Preceduto dal singolo “MESTIZIA” è uscito Il 15 giugno 2019 per la DedalusRecords ENTROPIA primo album dell’Alternative/Rock Art/rock band Siciliana Once We Had,l’album si compone di dieci tracce che attraverso musica e testi portano l’ascoltatore in un mondo,oscuro e matafisico,dove si percorrono i meandri più ignoti della mente umana,odio,amore,morte, sofferenza,disagio e senso di inadeguatezza si fanno spazio per ricordare ad ognuno di noi che questo mondo è fame di potere e non c’è nient’altro,Tutto viene fuso insieme in un'estasi di isteria collettiva, in un rituale edonistico in cui i fantasmi del dolore (la droga, l'emarginazione, l'alienazione, il crimine, la paranoia) vengono trasfigurati in arte ed esorcizzati.
L’apertura è affidata a Cuore Nero pezzo dal sapore grunge con venature doom e metal nel quale un muro di chitarre si abbatte sull'ascoltatore, afferrandolo per la gola e scaraventandolo in un abisso di decadente, morbosa metallicità,di inaudita violenza psicologica e sonora a ricordare che l’amore è croce e delizia della vita e che la musica spesso rimane l’unica via d’uscita.
Segue BUON COMPLEANNO,una ballata sblilenca e psichedelica cantata a due voci che và come un vascello in mezzo al mare oscuro e tempestoso,La melodia che ruota su se stessa dando vita a una sorta di "madrigale psichedelico",il testo a tratti visionario ci porta a riflettere sulla spensieratezza che non sempre può essere raggiunta a tutti i costi e a quanto spesso ci si può sentire soli con i propri fantasmi benchè si sia circondati da amici,il pezzo è una sorta di filastrocca funerea dove non esiste spazio per la redenzione.
Oltre le Montagne arriva col suo riff monolitico e strizza l’occhio ai Sabbath,pezzo in cui si indagano la fragilità, i rimpianti, le speranze, di un amore ormai consumato e irripetibile,intrisa di uno spleen fatalista che ha sempre qualcosa di seducente.Il suono si dilata a dipingere un acquarello psichedelico prima di riportare l’ascoltatore nel kaos.
SILENZIO,sostenuta da un giro di basso incalzante che non lascia tregua all’ascoltatore si dipana in sette muniti di psichedelia applicata allo stoner e al pop come nel ritornello di Leopardiana memoria,conducendoci in un non luogo dove la bestia (l’amore) ci divora rendendoci inermi ma nel contempo ci attrae perché senza non si potrebbe vivere,densa di uno spleen arreso e romantico,di una libertà sovrannaturale in cui l’abisso che più temiamo è la vertigine a cui vorremmo abbandonarci per sempre.Sul finale si apre ad una languida,sulfurea fucina soul il cui empio,armonico fulgore viene orchestrato come se fosse parte di una liturgia profana,una sofisticata preghiera da postribolo.
Giunti a metà del nostro viaggio troviamo B,un’oasi dove l’ascoltatore può trovare pace,qui i rimandi ad un certo tipo di letteratura e di musica si fanno evidenti,fino all’esplosione psichelica finale che porta tutto ancor di più nella dimensione del sogno onirico e della presa di coscienza verso altre vie lontane dalla mondanità illusoria e dai ritornelli pop di facile consumo,è la canzone dedicata alla Musa come un moderno Werther il protagonista si interroga su quanto sia fondamentale tornare alla propria essenza attraverso emozioni e sentimenti che da lei convergono verso un mondo e delle parole nuove,la speranza non lascia mai spazio allo sconforto e la vittoria finale sembra a un passo per chi sà andare oltre le apparenze.
Seattle Cemetery, è una specie di asintoto esoterico,un poema epico ed osceno come l’“Ulisse” di Joyce,le metamorfosi di Ovidio inscenate da quadri viventi che si susseguono come nelle Passioni del teatro medioevale.Nel canovaccio turpe e fiabesco,mistico e antropologico, sussurrato, gridato, recitato più posseduto che ispirato,si attornano,sbozzati da un affresco senza luce ne prospettiva,rappresentanti di tutte le epoche in un’umanità ormai rassegnata al giudizio,all’apocalisse o semplicemente alla “fine”. Deliri biblici,visioni profetiche, che trovano la loro catarsi finale in un melodramma autobiografico recitato.La trance strumentale ricompone ogni trauma fra i tentacoli di una suspence onirica,possente,monolitica.
