2022: i 100 nomi dell'anno della musica italiana

Dagli Ada Oda a Yendry, passando per Verdena, Marracash e altri 96 nomi più o meno noti. Quelli che, nel bene e nel male, hanno segnato il 2022. Un'antologia completa e a tratti crudele di chi abbiamo ascoltato, e quindi in fondo di chi siamo stati, nei 12 mesi ormai in archivio

Artwork di Giulia Cortinovis
Artwork di Giulia Cortinovis

Tutto era iniziato come un omaggio a una persona che, lavorativamente, per me aveva significato molto, Gianni Mura, e ai suoi "100 nomi dell'anno" di Repubblica, una rubrica attesissima da migliaia di lettori che pulsava di passioni e anarchia professionale. Solo che poi mi ero divertito a scrivere i 100 nomi della musica italiana edizione 2020, e tutto sommato alla gente era piaciuto. E così lo scorso anno mi ero ritrovato a fare lo stesso. Morale della favola: per il terzo di fila eccomi a chiudere l'anno con questo colossal di parole, immagini, audio e videoclip, una maniera speriamo efficace di stimolare la digestione post-natalizia.

Piccolo disclaimer per i novizi. Sono 100 nomi, a capriccione totale dell'autore. Ci sono grandi artisti che hanno fatto cose molto fighe in questi 12 mesi, altri che non mi sono piaciuti affatto, altri ancora che hanno fatto qualcosa di notevole (giusta o sbagliata che fosse) e che in qualche modo segna una direzione per l'industria musicale o per il Paese. Ci sono poi progetti piccini e preziosi. Dischi che abbiamo recensito e band che abbiamo raccontato, assieme a cose che vorremmo non succedessero mai più. Persone che ci hanno lasciato e hanno lasciato un vuoto. 

Cose per noi rilevanti, per motivi oggettivi o soggettivissimi. Mi assumerò l'onere e la libertà di essere particolarmente "dritto", al limite del crudele, nei giudizi: giri di parole non ne troverete, al massimo qualche pensiero per voi non condivisibile e di cui mi prendo la responsabilità. Buona lettura, buon veglione. Ritmo! Ritmo!

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232 APS

Il giorno di Natale sette ragazzi sono evasi dal Carcere Minorile Beccaria di Milano. Era considerato uno dei fiori all'occhiello del sistema carcerario (inteso, per una volta, come reinserimento nella società e non solo come repressione), grazie soprattutto all'opera di don Gino Rigoldi e di don Claudio Burgio, che con la sua associazione Kayros ha dato una mano a diversi rapper provenienti da percorsi difficili (vedi Baby Gang). Peccato che anche le cose migliori, se non le curi, vadano in malora, e a furia di tagli e disinteresse delle istituzioni ail Beccaria è caduto in disgrazia e la fuga natalizia, accompagnata da una rivolta nei reparti, ne è la testimonianza. Ora la politica dirà che ci vuole il pugno duro (certo...), che ci vogliono più risorse (certo!), la verità è che ci vuole più umanità, e se non la concediamo a dei ragazzini, per quanto colpevoli (o forse soprattutto per questo), vuol dire che non siamo più capaci di praticarla. Quindi bravi a 232 APS – progetto che promuove percorsi artistici e educativi rivolti a minori e giovani adulti in difficoltà proprio all’interno del carcere minorile Beccaria di Milano – e a Carosello Records, che si sono inventati 232 Mixtape, un disco (lo trovate tutto qui) che coinvolge dieci rapper e tre producer giovanissimi, legati all'associazione e molti dei quali con alle spalle adolescenze affatto semplici. Da molti punti di vista, è l'album più importante dell'anno

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Ada Oda

Alla fine dell'anno, come ogni fine dell'anno, ci siamo ritrovati alle prese con il consueto classificone dei dischi, al contempo il più divertente e il più temuto degli articoli. Tra tanti bei lavori, c'era una cosa che non ci tornava: dov’è finito “lo schifo” (cit Manuel Agnelli)? Sulla linea del traguardo di fine anno sono arrivati questi quattro tipi dal Belgio, che per questioni di passaporto manco ci dovrebbero stare in quella classifica (ma noi ce ne siamo fregati). Sono gli Ada Oda, la band di Victoria Barracato, frontwoman figlia di un palermitano emigrato a Bruxelles negli anni ’50, un rital di quelli cantati da Gianmaria Testa e resi letteratura da Izzo. Il loro esordio Un amore debole è irresistibile, un po’ per il suono post punk – non la cosa più originale del mondo, ma comunque ben eseguito – un po’ (tanto) per quel che ci dice sopra Victoria. Un progetto 100% straniero con cantato 100% in italiano, decisamente una rarità. E che italiano, poi: un po’ alla Pufuleti, la lingua viene decostruita dagli Ada Oda e riassemblata tipo traduttore online (ma con un cuore al posto dell'algoritmo), dando vita a frasi esistenziali scombiccherate e divertentissime (“ma non ti bìasimo perché”...). Tutto è sbagliato e tutto magico, compresa l’estetica e i videoclip della band. 

