In futuro, forse, finalmente capiremo perché la musica metal in Italia non è mai riuscita a crearsi una propria e forte credibilità artistica, un credito che fosse inconfutabile, un'attendibilità musicale che fosse ragione di vanto per un vasto pubblico, in grado di portarla alle più alte sfere dell'immaginario collettivo, almeno sul territorio nazionale, piuttosto che rimanere materia d'ascolto e o di studio per affezionati con una mano davanti e una dietro, sempre timorosi di schiacciare qualche merda, mai capaci di portarla oltreconfine. Come successo, per altro, a molte nazioni non anglofone, ivi comprese il Brasile, la Finlandia, la Svezia o addirittura la Svizzera e l'improponibile Francia.
A suggerirci le motivazioni di questo nostro "ritardo" sono l'intuito e quell'accenno di capelli bianchi che ci permette di fare discorsi un po' ridondanti e ampollosi, che i più giovani possono permettersi ancora il lusso di skippare. Tutto sommato serve un'ammissione di colpevolezza, che prende nel mucchio e non risparmia, ahimè, quasi nessuno. Dalla stampa generalista a quella specializzata, dalle etichette agli organizzatori, dai colleghi musicisti ai critici miopi (e sempre ironici) davanti al capellone di turno. Tanto che, una volta tanto, possiamo pure esimerci dall'includere nell'elenco i genitori preoccupati, i politici moralisti e religiosi in vena di esorcismi. Ci bastiamo e avanziamo noi, con i nostri eccessi critici, le invidie da liceali, i provinciali imbarazzi, la pornografica esterofilia, le battaglie di palazzo verso un sottogenere piuttosto che un altro.
Fatto sta che, come direbbe Franco Battiato, ne abbiamo avute di occasioni (perdendole!) per far fare al metal di casa nostra il salto di qualità, e il più delle volte non ce ne siamo accorti o abbiamo fatto bene finta. Laddove infatti altri generi musicali – chi ha detto hardcore-punk? – hanno saputo trasformare ogni tenue fluttuo in un maremoto i cui risultati, meritati o no, si sono protratti nel tempo, immaginate cosa ha subito chi ha dato una pur lieve scossa al panorama metal nostrano, iniziando magari a raccogliere qualche applauso anche oltreconfine?
Eventualità ritenuta da molti improbabile o immeritata quasi a prescindere, per non dire persino farsesca. Abbiamo così deciso di fare una carrellata di dieci nomi noti che, negli anni, hanno dato un sostanziale colpo di reni a una scena abbarbicata sulla propria pigrizia (e talvolta la propria spocchia). Consapevoli che almeno altri venti sono rimasti di fuori, ne abbiamo aggiunti dieci "minori", ma capaci di portare innovazioni al genere e aggiungere qualcosa di personale.
Se una scelta andava fatta, ci siamo mossi con questi obiettivo: rendere onore al merito di quanti, presenti o dimenticati, non curandosi delle critiche preventive, a un certo punto, hanno acceso la luce, aperto gli occhi, sperimentato qualcosa di nuovo e si sono domandati come alzare l'asticella dell'interesse comune verso il metal tricolore. Che hanno scelto di andare oltre il consolidato ruolo di “gruppo-spalla” che ci teniamo stretti da quarant'anni, e hanno iniziato, perdio, a suonare.
DEATH SS
Nel 2006, a quel Eurofestival dove al massimo mandiamo la scimmia di Gabbani, vince Hard Rock Hallelujah dei Lordi. Leggiamo da Wiki: “...gruppo heavy metal finlandese, noto per la teatralità ispirata agli horror anni ’80 che costituisce il tema principale, se non esclusivo, dell’immagine e dei testi. Ciascun membro è mascherato da mostro...”. Eccetera. Tutte cose che Steve Sylvester fa dal 1977 (a Pesaro), con la stessa consapevolezza dei Lordi o di altre band che hanno fatto la storia, dai Cathedral ai Ghost. Intanto noi ci incaponiamo a esportare soltanto canzoni a orchestrazione sanremese nate vecchie.
STRANA OFFICINA
Per qualcuno di voi, l'Alto Paleolitico. Anche la scelta del nome riflette l'epoca più ingenua del metal tricolore stesso. Eppure, per tempistica e per contenuti, l'omonimo capitolo della storia dei fratelli Cappanera occupa un ruolo di cardine maestro del metal nostrano. Le quattro canzoni, qui cantate ancora in italiano prima della virata all'inglese, sono state l'apripista per tutte quelle band che dal filone hard-rock inglese decisero di aprirsi verso la nascente NWOBHM. Forse più genuina che travolgente per le orecchie più giovani, la Strana Officina risplende comunque di luce propria.
