Simone Arminio – Il Resto del Carlino
Testi poetici e ricercati in una base rock dominata da tastiere che oggi è raro sentire ancora. Com'è raro, d'altronde, ascoltare brani in italiano ma limpidi e acuti, venendo meno a quella regola che oggi sembra infrangibile e che prescrive ai cantautori, se vogliono essere tali, di tenere un tono dimesso e lievemente stonato. Viva le voci limpide allora: quella dei Foschia, è di Giacomo Grande, che suona anche chitarra e piano. Con lui sul palco ci sono Francesco Reni e Riccardo Gallerani alle altre chitarre, Lorenzo Piccagli al basso, Nicola Focacci alle tastiere e ai cori e Michele Carrabba alla batteria. Vasto il panorama musicale di riferimento, che per stessa ammissione della band guarda agli anni '70 e ha due grandi punti di riferimento: i Pink Floyd da un lato, di cui i cinque amano le caratteristiche intro e i suoni ricercati e rarefatti,e la musica d'autore italiana di quegli stessi anni, a cui si rifanno i testi e le tastiere, mentre l'organo in 'Entrance' e certi ritmi irregolari, così come certe lunghe intro melodiche e certe circonvoluzioni guardano dritto al rock progressive.
Se esistesse ancora l'etichetta della musica d'autore, oggi sovrastata senza diritto alcuno da un indistinto 'indie', la musica dei Foschia vi entrerebbe di diritto. Da sottolineare nella loro produzione, anche un ottimo brano cantato in inglese, 'Different ways', che ricorda certe sonorità di Elton John, e alcuni pezzi che guardano a un certo cantautorato romantico e dal buon fondo rock.
Il brano migliore? Forse la strumentale 'Delirio', che al significato del titolo oppone un'intro pulita, un pianoforte etereo e una batteria lievemente jazzata, panorama in cui letteralmente irrompono le chitarre, in un crescendo di sonorità diversissime eppure mai davvero eterogenee. Oppure 'Ombre scure alla stazione': arrangiamenti perfetti, lievemente nostalgici, romantici quanto basta, il cui filo conduttore è una chitarra dal suono curato, perfetta introduzione a un testo di ruvida poesia e a un ritornello di rottura, capace di stupire al pari dell'evoluzione rock successiva o della coda prog sul finale...
Sono così quasi tutti i brani dei Foschia: un gioco di scatole cinesi dalla fattura ricercata e i materiali raffinati: piccole bolle perfettamente curate che sembrerebbero fini a loro stesse, e che invece contengono al loro interno ulteriori bolle. C'è della qualità, è indubbio. Sorretta da una conoscenza musicale e da una ricerca sonora che sarebbe un peccato non sentire evolversi, nel tempo, in qualcosa d'altro e più mainstream.
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