COLAPESCE E DIMARTINO
Due nomi per un'unica posizione, per via di un disco a due voci e quattro mani come non se ne vedevano da anni (più 10/20 che 4/5), che è valso alla coppia siciliana la quarta posizione nella nostra classifica dei dischi di fine anno. Oltre a delle canzoni bellissime (in attesa di vederli a Sanremo), quello che rimarrà dei Mortali è il ridonato senso a una pratica, quella dell'album collaborativo, che in Italia ha una tradizione antica e prestigiosa. Che negli ultimi anni era diventata un moltiplicatore di pubblici di chi non aveva abbastanza del suo o l'ultima carta da giocarsi per chi vedeva il suo tempo irrimediabilmente sfiorito. E che invece è una delle cose più complicate e soddisfacenti che ci possano essere: mettere assieme sensibilità e intelligenze, e vedere dove conducono.
COSMO
"Negli ultimi quattro o cinque anni le cose si sono messe abbastanza bene e ho raggiunto un grado non enorme, ma soddisfacente, di quello che alcuni chiamano successo. Mi chiedo spesso cosa questo significhi, anche alla luce delle mie origini: sono nato e cresciuto in una famiglia operaia e ho maturato delle idee abbastanza chiare in merito. Sono arrivato alla conclusione che il successo è quello che la società sventola davanti agli occhi di tutti per far credere che se uno s'impegna ce la fa, che, se uno lo merita, può farcela con le sue sole forze. Tutto questo è ovviamente falso, questa società non è in grado di premiare tutti, non premia tutti quelli che lavorano e s'impegnano, e questa piazza è piena di esempi". Questo è l'inizio del discorso che Marco Jacopo Bianchi ha fatto a luglio sul palco degli Stati Popolari, manifestazione organizzata da Aboubakar Soumahoro in Piazza San Giovanni a Roma lo scorso luglio per la tutela dei "lavoratori invisibili" della nostra società. Quelle di Cosmo, che vi invitiamo a riascoltare, sono tra le parole politicamente più forti e lucide che capita di sentire da un po' di anni a questa parte.
DEDA (ANDREA VISANI)
26 anni fa, settimana più settimana meno, usciva il disco più bello e importante della storia dell'hip hop italiano e uno di quelli che ha avuto maggior impatto e significato nella vita di parecchie persone (compreso il sottoscritto). 26 anni dopo, settimana più settimana meno, la ricerca musicale di Andrea Visani, dopo mille mutazioni, non si è ancora fermata. All'epoca si faceva firmare Deda – nome che è riapparso di recente, nella firma di una sua produzione a un gran bel singolo di Frah Quintale, La calma – e quella esplorazione era volta a trovare il migliore, il più cupo e ossessivo dei suoni per il suo SXM, oltre che il miglior incastro possibile per la neolingua ideata assieme al socio Neffa. Negli anni successivi, sempre coerente alla sua idiosincrasia per ogni forma di nostalgia, ha collezionato migliaia di dischi e suonato ogni angolazione della black music con il moniker di Katzuma. A novembre è uscito Deserto, il secondo capitolo del suo progetto Okè, trio di world music composto assieme ai soci bolognese William Simone e Andrea Calì. Come suona già sai.
DJ GRUFF
Oltre a non possedere rivali ai piatti, Sandro Orrù è da sempre in grado di fissare espressioni nella memoria collettiva. La prima risposta alla nostra intervista sul suo brano I migliori pensieri è stata questa: "Come la necessità aguzza l’ingegno, la solitudine fa con la fantasia". Abbiamo provato a trasformarla nel nostro motto in tutti questi mesi assurdi e fare come Gruff, che non si è mai fermato e ha portato avanti con grande dedizione un progetto in beneficienza per Emergency. È stato in grado di riunire, attorno ai suoi beat e alle musiche del polistrumentista jazz Gianluca Petrella, personaggi molto diversi tra loro, da Clementino a Militant A, da Asia Argento a Dj Ralf. Benefit così sono un balsamo per l'anima e per le orecchie.
DOME LA MUERTE (DOMENICO PETROSINO)
Domenico Petrosino in arte Dome La Muerte è il fondatore di band come Cheetah Chrome Motherfucker e Not Moving, una leggenda del punk rock italiano e agitatore culturale irriducibile. Un personaggio incredibile, magnetico e decadente. Qualche settimana fa ha raccontato a Rolling Stone di essere in guai economici seri, motivo per cui ha accettato, su sollecitazione di alcuni amici, di lanciare una raccolta firme su Change.org per chiedere aiuto allo Stato attraverso la legge Bacchelli, che prevede l’assegnazione di un vitalizio ai "cittadini italiani che abbiano illustrato la Patria". Qualcuno ha sorriso: l'anarchico che chiede per sé gli onori che si danno ai grandi compositori caduti in disgrazia, agli scienziati o ai pittori. Io penso invece che la misura sia sacrosanta e che lo Stato, qualsiasi Stato, a quelli come Dome La Muerte dovrebbe dare vitalizi, fare statue, dedicare retrospettive e convegni. Perché la cultura va avanti quando qualcuno la insidia e la sprona, non grazie agli eserciti di coloro che si conformano.
