Le memorie dell'acqua

Le memorie dell'acqua

Lo yeti

2017 - Cantautoriale, Indie, Pop rock

Descrizione

Le Memorie dell’Acqua è il disco d’esordio del cantautore bolognese Lo yeti.
L’album nasce dall’esigenza di delineare il proprio vissuto: prima per raccontarselo e comprenderlo, poi per affidarlo all’acqua, affinchè lo trasporti in modo trasparente e senza giudizio. Come in un fiume, ogni brano è un affluente che fissa le diverse sfaccettature di un rapporto: trovarsi, amarsi, cambiare, allontanarsi, tradirsi, lasciarsi.
Le memorie scivolano così su chiunque ascolti, in un fluire di sensazioni personali ma allo stesso tempo universali.
L’acqua è il fil rouge che permea l’intera opera, assumendo, di volta in volta, forme e significati diversi. L’acqua è neve, lacrime, bolle di sapone, torrenti, mare. L’acqua è la persona in grado di infiltrarsi dentro di te, fino a scavare e a creare solchi. L’acqua, nel suo stato alterato più estremo, è ghiaccio, quello stesso ghiaccio da cui misterioso e dal nulla arriva Lo yeti. L’acqua infine ha una dimensione sotterranea, come quella dei canali che scorrono invisibili sotto Bologna, città che ha dato vita all’autore e al suo progetto.

Santa madre dei miracoli
Dall’impossibilità di condividere nasce per lo spirito il bisogno di cercare qualcosa di esterno alla propria relazione, ed anche a se stessi, a cui aggrapparsi con forza, in cui credere ciecamente, in cui buttarsi e perdersi. Un brano dalle influenze soul che parla di un tradimento, reiterato e mai svelato. La paura di essere scoperti. E il percorso di autoperdono necessario per andare oltre, approdando a nuovi equilibri, sottolineati musicalmente da aperture di incredibile respiro e fiati evocativi. La ricerca di un qualsiasi palliativo, qualcosa che possa lenire i sensi di colpa, “riscoprendo l’equilibrio grazie a nuove religioni, grazie all’uso dell’ipnosi, alla psicoanalisi”.

Sotto effetto della luna
Contrasti cromatici che creano distinzioni, che accentuano le differenze, rendendole ancora più nette ed evidenti. Il bianco: della luce della luna, del manto della neve. Il rosso: delle fragole, del viso di chi non sa mentire, ma tenta ugualmente l’impresa impossibile di farlo. Colori opposti che mettono a confronto, rendendo ancora più nitide e chiare le peculiarità di ogni cosa, “come neve che ad aprile cade sulle fragole, e si posa solo il tempo necessario per mostrarle ancor più rosse”. Una chitarra cinica e una voce consapevole.

Rita
Un fervido ritratto di donna, echi beatlesiani e cori avvolgenti: è Rita, colta nei suoi contrasti, nelle sue luci e nelle sue ombre, nei suoi giorni e nelle sue notti. Solare, brillante, fantasiosa, con la “testa tra le nuvole” e con una teoria dei colori tutta sua. Ma anche metereopatica, fragile, testarda, con inverni gelidi tra le mani e con storie alle spalle che ha scelto di non raccontare. Da una parte c’è il percorso di una persona che cambia, rifugiandosi ermeticamente dentro se stessa, chiudendo al di fuori tutto il resto. Dall’altra ci sono la mancanza, il senso di impotenza e la nostalgia che avverte chi è stato chiuso fuori.

La canzone dell’acqua
L’acqua con il suo scorrere crea legami, con il suo flusso innesca cambiamenti. Acqua nella sua duplice veste, di purezza e trasparenza, di lineare quotidianità, ma anche di forza potente, violenta, che tutto spazza via, senza fare distinzioni. Acqua incontaminata, che nasce da sorgenti lontane, adagiate sulle montagne… ”e poi, scenderà, scenderà”, fino a toccare gli “scempi dell’umanità”, con il potere di sommergerli, in nome di un futuro e speranzoso rinnovamento: “senza inutili parole, riusciremo a respirare anche sotto l’acqua”.

Intrepida
La nostalgia che permea questa ballad rivela un amore forte e totalizzante ma pervaso dalla consapevolezza di trovarsi in due luoghi ed in due tempi diversi, pur essendo sullo stesso percorso, nella stessa dimensione, nella stessa storia. Lo scontrarsi con le differenze che inevitabilmente si sono create e lentamente sono cresciute, fino a divenire ostacoli che separano, difficili da sormontare. Ostacoli che ciascuno, all’interno della relazione, affronta a modo suo, con i propri strumenti. Anche con la reazione intrepida di chi, nonostante tutto, va avanti, con la “voglia di ridere”.

