I Massimo Volume al quadrato (e più apocalittici ed elettronici del solito)
Il nuovo disco dei Massimo Volume è un pugno nello stomaco. E' inquieto, crudo, ruvido, con synth affilati e chitarre elettriche che tagliano l'aria. E non ti dà neanche un attimo per riprenderti o uno spiraglio in cui il ritmo rallenta e le viscere si rilassano, si sta in tensione per dieci pezzi.
Più elettronico rispetto al precedente lavoro, “Aspettando i barbari” sembra quasi apocalittico. Nel tono generale, ma anche nei dettagli. Come nei riff che stridono di “Vic Chesnut”, uno dei brani più turbati e turbanti dell'album, che si chiude addirittura con l'immagine di una corona di spine sul palco: un commovente tributo ad un cantautore che, prima di trovarla davvero, aveva incontrato la morte svariate volte. Ma l'atmosfera cupa da fine del mondo c'è già fin dalla prima nota di “Dio delle zecche”, pezzo d'apertura. Da lì, un crescendo di barbari che avanzano, vite che si rompono, batteria sempre più incalzante e chitarre sofferenti.
Passando in rassegna i brani, troviamo “Dimaxyon Song”, dedicata a Buckminster Fuller, architetto e inventore, visionario della geometria. E' un inno al coraggio e al genio, dove anche la musica, un post-rock sempre più aspro, sembra rimproverarsi a nome dell'umanità per aver preso a schiaffi le utopie. “La notte” ci riporta per un attimo nelle storie e nelle facce che i vecchi Massimo Volume hanno sempre descritto alla perfezione: nomi, città, fallimenti. E la sicurezza che la notte, tutte le notti, tornerà a nascondere le imperfezioni, gli errori e i ricordi. Così accade anche in “Silvia Camagni”, un romanzo in una canzone, con una chiusura strumentale e spigolosa, amarissima. “La cena” è un misto di ricordi personali, “Compound”, invece, parla di storia recente, della cattura di Bin Laden. Si pensa alla guerra e al sangue, le chitarre e il noise fanno il resto.
La vera domanda che viene da farsi è chi siano i barbari del disco. Lo stesso Mimì non ne ha un'idea ben precisa, possono essere paure, ansie, fantasmi da combattere. Ma anche cambiamenti. In questo caso, il barbaro/nemico che avanza non è altro che il futuro che bussa alla porta perché è già presente. Ci si mette in trincea, si serrano le imposte. Ma c'è poco da fare, e ci si trucca allo specchio, come spose, in onore dei barbari. Non è una resa, non c'è nessuna bandiera bianca. C'è invece una fortissima presa di coscienza, ponderata fino all'ultimo ricordo, di cui ci si libera senza più rimpianti o nostalgie. La ritirata, quindi, non è sconfitta, ma un punto di arrivo. E anche la musica lo conferma. Lo fa “Aspettando i barbari”, certamente, con quelle note che emozionano e che si aprono dopo aver salito scale scoscese e che cambiano continuamente. E lo fa anche “Dio delle Zecche”, che è un cut up di poesie di Daniele Dolci. Uno che in vita, a modo suo, è stato un combattente, un non violento, un educatore. E allora ecco che, forse, gli indizi di una speranza che non è morta (anche se lo sembra) c'erano fin dalla prima canzone. Gli altri, sono soprattutto nei testi, nei punti in cui spuntano raggi di sole e descrizioni del mare, in mezzo alla violenza e all'ombra.
Rispetto a “Cattive Abitudini”, che scorreva leggero e, di fatto, era il disco della reunion, questo è un lavoro difficile, preoccupato. Non è solo musica, nessun disco di questa band è stato mai solo musica. Ma “Aspettando i barbari” è incredibilmente maturo e colto. E vi piacerà, anche se bisogna lasciarlo sedimentare un po' prima di farlo proprio.
Non a caso, si chiude con una sorta di testamento: “Dove sono stato”, l'ultimo pezzo, è un mettere in fila situazioni e persone di cui non si ha più bisogno. Di fronte a tutti voi io oggi umilmente mi inchino per avermi fatto sentire vivo e reso grazia al vostro incanto vi lascio e corro incontro ai giorni che mi spettano. I Massimo Volume ci lasciano dicendoci che si distrugge per ricostruire. E che da qui, forse, ripartono. Chissà verso cosa, chissà per quanto tempo.
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La recensione Aspettando i Barbari di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-10-21 00:00:00
COMMENTI (4)
Mamma mia che disco. Forse anche meglio di "Cattive abitudini".
bello !!
davvero un gran bel album
Il disco di una band che ha fatto la storia e che ricomincia scrivendone un altra. Un grandissimo album, nel quale ci si riconosce in maniera nuova. Assieme a "lungo i bordi", l'album piu bello dei massimo volume, almeno per me.