DONES PAU (JARABE DE PALO)
Non ci sono o quasi, visto chi siamo e cosa trattiamo, nomi stranieri in questa lista. Anche se di grandi da celebrare, in quest'anno di perdite dolorose, ce ne sarebbero eccome, dal già citato Tony Allen a Toots Hibbert. Facciamo uno strappo alla regola per Pau Donés, frontman della band spagnola Jarabe de Palo, che con il nostro Paese aveva un feeling particolare, come testimonia il suo successo da noi e i tanti feat. con artisti italiani. Non so perché, ma il suo volto mi ha sempre fatto una simpatia innata e ho sempre trovato la sua musica piena di sincerità. Una volta Dario Giovannini, direttore generale di Carosello Records, che lo pubblicava da noi e che era diventato negli anni suo amico, mi ha confermato che avevo visto bene. "La prima volta che venne in Italia per fare una promozione con noi", mi ha raccontato di Pau, "gli prenotammo uno degli alberghi più esclusivi di Milano per le interviste. Alla prima pausa dalle domande Pau venne da me e mi disse che l'hotel non andava bene, che era stata una scelta sbagliata. 'Perché?', gli domandai, 'Troppo poco di classe?'. 'No, costa troppo: la prossima volta tieni da parte quei soldi, che la sera usciamo a festeggiare'".
D'ORAZIO STEFANO
La morte del batterista e più simpatico membro dei Pooh ha dato vita a una rievocazione e celebrazione della band accoratissima e a reti quasi unificate. Non sono in grado per motivi anagrafici di capire se – al di là del rispetto e della commozione per la morte di una persona e di un uomo pubblico – da un punto di vista della portata culturale di D'Orazio e compagni l'omaggio sia stato "eccessivo", figlio del fatto che la tv italiana è fatta da 50/60enni e per 50/60enni, oppure se realmente i Pooh siano stati – come sembrava emergere dalla concitazione di quei ricordi – al contempo i nostri Beatles, i nostri Police e il nostro David Bowie. Non c'ero. Ma ho la certezza che il successo dei Pooh ci dica qualcosa dell'Italia e di quegli anni, come succede con ogni fenomeno pop che si rispetti. E devo dire che rivedere quei live, quella tv, quelle scenografie e quei tagli di capelli mi è piaciuto un sacco.
EMON HAZE
"Credo che con il rap lui fosse riuscito a capirsi. Come uno specchio riflesso, aveva utilizzato la musica come terapia con sé stesso", quando Claudia Mazziotta ha chiesto ai suoi amici del centro storico di Napoli che tipo fosse Emin tutti quanti hanno risposto "introverso", e le hanno spiegato come le rime fossero l'unica forma di espressione in cui riuscisse davvero a riversare se stesso e le proprie moltitudini. Per metà italiano e per metà bosniaco, appassionato del Wu Tang Clan come di Chopin o di dub, è morto all’età di 28 anni il 17 luglio del 2019 e un anno dopo i suoi compagni hanno pubblicato il disco postumo L'anima della strada, 11 tracce di hip hop puro, piene di tecnica e mentalità, solidarietà e integrazione. Dopo aver sentito Emon Haze cantare ci si sente fortunati di aver potuto conoscere, anche se solo attraverso la sua voce e i suoi beat, il ragazzo Emin.
EXTRALISCIO
A marzo, quando li vedrà sul palco dell'Ariston in compagnia di Davide Toffolo e delle loro scarpe di vernice, saranno in tanti a innamorarsi degli Extraliscio. Io mi sono portato avanti, avendo già provveduto a invaghirmene a settembre, in occasione dell'uscita del film Extraliscio - Punk da balera, documentario curato da Elisabetta Sgarbi, premiato al Festival del Cinema di Venezia. Racconta la storia della band fortmata dal polistrumentista Mirco Mariani, uno che ha lavorato con Capossela, Bianconi e Fresu, assieme a due leggende della musicale romagnola come Moreno Conficconi e Mauro Ferrara, due che potevano fare i protagonisti di Fargo e invece infiammano le balere da cinque decenni. Le tradizioni sono fondamentali quando si ha il coraggio di aggiornarle, innovarle, desacralizzarle, ed è quello che loro hanno fatto con il liscio, un genere caduto in disgrazia da tempo e che solo una sana botta di punk poteva risvegliare.
