J LORD
Senza più alcun fremito ormai da anni verso la maggior parte delle nuove uscite trap e dintorni, mi imbatto in un video dal titolo 2020 Freestyle. C'è un ragazzo appeso fuori da un Land Rover, poi sul cofano, poi sul tetto, e non smette mai di cantare. La base del napoletano Dat Boi Dee è semplice e diretta, coerente con il titolo del brano. Il resto lo fa lui, con la sua fisicità e con metriche impressionanti. Sfido chiunque, senza saperne nulla, ad ambientare quel video in Campania e non in qualche campagna fuori Atlanta o forse meglio Londra o Parigi. È una frase di un provincialismo imbarazzante, ma è la verità. E ha a che fare con il talento di J Lord e con la sua biografia: classe 2004, originario del Ghana, è cresciuto a Casoria dopo essere stato adottato da una famiglia del posto. Nei suoi pezzi, che ha iniziato a caricare nel 2019 su YouTube, rappa in dialetto napoletano con un flow super. È magnetico, grazie anche a dei difetti di pronuncia che rendono tutto più riconoscibile e personale. Next Big Thing se esiste qualcuno lassù.
KENZE NEKE
Michele Schirru era un anarchico sardo e pensava che non ci fosse altro modo di sconfiggere il fascismo che uccidere Benito Mussolini. Nel gennaio del 1931, mentre iniziava a studiare gli spostamenti del duce e ben prima che iniziasse a stendere il piano del suo attentato, Schirru fu arrestato, condannato a morte e venne ucciso nel maggio dello stesso anno. Morì al grido di “Viva l’anarchia”, da "kenze neke", senza colpa, come si dice in sardo, al termine di un rapido processo alle intenzioni. Kenze Neke è il nome di una band nata nel 1989 a Siniscola, in provincia di Nuoro, che da 41 anni omaggia con la propria musica la figura di Schirru e la madrepatria Sardegna. Lo fa con un punk in dialetto autonomista come appartenenza politica e come approccio DIY. Per la prima volta negli scorsi mesi le loro canzoni sono sbarcate sulle piattaforme di streaming, un compromesso che aiuterà a fare conoscere una storia unica e irripetibile dell'underground di casa nostra.
KINA
Pur non essendo uno di quelli che si fa ammaliare dalla retorica del self-made guy e non concependo come un valore in senso assoluto il numero degli streaming, mi ha colpito molto la vicenda di questo ragazzo di 20 anni o giù di lì di Acerra, nella Terra dei Fuochi, che un giorno riceve una mail dalla Columbia Records che gli propone un contratto, riuscendo per altro a battere per pochi giorni la concorrenza delle altre major. Dalle prime produzioni house in cameretta all'infatuazione per Asap Rocky e Travis Scott, che lo avvicinano al rap (in quel filone che oggi chiamano lo-fi). Comincia a mettere in Rete i suoi beat, che il pubblico e gli algoritmi di Spotify e YouTube dimostrano di apprezzare. Con il singolo Get you the moon fa il botto, grazie anche al vocalist Snow, trovato sempre online. Gli stream arrivano a milioni, poi i contratti e le richieste di collaborazione da ovunque.
LAGUNA BOLLENTE
Lei si chiama Dunia, lui si chiama Elia e sono una coppia che ascolta ottima musica, non usa i social, bestemmia, parla di alcool, sesso e droga e ha rubato il nome a un'associazione di scambisti veneziana. Sono la mia band preferita del 2021 e il mio ideale di uscita a quattro.
LONGARETTI ROBERTO (SPREAD)
Ai primi di aprile, come milioni di altri italiani, non avevo la più pallida idea di cosa stesse capitando al genere umano: che cosa esattamente ci stesse tenendo in casa, fino a quando, con quali prospettive, quali reali rischi stessimo correndo, come ne saremmo usciti, che mondo avremmo trovato dopo (questi ultimi due rimangono penosi interrogativi). Non si parlava d'altro che di Covid, ma senza capirne nulla e alimentando così ancora di più le proprie paranoie. Poi una sera – privilegi di fare questo lavoro – una telefonata serale mi aiutava a mettere un po' di cose al loro posto. Dall'altra parte della WhatsApp Call c'era Roberto Longaretti, musicista e voce della rock band Spread, che nel 2018 ha pubblicato l'album Vivi per miracolo (sic!), e di professione fa il medico di base a Borgo di Terzo, un paese di poco più di mille abitanti a venti chilometri di Bergamo, in Val Cavallina. Il suo tono della voce nel descrivere una situazione drammatica, la sua rabbia per come erano stati abbandonati e la determinazione a fare tutto ciò che poteva per la sua gente, mi spiegò molte più cose di ogni editoriale e di mille edizioni del Tg. Nei mesi successivi io e Roberto – che Alberto Ferrari descrive come una specie di coautore della sua Razzi Arpia – ci siamo sentiti più volte, lui si è sposato e ha pure avuto un po' di altri casini. Io lo devo ringraziare, perché mi ha aiutato ad avere un po' meno paura del virus e perché ci ha regalato questa bella canzone (dedicata alla figlia).