Mestizia,già dalle prime note si sente che la guerra è vicina e che nessuno uscirà vivo da qui,Nietzsche ha detto “Ogni filosofia nasconde anche una filosofia; ogni opinione è anche un nascondiglio, ogni parola anche una maschera”.Questo è il tema sul quale si sviluppa il testo,La canzone, in un divenire continuo, degenera infine in un caos insostenibile, come in una guerra combattuta davvero con le linee degli strumenti che si rompono nella bolgia della battaglia.
Sortilegio,pezzo impregnato da un misticismo evocativo,reso possibile dall’utilizzo della chitarra a sostituire i Synth e dal sapientissimo utilizzo del groove di basso e batteria,l’ascoltatore plana in questa città arida,fatta di persone futili e banali,dove il bene materiale sembra aver sostituito la necessaria ricerca di elevare lo spirito,sul finale tutto deflagra in uno Stoner doom massiccio compatto che serve allo stregone per scuotere le coscienze e liberarli attraverso il rituale dalla condizione in cui si trovano.
Il tema conduttore dell’album si chiude con la penultima traccia 31/10,"Un tempo la gente era convinta che quando qualcuno moriva un corvo portava la sua anima nella terra dei morti. A volte però accadevano cose talmente orribili, tristi e dolorose che l'anima non poteva riposare in pace. Così il corvo riportava indietro l'anima perché rimettesse le cose a posto" il narratore, è osservatore di questa vicenda ultraterrena, alla cui base vi è il lungo e immortale abbraccio tra amore e morte, Eros e Thanatos, entità mitologiche legate da un eterno e sofferto vincolo. Già dalla frase introduttiva si capiscono i toni fiabeschi e oscuri, il corvo, in quanto entità ultraterrena, è l'animale infernale che traghetta le anime dei defunti nel loro viaggio celeste, attraversando mondi e dimensioni interconnesse. Mondo dei vivi e mondo dei morti in sovrapposizione per narrare una leggenda maledetta, dove i toni fiabeschi, fantasiosi e artistici non sono, almeno nel caso di cui ci occupiamo, così tanto lontani da quelli reali infatti il testo è ispirato sia al film il corvo che alla perdita per mano assassina di un caro amico,i due accadimenti si intrecciano nelle varie fasi esecutive.Tutto è studiato per raggiungere più spettatori possibili, sedurli e accompagnarli nel lato oscuro della scena, alla disperata ricerca di giustizia. Le sequenze alle quali assistiamo, veloci e frenetiche, sono dominate da una sorta di follia atavica, che può essere associata a un'astinenza da sostanza psicotropa che annebbia il cervello e oscura il pensiero che ha plasmato mode e sperimentato suoni.si avvale di questo universo musicale per dare il meglio di sé, per trasmettere ossessioni e incubi, per coinvolgere con luci soffuse e tonalità nere, sottolineando la brutalità e lo spaesamento umano in questo malinconico labirinto d'amore che sfocia in una tragedia divenuta fin troppo reale.
L’album si chiude con Catena,pezzo strumentale che riporta finalmente alla luce,lasciando intravedere una speranza alla fine di questo viaggio asettico e oscuro,i toni sono sognanti a tratti jazzati e si apre a visioni che hanno a che fare con il mistico e lo sciamanico,dove l’ascoltatore può abbandonare i propri sensi e lasciarsi traghettare verso l’ignoto,fatto di luci ed ombre e di energia che arde viva e conforta i cuori.
ENTROPIA
Once We Had
Descrizione
Credits
I ONCE WE HAD SONO:
Rosario Spataro (Ross Anthony Fisher),Chitarra/Voce
Giampiero “Stone”Licata,Basso/Cori
Salvo Antoci (Sheer),Batteria/Cori
Emanuele Baldanza,Chitarra
Violetta Di Martino Russo (branwen),Synth e Voce
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