccettata, densa e verbosa ma con un retrogusto forte di irrimediabile concretezza. Diciamolo fin da subito, è un buon disco, che però non convince fino in fondo.
Partiamo dai testi. Sono di quelli che non si vedono più tanto in giro, molto anni ’90 direi: tante parole, infilate bene l’una dietro all’altra, ricercate per assonanza e varietà, un italiano pulito ma non banale (come la voce della cantante). Il tentativo sembra essere quello di descrivere una condizione esistenziale, senza concedere nulla né a quell’intimità un po’ naif, che oggi va tanto, né a quella dannazione femminile a tratti isterica (alla Maria Antonietta per intenderci). “Cadrà anche in me /quella parte alterata /mostrandovi che sono anch’io adeguata /che sono normale /che sono felice". Oppure: “Disciplina e cortesie /nel rispondere, nel sorridere /ma non è quello che mi fa più male /piuttosto questa vita che vorrei risolta /e non è attendere che mi fa più male". Nulla di nuovo, ma dettagli e sfumature ben inquadrati.
Musicalmente, invece, il disco si muove principalmente in due direzioni, appoggiandosi, però, sempre ad un suono molto convincente. C’è qualche canzone più tirata come “La colonia” (la più bella e riuscita dell’album - chi non è stata mai minacciata di essere mandata in colonia?), “La Doccia”. E ci sono poi canzoni più leggere (“Le Calvizie”, “Le Reliquie”), apparentemente più felici, che trattengono, però, una certa malinconia (“La Gonna”), che viene rilasciata a poco a poco, come un veleno salvifico.
Veniamo allora a cosa manca. Forse un po’ di sincerità in più, o incoscienza o spregiudicatezza, (la vogliamo chiamare genuina ispirazione?); qualcosa insomma che renda le tracce non solo dei pezzi ben fatti e anche ben riusciti, ma delle canzoni che camminano da sole, che continuano a spingere senza esaurirsi. Scavare senza paura nelle oscenità per mostrare il cielo.
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La recensione Ciò che a voi sembra osceno a me pare il cielo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-07-23 00:00:00
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good!