Vi sarà certo capitato più volte di leggere in queste pagine dei chili di demo che puntualmente raccogliamo ogni anno e che difficilmente riusciamo a smaltire nel giro di pochi mesi. Nell’edizione del 2002 siamo invece riusciti a identificare con certezza l’ultimo della lunga serie e, incredibile a dirsi, ecco sbucare fuori una produzione a dir poco superlativa.
Stiamo parlando di un quintetto che prende il nome di Jailsound e che si presenta agli occhi del sottoscritto, ancor prima che alle orecchie, con un packaging (una cura per la grafica a livelli assolutamente professionali) degno delle migliori produzioni. Sarà, ma spesso l’apparenza inganna e l’ascolto diventa più che mai necessario; ecco quindi il dito sul tasto ‘play’ per entrare nel mondo di questi 5 marziani, perché altro non sono 5 musicisti italiani che imbastiscono un disco del genere!
Voi continuerete a chiedervi: ma dove sta il trucco? Non c’è alcun trucco, perché “Free in a cage” non solo non ne contiene, ma non conta neppure sbavature, nè incertezzè, e né, tantomeno, imprecisioni. Eppure suona caldo, ricco di sentimenti e passionale. Qui dentro ci sono i Go-Betweens (innanzitutto!), ma anche i Police, Badly Drawn Boy, i Pink Floyd, i Notwist, i primi Genesis, la psichedelia, la new-wave, il pop in tutte le salse e, ovviamente, i Beatles.
E poi come non citare la purezza e la profondità dei suoni, tanto che verrebbe da gridare al miracolo nel leggere che l’intero disco è stato realizzato nella Penisola? E in effetti “Free in a cage” è il classico ‘piccolo-grande’ miracolo, perché non solo in meno di tre quarti d’ora ci mostra una formazione che non sembra veramente conoscere limiti, ma dimostra anche che quando l’autoproduzione viene fatta seguendo rigidi criteri qualitativi, i risultati sono inconfuntabili. Per credere quindi alle parole del sottoscritto sarebbe quantomeno necessario un ascolto, e se i riferimenti di cui sopra (e tutti quelli che vi immaginiate possano seguire a ruota) vi bastano, è d’obbligo procurarsi una copia. Vi innamorete all’istante, come già successo a chi scrive queste righe, delle misticheggianti “New decade lie” e “Mist”, delle zuccherose “Where did I go wrong?” e “May I?”, della atmosfere acustiche di “I’m sorry” e della stessa title-track (fra le migliori canzoni degli ultimi anni!!!) - senza comunque dimenticare il resto degli episodi, nessuno escluso.
Insomma, per farla breve, la summa del pop, british e non, è qui dentro, credetemi. E se in giro c’è ancora qualche discografico degno di questo nome, si faccia avanti senza alcuna remora: stavolta c’è materiale validissimo su cui lavorare… e, perché no, fare i soldi!!!
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La recensione Free in a cage di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-02-22 00:00:00
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