FAUN LEON
Che esista un sottogenere chiamato "Fantasy Rap", è un qualcosa che sulle prime mi ha destabilizzato. E invece non c'è niente di strano: è la nostra ansia di fare l'inventario, che a fine anno diventa quasi un'esigenza. Fatto che sta che tra i mille rivoli in cui in cui l'hip hop si è diviso, pare che ci sia anche questa versione un po' bislacca, che mette assieme – per la gioia di un pubblico presumibilmente molto giovane – rime oniriche e un'estetica e dei riferimenti a metà tra il cartoon e i Pirati dei Caraibi. Il massimo rappresentante tricolore è del 2001, viene da Roma e si chiama Leòn de la Vallée, in arte Leon Faun. Sembra un mix tra un personaggio del cartone One Piece e uno dei figli dei Cesaroni (anche perché in effetti fa anche l'attore). È indubbiamente bravo e, da quasi tutti i punti di vista, più interessante dei mille colleghi clonati che parlano di assunzione e commercio al dettaglio di sostanze stupefacenti. Per questioni generazionali temo di essere destinato a non capirlo mai del tutto, e questo mi dà noia come un gol di Dybala.
FEDEZ
Federico Lucia, invece, lo abbiamo capito un po' tutti. O almeno così ci pare, e sulla base di queste convinzioni ognuno ha deciso se schierarsi nella folta schiera dei suoi fan o in quella altrettanto nutrita di chi lo detesta. Al netto del team per cui si parteggia, questo è stato l'anno in cui l'ex socio di J-Ax ha dimostrato come la sua dote principale sia la tenacia. Dopo anni di appannamento della propria immagine, in cui era stato relegato alla figura di "marito della Ferragni", ha riacquistato centralità grazie a iperattivismo e beneficienza. Pure nella musica, in cui sembrava indirizzato a sparire dai radar dopo il disastro di Paranoia Airlines, il suo nome è tornato a circolare grazie a una serie di singoli e al suo impegno per i lavoratori dello spettacolo nell'iniziativa Scena Unita. Kendrick Lamar rimane un'altra cosa, ma questa volta risulta complicato andare a rompergli il cazzo (a meno di non essere del Codacons).
FERRARI ALBERTO (VERDENA)
Per gli standard dei Verdena, quello che si va chiudendo è stato un anno prolifico. Prima Alberto Ferrari, frontman della band, ha suonato in streaming per solidarietà con la sua Bergamo travolta dal Covid, poi addirittura si è presentato sul palco di X Factor per suonare con i Little Pieces of Marmalade un suo brano. La sua presenza al talent Sky è stata oggetto di un lungo e non particolarmente brillante dibattito, in cui, tra chi lo difendeva e chi lo accusava di averlo fatto solo per il mutuo, tutti quanti ammettevano di trovarsi un po' interdetti dalla notizia e dovevano arrendersi al fatto di non aver la minima idea del reale motivo per cui Alberto Ferrari si trovasse su quel palco. Dopo aver visto la sua esibizione ho maturato la convinzione – con quegli occhi che mille volte abbiamo avuto noi durante le serate che non siamo stati in grado di evitare – che nemmeno lui lo sapesse: stava semplicemente succedendo, tipo i trasferimenti nel tempo di Mattatoio n. V.
FERRETTI GIOVANNI LINDO
Ma come, con tutto quello che è successo nel mondo ancora lui? Sì, perché, volenti o nolenti un certo tipo di cultura – la nostra! – in Italia è ancora irrimediabilmente appesa a ciò che dice e fa questo eremita. Non solo non riusciamo a smettere di ascoltare e coverizzare – da NAIP a X Factor ai Tropea, da Vasco Brondi all'ultimo mixtape di Garrincha solo nelle ultime tre settimane – i suoi vecchi pezzi, ma continuiamo a sezionare i nuovi per trovare la parola che ci illumini e mostri la sua redenzione, che ci brutalizzi e scandalizzi. E sindachiamo su ogni uso che fa di ciò che ha inventato e possiede moralmente. Merito suo – e dei suoi compagni – o demerito nostro, chissà.
FREEZ
Al momento di stilare i nostri consueti CBCR di fine anno abbiamo scoperto con sgomento che nessuno o quasi tra i nomi che circolava faceva qualcosa di simile a del rock, pur nell'accezione più larga che si possa dare al termine, e che le band selezionate erano davvero poche. "È un anno così, non si è potuto suonare dal vivo", ci siamo detti. Ma non ci siamo arresi: anche X Factor ha portato sul palco chitarre, batterie e capelloni e non volevamo essere da meno. Poi ci siamo ricordati di aver incrociato il cammino di questi tre ventenni di Schio, autori di un garage rock carico di teen spirit, noia di provincia e voglia di pestare un po' più forte, come si faceva negli anni '90. Roba talmente vecchia da sembrare la più nuova che ci sia in circolazione.
(Continua nella pagina successiva)
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L'articolo 2020: i 100 nomi dell'anno della musica italiana di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2020-12-29 15:31:00
COMMENTI (4)
È un onore fare parte di questa scelta artistica. Moreno il Biondo di EXTRALISCIO
Ottime scelte, sopratutto quelle più coraggiose e - a loro modo - rivoluzionarie come Extraliscio. Grazie all’autore!
Una vera Enciclopedia, scritta da chi conosce a fondo la musica.Bravo Dario.
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