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LUCCA MIRIAM
Questo è stato l'anno della definitiva deflagrazione del K-Pop, che ha monopolizzato le chart internazionali. Accanto ai colossi BTS e Blackpink nascono ogni giorno nuovi gruppi, più o meno creati a tavolino e più o meno destinati alle cuffiette delle vostre figlie. Uno degli ultimi e più ambiziosi progetti è quello delle Prisma, un gruppo internazionale messo in piedi dalla Union Wave Entertainment, compagnia con sede a Seul e in Svizzera che si occupa della promozione di artisti e spettacoli made in Corea. Sono stati loro a riunire Gyeongmin, "leader" della band, coreana come Eunbyeol, "main dancer" del quintetto, Sally, rapper americano-cinese, Nia, spagnola, e Miriam Lucca, "main voice" della girl band. Lei ha 16 anni, viene da Caserta e ha "avuto la parte" tramite una lunga selezione online e una finalissima europea disputata a Parigi. Qua raccontiamo la sua storia.
MAGALETTI VALENTINA
Uno dei pochissimi concerti cui ho avuto modo di assistere quest'anno era a mille chilometri da casa, a Locorotondo, nel barese. Al VIVA Festival si esibiva Nicola Conte, grande interprete pugliese della World Music, che per l'occasione aveva messo assieme un ensemble di prim'ordine. A colpirmi più di tutti era la batterista, che ho poi scoperto chiamarsi Valentina Magaletti. Barese, vive da circa 20 anni a Londra, dove ha trovato la sua dimensione artistica. Ha suonato con Thurston Moore dei Sonic Youth, con Nicolas Jaare nel duo dei Tomaga, in coppia con Tom Relleen, scomparso lo scorso agosto. "Solo il 3% dei musicisti è donna: la musica, e la batteria in particolare, rimane ancora un club per uomini, ma ce la stiamo mettendo tutta per migliorare un po’ le cose", ci ha raccontato in una bella intervista, che vi consiglio di leggere.
MANCA LUCIA
Sono anni che provo a farmi piacere i film di Luca Guadagnino, ma nonostante l'applicazione non ci riesco mai fino in fondo. O meglio, alcune cose mi piacciono moltissimo e altre tendono ad annoiarmi. Sono consapevole del fatto che potrebbe essere un limite mio. La sua serie recente We Are Who We Are non ha fatto eccezione: se trama, ritmo e dialoghi non mi hanno soddisfatto, ambientazione, scelta del cast e costumi erano davvero fighi. E poi le sue musiche, in cui trovo sempre cose che mi conquistano: in We Are Who We Are a un certo punto salgono le note di Eroi di Lucia Manca, songwriter salentina di cui pensiamo bene da tempo, e il pensiero che qualcuno negli Stati Uniti possa averla shazammata mi fa molto piacere.
MARIPOSA
Dovrebbero coniare una parola per lo stato d'animo che ti prende quando chiude il negozio di dischi della tua adolescenza. Se non l'ha ancora fatto nessuno, nel 2021 ci provo io.
MICHELI LUCA
Sono cinque anni o forse dieci che dicono che "i podcast sono il futuro della comunicazione". Tanto che ormai, considerando i tempi delle nuove tecnologie, dovrebbero essere un po' anche il passato. Fatto sta che anche da noi gli investimenti si stanno facendo seri e, oltre alla quantità di questi prodotti – che per loro natura possono essere molto DIY –, sta crescendo anche la loro qualità. Merito di un paio di piattaforme internazionali sbarcate in Italia per aprire il mercato, come Storytel e soprattutto Audible. Per cui lavorano le due voci che maggiormente stanno dettando la linea: Matteo Caccia e Pablo Trincia. Da Oltre il confine, del primo, al celebre Veleno e al recentissimo La guerra di Anna, del secondo, parliamo di podcast davvero ben fatti, curati ed entusiasmanti. Il merito è anche di Luca S. Micheli, che per queste produzioni e altre (anche radiofoniche e televisive) si è occupato – in parte o integralmente – di musiche e sound design. Lui è bravissimo e il suo lavoro fa fare il salto di qualità ai racconti e al grande lavoro narrativo e di ricostruzione storica degli autori: stiamo assistendo alla nascita di un nuovo genere musicale.