RHAPSODY
Qualsiasi cosa si possa pensare del genere in sé, quando nel 1997 debuttarono i Rhapsody, il loro disco Legendary Tales fu uno terremoto: in un mondo fitto di contaminazioni ed estremismi ci fu qualcuno che disse che l'Italia stesse riportando il metal alle origini più pure. Se da un lato, manco a scriverlo, iniziò la fitta sassaiola del dileggio, dall'altro l'intero mercato discografico heavy metal se ne innamorava alla follia. Tanto che oggi quel cantante, Fabio Lione, presta la sua voce ad Angra e Ayreon, mentre gli schernitori probabilmente si chiedono ancora come questo sia potuto succedere.
EXTREMA
Al di là della nomea di “Pantera de noantri” che gli Extrema si presero (solo) alle nostre latitudini, per almeno cinque anni, dal 1990 al 1995, dimostrarono di essere un gruppo che spacca, proprio nel senso di Hulk. Con tre dischi, con tre copertine una più brutta dell'altra, la loro roba si misurava a sangue versato. Tendenzialmente un botto, comunque tutto quello che gli altri al posto loro, con un contratto su Flying Records, non erano capaci di versare oppure non erano interessati, o forse non erano allettati, perché non erano in grado. Se solo non avessero avuto l'incredibile capacità di toppare tutti i singoli...
CRIPPLE BASTARDS
Se vi imbattete in una qualsiasi discussione sul libro del 2004 di Albert Mudrian, Chosing Death – L'improbabile storia del death metal e del grindcore, troverete sempre qualcuno che nota l'assenza dei Cripple Bastards da Asti. E potrei chiuderla qua. Ecco, il fatto è proprio questo qui: con tipo 50 uscite (tra dischi, split, 7”, cassette, eccetera) in trent'anni, in questo elenco non c'è nessuno che ha girato così tanto di mano in mano, di casa in casa, di stereo in stereo, di gruppo in gruppo, ma che invece battere la stecca a tutti, arranca col suo logo tremolo a spingere sul groove della credibilità sul campo, prendendosi magari anche le pernacchie di chi ancora pensa siano solo uno scherzo.
NOVEMBRE
Lo posso dire perché andavamo alla stessa scuola, ai Novembre va senza dubbio riconosciuto un merito (se non altro) pionieristico: l'esordio Wish I Could Dream It Again, seppure con tutte quelle possibili pecche dettate dai mezzi e dall'età, prefigurava soluzioni espressive che avremmo più in là trovato nei primi Opeth, mentre la svolta dark di Arte Novecento anticipava l'ammorbidimento dei futuri Katatonia. E di sicuro è anche grazie a loro che l'Italia ha avuto i successivi sviluppi del filone “gothic” (virgolette d'obbligo) con formazioni di pregio come Klimt 1918 e Room With A View.
LACUNA COIL
Sono sincero: ho abbandonato i Lacuna Coil poco dopo In A Reverie, debutto dopo l'omonimo Ep, e non me ne sono pentito. Non amo il loro continuo irritante ripetersi, non amo il loro approccio da “Milano Metal” fatto di corna a ogni passo e mai una t-shirt di un altro gruppo in 25 anni. Tolto questo, il resto è storia. Gli Evanescence che li copiano, Ozzy che li vuole al suo festival, Cristina Scabbia in copertina un mese si e un mese pure sui magazine di heavy metal di mezza Europa, la chiamata a The Voice... Insomma, i gusti son una cosa, essere ciechi un'altra.
BULLDOZER
Quattro album in quattro anni, questo è bastato ai Bulldozer agli esordi della propria carriera per rimanere ben impressi nella memoria comune, coadiuvati da quattro vesti grafiche incredibilmente riuscite per gli anni di cui parliamo, ovvero dal 1985 al 1990, specie se rapportate a certe porcherie uscite all'estero da nomi ben più rinomati. Oltre questo, i suoni violenti, assolutamente nuovi e in qualche modo assolutamente italiani (le tastiere clericali di AC Wild, unite alla sua voce maligna) crearono un'appendice tricolore al metal mondiale che partiva dallo speed e arrivava a proto-black.
SADIST
Una delle prime band che ha adottato innesti tribali al fianco del sound metal; il tutto, un anno prima della svolta epocale di Roots dei Sepultura nel 1996. Tribe dei genovesi Sadist è un disco con una potenza d'ingegno difficile da inquadrare, tanto che si discute ancora oggi quanto sia giusto parlare di death metal o questo ne sminuisca il suo contenuto. Del resto, già l'ottimo esordio Above The Light, arrivava dopo un demo dal vivo registrato in Francia, che lasciava intuire l'assoluta reticenza a restare imprigionati in qualsiasi confine, geografico o musicale che fosse.
