Alfio Antico è tornato. Trattiamolo con il rispetto che merita.
“Cacio cavallo saliato un pigghia cchiù salamoira”, mi dice Turiddu dopo aver innaffiato una pianta che non è messa bene. Intende dire che una volta che hai fatto quello che potevi fare è inutile insistere, non puoi ottenere nulla di più di quanto hai già. Turiddu fa di tutto, dal giardiniere al muratore. Ha un viso che somiglia a un quadro da interpretare: gli occhi piccoli come fessure che svelano poco di una stanza in penombra, una serie di rughe tipiche di chi la vita la conosce meglio di te e un sorriso grande e sincero che non smette mai di offrirsi agli altri. Lo ascolterei per ore, Turiddu, lui che sa parlare alla terra e sa comprenderne le esigenze, guardando oltre quello che a me sembra solo un accumulo di sassi, fiori e acqua. Non ho idea di come faccia, ma probabilmente il suo è un linguaggio segreto, lo stesso che usa Alfio Antico nel suo nuovo album, “Antico”.
Il mondo descritto dal percussionista siracusano è molto simile a quello di Turiddu, in cui si torna alla quotidianità nella sua concezione più minimalista: “Non ci levàti l’aria all’aceddi, sennò nun ponnu vulari”, declama Alfio in “Pirchì”, mentre in sottofondo uno struggente folk agreste si mescola ai versi di cani, pecore e asini, in una sorta di “Pet Sounds” alla siciliana che sa di scirocco, fichi e mattoni. È il punto centrale della faccenda: Alfio nel brano usa il tempo presente perché la sua è una realtà che esiste ancora. Altro che “Antico”, altro che chiacchiere: non c’è nostalgia nelle tracce di Alfio Antico perché si tratta di una cronaca senza filtri raccontata in diretta da una porzione di terra affacciata sul Mediterraneo. Questo senso di contemporaneità è favorito anche dalla produzione di Colapesce e Mario Conte, che ha azzerato ogni struttura classica per consentire alla voce di Alfio e ai suoi tamburi di tentare un approccio in bilico tra arte drammatica e avanguardismo, sostenuto da un lavoro di synth e chitarre completamente al servizio di canzoni per lo più atonali.
La musica di Alfio Antico spinge in due sensi. C’è lo sperimentalismo tirato all’eccesso, nel quale anche un rimbombo diventa significativo e la voce schizza via in un vuoto sonoro inquietante. “Storii di pisci” per esempio è tribale e moderna al tempo stesso, come se gli Animal Collective decidessero di virare in nero la loro psichedelia giocosa e fluorescente. “Venditori ambulanti” ha dalla sua una reiterazione ossessiva e ipnotica che manderebbe fuori di testa Michael Gira. Il percussionista però sa dare un caldo benvenuto anche all’ascoltatore con meno difese: “La rosa” ha una melodia semplice e accogliente, non troppo distante da certi lavori di Lucio Dalla. Ecco allora perché “Antico” è un album bellissimo: non si nega a nessuno pur evitando di concedersi facilmente. È una questione di sensibilità, insomma.
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La recensione ANTICO di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-02-22 00:00:00
COMMENTI (3)
Grande!
ciao quando provo ad ascoltare mi appare la schermata "sorry this album is available only in Italy"
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