MOMBAO
Dovessi dire esattamente come funziona un concerto in un videogioco, sarei in grande difficoltà. Ma a un certo punto, claustrofobici e disperati come eravamo in primavera, è sembrato a tanti un'opportunità straordinaria. Merito o colpa di Travis Scott, che aveva indicato la via mettendo in piedi uno show pazzesco su Twitch, che non poteva lasciare indifferenti neppure i meno sensibili a ciò che è realtà aumentata. Chi avrebbe osato sfidarlo in Italia, un Paese fin qua non particolarmente interessato dai fenomeni di gamification? I Mombao, duo (synth-batteria) di matti discinti che un giorno ha dato appuntamento ai fan su Rust, uno dei "survivor" cooperativi più noti, in cui si interpreta un naufragio su un’isola deserta e si cerca di sopravvivere. I due hanno suonato le loro canzoni tra gli scogli, i pixel e gente a caso con dei bastoni, e in un qualche modo strano è stato pure figo. C'è un minidoc che lo racconta.
MORRICONE ENNIO
Quando muore un grandissimo, per chi fa questo mestiere – oltre alla perdita – c'è l'ansia da prestazione di chi dovrà provare a dire qualcosa di forte, bello, originale e retorico solo il giusto su un personaggio di cui nelle stesse ore tutti quanti diranno qualcosa, ponendosi i medesimi scrupoli. È un problema, anche se non si potrebbe dirlo. Quando quest'estate – un lunedì mattina abbastanza presto, a inizio luglio – è arrivata la notizia della morte di Morricone, questa sensazione un po' penosa non è stranamente mai giunta. E così ci siamo trovati meravigliati e divertiti – se concedete il termine – a ripercorrere i momenti di sperimentazione hard, gli anni dei tormentoni, le sue colonne sonore (loro sempre bellissime) dei film belli e pure quelle dei film più brutti. Abbiamo cercato il modo migliore per raccontare chi è stato e perché sarà per sempre, come fosse inevitabile provare a dare il meglio davanti a una storia così.
MORRONE MATTEO
Questa cosa che ci sono universi che culturalmente vivono esistenze che non incroceranno mai la mia mi affascina (come accade con le forme di vita aliena) e al contempo lascia la bocca amara. Perché sono un curioso e vorrei sempre conoscere e sapere analizzare tutto, anche se so che non è possibile. Provo questo mix di stati d'animo ogni volta che scopro personaggi di cui ignoravo completamente l'esistenza e che invece sono più che famosi e fatturano come aziende. È sempre successo, per questioni generazionali, per questioni di gusto oppure con i fuoriusciti dai talent di Maria De Filippi. Il boom dei social e della figura degli influencer ha reso questa dinamica frequente e accelerata, perché ognuno passa il tempo a scrollare nella propria bolla e non si accorge dell'esistenza di altre bolle gigantesche affianco. Scopro così da un comunicato stampa e da un articolo sul corriere che "Michele Morrone, il sex addicted di 365 giorni (pare sia un film talmente brutto da diventare bello, ndr) ora è una star musicale". Ha 30 anni viene da Melegnano, è "l’attore del film più visto della storia di Netflix" e "ha pubblicato un cd con cui da qualche mese sta scalando le classifiche di Spotify". Mi chiedo come sia possibile che tra gli 11 milioni e mezzo dei suoi fan su Instagram non ci sia uno che si sia sentito in dovere di avvertirmi. Ne approfitto per chiedere a Michele di smetterla di guardarmi in quel modo negli occhi dalle sue fotografie, mi mette in imbarazzo e mi fa sentire l'esigenza di un abbraccio di mia madre.
OHIBÒ
Lo abbiamo detto anche all'assessore alla Cultura del Comune di Milano Filippo Del Corno – non perché fosse colpa sua o potesse farci qualcosa –: con l'addio a diversi locali per la musica dal vivo, che non hanno resistito alle chiusure prolungate imposte dalla pandemia, la città subisce una perdita enorme, non rimpiazzabile. Vale per tutte le città e per tanti luoghi di cultura che non hanno retto all'urto del Covid, ma se possibile per Milano pure un po' di più. Perché l'Ohibò, come il Serraglio e altri circoli, club e locali, in questi anni hanno reso ricca e completa quell'offerta culturale che è stata il motore del cambiamento almeno quanto le aziende con il loro fatturato e perché quei luoghi hanno permesso di sentirsi ancora a casa anche a coloro – e siamo in tanti – che rischiavano di essere marginalizzati o estromessi a causa della propria incapacità di seguire le mode e dal rifiuto della narrazione della città del successo. Non disperdiamo quell'energia, sarebbe un danno per la collettività molto grande.
(Continua nella pagina successiva)
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L'articolo 2020: i 100 nomi dell'anno della musica italiana di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2020-12-29 15:31:00
COMMENTI (4)
È un onore fare parte di questa scelta artistica. Moreno il Biondo di EXTRALISCIO
Ottime scelte, sopratutto quelle più coraggiose e - a loro modo - rivoluzionarie come Extraliscio. Grazie all’autore!
Una vera Enciclopedia, scritta da chi conosce a fondo la musica.Bravo Dario.
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