Jonathan Clancy è uno che sa fare le valigie, c'è l'ordine e il guizzo improvviso, la psichedelia e tanti vestiti diversi. Uno che potrebbe andare in capo al mondo. Primascelta.
Non è mica facile dire “ecco, questo sono io”. È vero, di solito non te lo chiede nessuno, ma non si sa mai. Se non si hanno aspirazioni alte, tipo partecipare a un reality, può sempre capitare di fare un colloquio di lavoro. Sei tutto preoccupato di dire la citazione latina senza sbagliare gli ablativi e invece a spiazzarti di più è quando ti chiedono di descriverti “con qualche aggettivo”.
Titolare il proprio progetto solista, anche se poi solista non lo è più, His Clancyness ha necessariamente una forte attitudine descrittiva di sé, ma non necessariamente introspettiva. C’è di sicuro la volontà di poggiare sul tavolo quell’”ecco, questo sono io” di prima, ma con un topping leggero di malizia, di fiction.
Non è così facile nemmeno parlare di "Vicious", il primo vero e proprio disco di HC, uscito il 7 ottobre scorso per FatCat Records. Non vi dirò che Jonathan Clancy ha vissuto in 12 città del mondo diverse e che è un canadese di stanza a Bologna. Non vi dirò nientepopodimeno che FatCat quella di Animal Collective e SigurRós e nemmeno del suo percorso musicale, iniziato con i Settlefish, proseguito con gli A Classic education e (per ora) culminato in questo solo-project, che tanto queste cose le sapete. E se non le sapete, ve le ho dette comunque.
Vi dirò che Jonathan Clancy sa fare bene le valigie.
Quelli bravi a fare le valigie si dividono in due tipi. Ci sono i metodici, quelli che magari fanno gli agenti di commercio e sanno quante camicie servono in tre giorni, sanno dove mettere i calzini e le mutande per ridurre spazi ed evitare sgualciture. Niente è superfluo, tutto ha un suo scopo. A dire la verità, quasi tutti quelli bravi a fare le valigie fanno parte di questa categoria. Automatismi rodati dal tempo, dare un nome e una funzionalità alle cose, è di questo che si tratta.
Poi ce n’è un altro tipo. Poi ci sono quelli che sì, l’esperienza salva-spazio ce l’hanno, ma che boh, sembrano avere anche un innato sesto senso, una sorta di previsione espressionistica, folle. Mettono le cose in ordine, stanno sì attenti alle pieghe, ma poi c’è sempre l’imprevedibile, il guizzo geniale. Sono anche quelli che si divertono di più, perché l'occasione per usare quel Borsalino o quei sandali dorati finiscono per trovarla davvero, anche se l’aereo è schedulato nella settimana dell’emergenza gelo. E, soprattutto, tutti glieli invidiano.
"Vicious" è una valigia fatta benissimo. C’è il glam-punk di “Zenith Diamond” (provate a star fermi, se ci riuscite), c’è Neil Young in "Machines", c’è il country di “Gold Diggers”, c’è la chitarra-voce di “Avenue” e la strumentale “Castle sand ambient”. C’è il dream-pop e il rock, quello kraut, quello americano e quello elettronico. Ah, poi ci sono anche molti synth e tastiere (Giulia Mazza) che a volte si alleano coi bassi e le percussioni (i primi in sala di registrazione Paul Pieretto e dal vivo Emanuela Drei, le seconde Jacopo Borazzo), rendendo le atmosfere più dark, più 80s, come in “Crystal Clear” o, complici delle chitarre, le scioglie, rendendole più rarefatte e luminose, come in “Slash the night”.
“Vicious” è una valigia caleidoscopica di visioni e di evasioni, reali o puramente fantastiche. Nelle liriche c'è un costante lavoro ai fianchi tra l'essere protagonista e spettatore, come se Clancy indossasse le cuffie e iniziasse a percorrere le vie di tutte le città che non gli sono appartenute. In questo schema, rapiti dalla propria colonna sonora, si finisce, pugni in tasca, per pensare a sé, a ciò che pesa e a ciò che invece alleggerisce, ed ecco dunque i pezzi più intimi e raccolti, come "Avenue", "Miss out these days" e "Crystal Clear". Ma ecco che, girato l'angolo, si diventa spettatori di ciò che accade attorno, di quello che la notte ti porta in dono, come in "Slash the night". Si alza lo sguardo e si trova un sacco di roba altra, lontana, che non ci calza addosso ed è lì che nel raccontarla si riesce a diventare più spietati, più vicious, come in “Hunting man”, “Run Wild”, “Gold Digger”, e nella stessa “Zenith Diamond”.
In "Vicious" c’è Jonathan che prende in mano la sua Clancyness e ci gioca, sperimenta con la voce, cambia faccia, indossa maschere e belletti (vedi l’artwork) e meglio di un Brachetti si cambia d’abito nel giro di quella manciata di secondi che c’è tra una traccia e l’altra. Come uno di quelli che le valigie le sanno fare con estro, Jonathan riesce a dare coerenza e simmetria, superando apparentemente con un guizzo la naturale difficoltà di trovare il fil rouge tra le tante influenze, passioni, sé e storie che sono presenti in questo lp. "Vicious" è un disco che riesce ad essere tutto sommato rotondo, forse perché gli anni passano e forse perché non c’è niente di meglio che portare in giro l’“ecco, questo sono io” avendo attorno le proprie torce, nel caso mancasse la luce. E con una valigia ben fatta, si sa, si può andare in capo al mondo.
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La recensione Vicious di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-10-28 00:00:00
COMMENTI (2)
Ottimo lavoro.
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