Amore bufalo
Il bufalo, animale possente, massiccio. All’apparenza forte, solido. Ma in questo brano, onirico e visionario, è reso vulnerabile, in preda alle contraddizioni e soggetto a mutamenti: di forma, di stato, di significato.
Bufalo: tre sillabe diventano un ritornello che si scolpisce nella memoria dell’ascoltatore come un mantra.
Un brano che simboleggia il cambiamento: la sua inevitabilità, la sua continua ricerca; concetto sottolineato musicalmente dall’alternarsi di un rock ipnotico e serrato, che cede il passo ad uno stato di calma apparente dal ritmo elettronico, e a chitarre acide sullo sfondo.
Amore bufalo si fa portavoce del più grande valore a cui possiamo ambire: la capacità di accettare di cambiare. Di distinguerci. Di trovare il nostro posto nel mondo: “ti scioglierai, pillola nel mare e tornerai fatale, nuova cuspide nel segno zodiacale Bufalo”.


La nostra rivoluzione
“Non c’è neanche una piccola rivoluzione in noi”. Un noi in cui è racchiusa un’intera generazione. Un brano che crea distinzione tra ciò che può mutare e ciò che invece è immune al cambiamento: “passeranno le rivoluzioni, resteranno i grandi amori”. La canzone stessa subisce al proprio interno una rivoluzione: l’inizio delicato, intimo omaggio a Blackbird dei Beatles, cede inaspettatamente il posto ad un ritmo più incalzante, che volutamente restituisce all’immaginario i luoghi e i tempi di una generazione: una spiaggia, un falò, una chitarra, e le note di Battisti. Sonorità biografiche ispirano una melodia raffinata, che svela le grandi doti compositive dell’autore.
Una piccola rivoluzione sonora per parlare di una più grande rivoluzione generazionale.

Anidride
Anidride carbonica rappresenta qualcosa di impercettibile, di impalpabile e silente, in grado di coglierti ed annientarti di sorpresa, nel momento più inaspettato: “nella gioia il dolore che soffoca, anidride carbonica”. Potere letale su una vittima inconsapevole. Un brano sulla fisiologia dell’assenza. Perchè l’accettazione di un abbandono non riguarda solo la mente, ma impatta anche sul nostro corpo, implicandone ogni parte: atomi, cuore, ossa, e al “fegato il compito più duro, mostrarsi indifferente”.

Uomo
È volutamente l’ultimo brano dell’album. Un momento per chiedere scusa alle persone che nella propria vita hanno davvero avuto significato. Il divenire adulti, uomini, avvertendo un senso di completezza, di ricongiunzione, esplicitato in un ritornello potente. Brano di chiusura e punto di arrivo dell’acqua. Meta e fine del suo lungo e tortuoso viaggio. Qui l’acqua assume la forma di una donna, capace di penetrarti all’interno, scavando, infiltrandosi, scuotendoti con impeto, fino a fondersi con la tua interiorità, invadendola. Un ciclo che si chiude in un outro sognante e malinconico. “Scava Giusy e scendi giù impetuosa, dove la carne è sangue, poi giù fino alle gambe, per sentire blaterare il mio cuore”.

Credits

Prodotto da Angelo Epifani.
Arrangiamenti di Pierluigi Ballarin.
Musiche e testi di Pierpaolo Marconcini.

Hanno suonato:
Pierpaolo Marconcini - Voce, Chitarra Acustica, Chitarra Elettrica
Marco Milani - Basso, Programmazioni
Pierluigi Ballarin - Tastiere, Piano, Synth, Chitarra Elettrica
Simone Gelmini - Batteria
Daniela Savoldi - Violoncello
Matteo Caselli - Tromba

Registrato presso i Tup Studio di Brescia da Pierluigi Ballarin e presso i Raw Studios di Bologna da Angelo Epifani.
Mixato e masterizzato da Angelo Epifani presso i Raw Studios di Bologna.
Pubblicato da SRI Productions su licenza di Epifonica SoundLab.
Distribuito da Audioglobe.
Progetto grafico di Pierpaolo Marconcini.
Foto in copertina di Stefano Bellamoli.

Ufficio Stampa: L'AltopArlAnte

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