Questo album nasce dalla solitudine e dalla noia della pandemia. Un pomeriggio di quelli da “Zona del crepuscolo” del primo lockdown, per passare il tempo ho cominciato a musicare una poesia di mio fratello Luca. Il risultato ci sembrava decente e ci siamo messi a discutere, come facciamo da anni senza mai venirne a capo, dell’arte e dei suoi problemi. Il problema più evidente su cui ci siamo trovati subito d’accordo è quello della mancanza di collaborazione e unità di intenti tra artisti. Troppo spesso, da semplice osservatore o da protagonista, ho notato meschinità e malignità tra artisti, una lotta tra poveri che indebolisce e rende più vulnerabili. Lotta inasprita anche dalla moderna (?) definizione di artista, ovvero colui che raggiunge il “successo” con l’arte. A mio modesto parere essere artisti è un modo di essere, un modo di esprimersi, un modo di vedere il mondo e non ha niente a che vedere col “successo” (parola il cui significato cambia a seconda dell’individuo che la pronuncia). Il passo successivo è stato quindi contattare dei miei amici poeti per sapere se fossero interessati a un progetto in cui io musicassi una loro poesia. Ho sempre amato la commistione tra arti differenti, e in questo caso, lo dimostrano la lira di Hermes, Apollo e Orfeo o il ruolo del guqin nella filosofia confuciana, l’idea di unire musica e poesia è venuta in maniera molto naturale. Ho subito ricevuto la risposta entusiasta di 13 poeti (i valorosi “new poets” del titolo), e mi sono messo al lavoro. Il concetto di “old folk” ha invece vari significati. Se consideriamo “folk” come sostantivo significante “popolo”, il riferimento è a un popolo un po’ stanco e un po’ troppo abituato a guardare solo all’arte del passato, un po’ “vecchio” insomma, soprattutto in Italia dove domina l’esaltazione di tutto ciò che è “classico” (che può significare Dante come la musica degli anni ’70). Trovo affermazioni come “Oggi non c’è nessun bravo artista” o “E’ tutto già visto e sentito” molto rassicuranti (fa stare bene il pensare che solo l’arte che ha accompagnato i nostri anni migliori sia la migliore, ci fa sentire protagonisti di un qualcosa di epocale e ci mette al riparo dalla delusione di sapere che non potremo vedere, leggere e ascoltare capolavori che verranno dopo la nostra morte), ma anche molto pericolose per lo sviluppo di una cultura, oltre che profondamente sbagliate. Penso che i miei (nostri) new poets si scontrino spesso con questo old folk. Il secondo riferimento di “old folk” sta nel mio amore per il folk come genere musicale. Non è il mio genere preferito, sono un metallaro incallito, ma ho sempre amato il modo di vivere dei cantanti folk, incentrato sul viaggio, sulla fatica e sull’incontro e il contatto con gli altri. Fatica, gavetta, contatto, viaggio dell’old folk unito alle nuove (imprescindibili) tecnologie dei new poets, solo il compromesso fra queste due filosofie troppo spesso messe l’una contro l’altra può migliorare le cose. Accennando allo splendido artwork di Enrico Natoli per la copertina, vorrei sottolineare come il nostro abbia capito come questi new poets siano riusciti con la loro freschezza e la loro fiducia a ridare linfa vitale alle mani (e al cuore) dell’old folk che li ha cantati. Musicalmente, e concludo, ho cercato, senza riuscirci ovviamente, di mescolare Metallica, Slayer, Iron Maiden, Pearl Jam, Radiohead, Tom Waits, Dave Matthews Band e Francesco Guccini. Ne è nato qualcosa che mi spiegherà chi avrà la pazienza di ascoltarlo.
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