(Bob Corn - Foto di Onga)
Più di trenta gruppi, altrettante etichette, tutto gratis. Al Tagomago di Massa Carrara si è svolta la quarta edizione del TagoFest, uno dei festival di riferimento per la musica sperimentale in Italia. Sandro Giorello racconta.
Tra i primi incontri fatti c'è Josè Marino Malagnino. Iniziamo a chiacchierare e quando gli chiedo perché i suoi dischi – le Produzioni Pezzente – non arrivano normalmente alla redazione di Rockit, lui mi risponde che non è sicuro che i nostri collaboratori siano adatti a recensire la sua musica. Non crede che ci sia la vera intenzione di capire – o almeno di essere ricettivi – verso il suo modo di comunicare. Aggiunge che la quotidianità è immersa nel rumore, e di conseguenza la musica pop – quella popolare che dovrebbe descrivere la vita delle persone – non può che essere rumorosa. Rispondo che posso anche essere d'accordo con lui ma che trovo il suo discorso un po' cervellotico, in fondo la musica è brutta o bella a seconda di chi l'ascolta. Lui ribatte dicendo che descritto a parole può sembrare macchinoso ma che in realtà non lo è. E' una questione pratica, dice lui. E questo breve scambio di battute spiega già molte cose sul TagoFest, uno dei festival dediti alla musica sperimentale più interessanti in Italia.
L'organizzazione è piuttosto semplice: cinque etichette - Bar La Muerte, Fratto9 Under The Sky, Wallace Records, Fooltribe e Boring Machines – contattano più di trenta label districate su tutto il territorio nazionale e chiedono loro di presentare un gruppo del proprio catalogo e portarlo al festival a costo zero. Si struttura così un cartellone su due giorni – anticipati da una "Serata di gala" il venerdì sera con i gruppi organizzatori: Bob Corn & The Outsiders, Ultraviolet Makes Me Sick, Bachi da Pietra - con nomi che solitamente non si vedono in quasi nessun festival italiano, dai generi più ostici fino a band con lievi assonanze al pop. L'ingresso al pubblico è gratuito così come la possibilità data a tutte le label di esporre e vendere i propri dischi.
C'è da scrivere che la scaletta delle band non era strutturata al meglio: spesso si susseguivano gruppi dello stesso genere (come la trittica Evolution So Far-Lucertulas-Hiroshima Rocks Around davvero difficile da digerire anche da un amante convinto del Post-HC). Su due giorni la presenza di gruppi bravi era alta: partendo dai folk-singer Andrea Rottin e My Dear Killer, passando dal noise-rock influenzato garage dei Butcher Mind Collapse e per i walzer beefheartiani dei romani WarIsTerrorTerrorIsWar (forse una delle migliori scoperte di tutto il festival). Gli X-Mary hanno avuto la sfortuna di essere spostati alle 5 del pomeriggio trovandosi davanti un pubblico piuttosto sparuto e la loro esibizione ne ha risentito. I Chewingum erano praticamente l'unico vero gruppo pop di tutta la manifestazione, sembravano intimiditi: hanno tentato di caricare i brani il più possibile, giusto per non sfigurare di fronte ai mostri noise prima e dopo di loro. Non è stato male. Buoni i Tapso II, trio catanese di stampo shellacchiano ma con l'aggiunta del violino: sembravano una strana commistione tra i Three Second Kiss e i Venus. Spettacolari i R.U.N.I. Perfetti gli Zabrisky. Potentissimi i Sex Offenders Seek Salvation, gruppo post-punk funk creato dai membri dei Three In One Gentleman Suit.
Per i Psss Psss Pssss occorre spendere qualche parola in più: si trattava di un ensemble di jazzisti e sperimentatori che improvvisavano sotto la direzione di Malagnino. Vederlo all'opera era affascinante: se ne stava in un angolo mordendosi l'unghia del pollice e poi, appena raccolta l'intuizione, suggeriva nell'orecchio dei singoli esecutori quello che dovevano fare mimandoglielo anche con le mani. Il risultato era un'orchestra che procedeva dissonante e ciclica. Ipnotica e suggestiva. Ad un certo punto un ragazzo del pubblico ha scritto su un nastro di carta "Space is the place", è salito sul palco e lo ha appiccicato in bella vista. Tutti hanno applaudito.
Dell'area drone/ambient meritano una menzione i live set e i dj set di Andrea Marutti di Afe Records e il concerto dei Satan Is My Brother: etereo e soffuso il primo, notturni e cinematografici i secondi.
Il TagoFest è una festa tra amici. Forse può sembrare sminuente verso l'autorevolezza del festival ma in realtà questa è la sua migliore qualità. E' il punto d'incontro di persone che almeno una volta l'anno vogliono ritrovarsi e stare insieme. Si formano delle grandi tavolate di gente che, come in un bar di paese formato gigante, bevono e chiacchierano dal pomeriggio a notte fonda. Gli argomenti: la scena italiana, la morte del disco, l'educazione delle nuove generazioni ad una sana cultura musicale, il bisogno di una rete di distribuzione autogestita dalle etichette stesse che porti le produzioni non più nei negozi ma direttamente a casa dei diretti interessati. Ad un certo punto - colpa di qualche sambuca di troppo - mi scappa un "Non sentiamo più il bisogno del futuro" e qualcuno entusiasta mi risponde "Hai ragione, abbiamo bisogno del presente". Applausi a profusione. Per quanto la cosa possa far sorridere spiega un fatto: al TagoFest si respira passione. La voglia di fare da soli, di sperimentare nuove strade. Di mettersi in gioco per provare a sopravvivere in un ambiente – quello musicale italiano – che diventa sempre più invivibile. E quindi ritornare a organizzare concerti con budget risicatissimi, magari ospitando i musicisti direttamente in casa propria. Senza sperare ad un guadagno economico ma solo per il piacere di farlo. Essere consapevoli che questo sarà sempre un hobby e mai un lavoro, ma che merita seguirlo con più serietà e professionalità possibile.
Il TagoFest sono tre giorni dedicati a quel tipo di etichette che – solitamente – faticano a trovare spazio per far suonare i loro artisti. Inizialmente sembra una ristretta nicchia di persone orgogliose di rappresentare l'avanguardia italiana e, per questo, contente di essere le poche a partecipare ad una rassegna del genere. In realtà – e qui l'iniziale chiacchierata con Malagnino ha mostrato la sua utilità – sono solo amici con una (forte) passione comune e la voglia di stare insieme. E' una questione pratica. Non sarà mai un festival con i grandi numeri e le affluenze di un evento estero. Non penso sia questo l'obiettivo degli organizzatori. E' un punto di ritrovo importante e spero che rimanga a lungo nel calendario dei festival italiani.
---
L'articolo TagoFest - Massa Carrara di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2008-07-04 00:00:00
COMMENTI