NECRODEATH
Con i giusti distinguo, Into The Macabre dei Necrodeath è il nostro Deathcrush dei Mayhem. Vuoi per lo stesso anno di pubblicazione, 1987, vuoi per quel suono che dal thrash virava verso qualcosa di nuovo e ancora più sulfureo, che si sarebbe definito black metal. I Necrodeath però, forti anche di un demo uscito due anni prima, si può dire a ragione che non seguivano un sentiero tracciato, ma ne percorrevano uno parallelo, fatto magari degli stessi mentori dei norvegesi, Celtic Frost o Venom che fossero. Senza scadere nell'imitazione, bensì creando qualcosa di simile, ma personale.
INCHIUVATU
Inchiodato. Ovvero black metal cantato in siciliano, a suon di Cristu Crastu. Genio e sregolatezza. Il famoso “botto” che in qualsiasi altra nazione avremmo potuto tentare, ma non qui. Qualcuno ancora ricorda la faccia di Manuel Agnelli durante il loro soundcheck di supporto agli Afterhours in Sicilia.
OPERA IX
"Cadaveria is our Cristina Scabbia", parafrasando gli ZU. Ovvero la differenza fra sfruttare appieno la presenza di una figura/voce femminile in formazione e usarla nel metal, perché di Alexia ce n'è già una. Notevole anche l'idea della cover di Bela Lugosi's Dead dei Bauhaus in The Black Opera.
EPHEL DUATH
Personale sintesi tra goth, black e alternative che, oltre a essere superiore alla sola sintesi delle parti, nelle derive più recenti, sfocia anche nel math-rock e nell'avanguardia jazz. La voglia di sporcarsi le mani e tentare soluzioni inconsuete qui è talmente tanta da essere troppa, forse anche per l'estero.
LENTO
Dopo il disco con Ufomammut, i romani Lento camminano oramai da anni da soli. Partiti per essere etichettati come “ISIS alla amatriciana” hanno rivelato poi un'ispirazione ben più complessa, che arriva dall'apparentemente infinito estro di Lorenzo Stecconi, l'ultimo superstite di tre chitarristi.
IN.SI.DIA
Attraverso Omar Pedrini dei Timoria, ottengono un contratto su Polydor nel 1993. A differenza degli Extrema optano per un temerario trash con testi cantati in Italiano, e infatti durano due anni e due dischi. La personalità della band resta comunque fuori discussione e Parla Parla si ricorda ancora.
ABORYM
Simpatici forse no, ma agli Aborym di Malfeitor Fabban (già bassista in un'altra band culto, i Funeral Oration) va dato il merito di avere collaborato (tra i tanti) con Attila Csihar dei Mayhem anni prima che Stephen O'Malley dei Sunn O))) ne sdoganasse la supposta coolness.
SCHIZO
Thrash metal band from Catania, che divise uno split con i Necrodeath, e, soprattutto, riusci a fare arrivare nel 1987, non si sa come, una loro t-shirt al loro fan Nicke Andersson dei futuri Entombed e poi Hellacopters. Quattro EP e un disco, ma di quelli che si sarebbero dovuti supportare a oltranza.
MORKOBOT
Altri che avrebbero meritato di più, e invece nulla. Puro indu(b)strial, secondo definizione coniata dai loro contemporanei Deflore. e mai attecchita nel gusto comune. Peccato, perché l'idea di unire Primus ai Neurosis agli Scorn ai Lighting Bolt meritava attenzione. Non solo degli appassionati.
GRIME
Uno straordinario esercizio di brutale nichilismo. Uno scontro di sludge e doom, un'immagine tutta naturale con dei ragazzi dall'aspetto meno italiano possiate trovare in giro (quando succedeva) ed esibizioni dal vivo impressionanti. Conosco personalmente gente che si è avvicinata a Marco parlandogli in inglese.
MORTUARY DRAPE
Ricordo bene quanto (poco) tempo impiegai per registrare qualcosa sopra All The Witches Dance al liceo. Resta il culto assoluto nel circuito black metal mondiale, ma al confronto i Forgotten Tombs, comprimari con gli svedesi Shining dell'intera faccenda “suicide-black”, meriterebbero la Top 10.
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L'articolo Le 20 band metal italiane più importanti della storia di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2020-05-06 16:39:00
COMMENTI (8)
Ma che faccia ha fatto Manuel Agnelli al soundcheck degli Inchiuvatu? Di sdegno o di approvazione?
E i Natron?!? Una delle migliori brutale death metal band del mondo, 8 LP, tour europei, etc
Anche i Forgotten Tomb (solo citati) malvagi non sono, nell'elenco ci stavano secondo me.
Morkobot, lento e invece i maestri UFOMAMMUT no?
molte band dimenticate (Vanadium su tutti), il commento ai Lacuna Coil irritante e "personale", alcuni altri poco chiari e infarciti di termini non immediatamente comprensibili. insomma...
Vanadium?? Skanners??? Elektradrive??? Sabotage?? Trick or Treat??? Come on...
Ma Skanners ... e Graveworm?? Storiche bands dell'Alto Adige che suonano ancora in tutta Europa...e non solo....
E i Natron? metal-archives.com/bands/Na…