Addomesticati. Persi. Non sappiamo più neanche stare fermi ad aspettare. Navighiamo a vista, dentro il mare del nostro continente che piano piano sta affondando lasciandoci soli, con tutte le nostre domande e con un foglio bianco, senza una penna. Distratti da chili di droga, da programmi culinari, dalle serie televisive, cerchiamo il coraggio per uscire da questo limbo. Il carnevale imperterrito sembra non finire più, le strade sono piene di carri e maschere. Nel frattempo noi contribuiamo alla festa che sarebbe dovuta finire già da un po’. Serviamo ai tavoli, siamo i camerieri.
E se non avessimo più tempo? E se questo stato adolescenziale in cui ci siamo cullati e persi improvvisamente ci mostrasse un’altra faccia? C’è sempre una redenzione. E passa sempre dall’acqua e dall’amore. Basta un po’ di mare. Qualcosa e qualcuno da amare, qualcosa e qualcuno in cui sperare. Basta andare al cinema il lunedì quando non c’è coda. Basta cercare le strade dove c’è poca luce. Eccola qui la vera bomba. Dall’esplosione nasce nuova musica, un nuovo futuro. Un futuro semplice. Dove si cantano le canzoni che ci fanno sentire bene. Cantiamole forte. Anche se siamo stonati. Perché non ci abbiamo pensato prima? Non ce le siamo mai scordate. Erano e sono sempre qui. Da qualche parte nella nostra testa.
Dentro “Il futuro è nella testa” ci sono tutte queste canzoni.
Ci sono canzoni che parlano dell’enorme trappola culinaria in cui siamo caduti: in “Cucine finte e telefilm” si racconta dell’inganno che per mezzo di uno schermo diventa dottrina. Le serie tv e le ricette degli chef sono diventati il nostro nuovo punto di rifermento. La nostra nuova religione.
In “Camerieri” si descrive la nostra generazione: che serve ai tavoli, non avrà pensione ma pretende di avere, pretende da bere. Che si sveglia quando tramonta il sole e che cerca disperatamente una redenzione.
Una generazione che è cosciente solo a tratti della propria miserabile condizione. “Siamo messi male” è uno di quei momenti di lucidità in cui ci si rende conto e si è anche capaci di essere autoironici.
In “Artisti da fast food” si parla della nostalgia degli anni sessanta che molto spesso ci ammorba. E’ vero, a quel tempo esistevano gli intellettuali. Le lauree si prendevano solo dopo cinque anni di lavoro. Esisteva una disciplina liberatoria: una disciplina che elevava e che permetteva tante grandi e piccoli rivoluzioni sociali ed individuali. Esisteva un nemico reale e ben visibile da combattere. Esistevano le canzoni. Esisteva l’amore senza iPhone. E’ però anche vero che se al posto delle canzoni abbiamo solo rumore, se le lauree biennali e triennali dilagano, se il nemico si nasconde e se il nostro amore passa dalle chat di facebook è soprattutto colpa nostra. Una delle conseguenze peggiori? I nostri artisti sono diventati come un hamburger da consumare in 5 minuti e non più una ricetta artusiana piena di misteri, tradizioni e piccole bontà. Salvo rare e preziose eccezioni.
Dentro “Il futuro è nella testa” ci sono canzoni che parlano di amore e di semplicità che da sempre sono le uniche cose che ci possono salvare.
Ne “Il Mare” si racconta delle piccole scelte che bisogna fare. Esiste un inverno in ogni estate e un’estate in ogni inverno. Solo attraverso un amore semplice, attraverso dei piccoli piaceri e delle rinunce possiamo capire cos’è l’amore e goderne in pieno.
in “Caterina”, invece, si racconta l’amore acerbo quando la paura di scoprire il proprio corpo diventa eccitazione e si fa l’amore dal tramonto all’alba.
In “Questo nostro continente” si parla dell’amore che si deve avere in sé stessi. Cercare i telefoni rotti, il cinema di lunedì, le vecchie canzoni di Sergio Endrigo significa cercare l’eccezionalità che è dentro ognuno di noi. Eccezionalità che può farci riemergere individualmente da ogni situazione. Anche quando il nostro corpo è attaccato ad un continente che sta affondando.
Anche “Confido in te” parla d’amore. L’amore che serve quando sei incastrato tra gli annunci dei monolocali e hai bisogno di respirare qualche cosa d’importante ed andare contromano. Quando si affida tutto, bugie, paure, speranze, nelle mani di una persona amata che sappia perdonare e ironizzare. Elementi fondamentali per disegnare il futuro.
Ed eccoci qui al tempo. Afflizione principale dell’uomo del passato e del presente. In “Se non avessimo più tempo” si parla di questo. Della paura che niente resti. Di noi che ci rincorriamo senza mai abbracciarci e parlare per primi del giudizio universale. Perché ognuno di noi prima o poi affronterà un giudizio universale. Con o senza Dio. Lo diceva anche Bowie.
Ed è sempre il tempo il protagonista della canzone “Il futuro è nella testa” che riassume tutto. La paura di non avere più niente da amare, la voglia di cantare, la consapevolezza di non riuscire più a dormire profondamente e serenamente come quando eravamo bambini ma anche la rabbia che diventa bomba, che diventa forza. Forza di vivere il futuro che abbiamo disegnato nella nostra testa.
Il futuro è nella testa
Le furie
Descrizione
Credits
Le Furie sono:
Edoardo Florio Di Grazia: Voce, chitarre, pianoforte
Giacomo Mottola: Chitarre, vibrafono, marimba, voce
Irene Bavecchi: Basso, cori
Theo Taddei: Batteria, percussioni, cori
Musiche: Le Furie
Testi: Edoardo Florio Di Grazia
Produzione artistica: Le Furie, Davide Autelitano
Registrato da Taketo Gohara, Federico Calvara, Niccolò Fornabaio presso Noise Factory e La Cùpa , Milano (Mi)
Mixato da Alessio Camagni al Noise Factory, Milano (Mi)
Masterizzato da Giovanni Versari presso La Maestà Mastering, Tredozio, (FC)
Grafiche by Legno
Fotografie: Sara Mautone
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