Manuel Agnelli

C'erano tutti i presupposti per cui Manuel Agnelli, con il suo disco d'esordio a 56 anni, si facesse molto male. Affrontava per la prima volta da solo il mare aperto della turbo-discografia attuale, in cui l'hype ti fa decollare in un nanosecondo e schiantare ancora più velocemente. L’iconicità della band di provenienza, l’inevitabile sfilza di vedovi e vedove sconsolate, gli anni con poca nuova musica e tanta tv, che regalano soldi e grandi pubblico ma anche tanti hater: tutti ingredienti pericolosi. E invece, oltre a disporre del talento, Manuel ha fatto la scelta giusta: fare un disco “casalingo”, suonando da sé quasi tutto, un disco come si direbbe oggi "urgente". E così quando Ama il prossimo tuo come te stesso è uscito, la delusione è stata solo di chi era pronto a festeggiare il tonfo del frontman degli Afterhours. Un disco vero, composto da 10 inediti vari eppure coerenti tra loro, tra tracce più sporche e altre cantautorali, pezzi che si prendono l'airplay senza farlo apposta, momenti drammatici, distorsioni, prog e industrial, un paio di ballate e brani orchestrali, Tenco e Lanegan. E già non vediamo l'ora di raccontare la carriera della sua omonima nonché figlia Emma, nom de plume (bellissimo) Vaselyn Kandinsky, che lo affianca – algida e perfetta – in Lo sposo sulla torta

Paolo Angeli 

Abbiamo dei grandi artisti in questo Paese, ma spesso (mea culpa, anzi nostra) non ce ne accorgiamo fino in fondo. È il caso di Paolo Angeli, musicista sublime e padre della chitarra sarda preparata, strumento costruito a mano da Angeli stesso. Vederlo live è un'esperienza unica, ancora di più se lo affianca l'amico e conterraneo Iosonouncane. Angeli è un nome che conoscono bene ai Grammy, che collabora con i grandi e fa i world tour, riempiendo la Carnegie Hall. Il suo ultimo disco, Rade, è un'ode al Mediterraneo, alla sua Sardegna come alla Grecia e al Nord Africa. È tanto avanguardistico quanto tradizionale. È musica al suo livello più alto. 

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Ambra Angiolini

Quando abbiamo scritto questo pezzo sulla genesi e la legacy di T'appartengo, non avevamo idea del macello che sarebbe successo da lì a poco. O meglio, in realtà potevamo prevederlo. Perché le infatuazioni nostalgiche del pubblico di casa nostra sono ormai una certezza, soprattutto quando si parla di anni '90. E così il ritorno in tv di Ambra a X Factor, tutt'altro che trascendentale nel ruolo di giudice, è diventato un trionfo grazie alla sua esibizione finale, con la sua hit generazionale (ma non l'unico pezzo della sua carriera) portata sul palco del Forum con tanto di coreografia conturbante. Il brano nato a Non è la Rai è tornato primo in classifica – cari rapper, fate come Marra: se non potete sconfiggere il vostro nemico, campionatelo –, lei è tornata dappertutto. Personalmente ne sono felice: non essendo la signora Pazzini non ho nulla contro di lei, anzi Ambra mi piace in ogni sua veste da tempi non sospetti. Ma questa nostalgia facilona in ambito musicale non mi avrà mai. 

Angelo Badalamenti

Non sono certo che questo Paese abbia compreso e valorizzato a dovere l'immenso contributo che i suoi artisti hanno dato alle musiche dei film del '900. Morricone, Piccioni, Rota, Ortolani, Umiliani. E il più atipico di tutti, a suo modo il più cinematografico di tutti: Angelo Badalamenti, scomparso a fine 2022. Era nato a New York nel 1937 da padre italiano (di Cinisi, in Sicilia) e madre americana. Di lui si era innamorato David Lynch, uno che i suoi collaboratori li sceglieva secondo un casting tanto preciso quanto sui generis, che gli aveva commissionato la sonorizzazione di Twin Peaks (1990), con il suo mitico tema, Velluto Blu (1986), Fuoco Cammina Con Me (1992), Cuore Selvaggio (1990), Strade Perdute (1997), Una Storia Vera (1999) e Mulholland Drive (2001), in cui il compositore figura anche come attore interpretando Luigi Castigliane nella celebre scena del caffé. Le atmosfere che creava – non solo per Lynch e non solo al cinema – erano cupe, oniriche, passavano dal jazz e all'ambient. Ha dato un suono ai turbamenti di un'epoca e di una generazione

Baustelle

Quando Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi hanno accettato di prendere parte a una puntata (particolarmente preziosa) del nostro podcast Venticinque, ero davvero gasato. Nel pezzo di cuore in cui ospito le band che più mi hanno formato, occupano un posto d'onore. Quando hanno annunciato il loro ritorno sulle scene, l'esaltazione è proseguita. Per ora hanno solo annunciato un tour con Vivo Concerti e venduto un sacco di biglietti, hanno fatto un piccolo backstage modaiolo e sono stati a X Factor. Insomma, per ora è rendita di vent'anni di creatività e unicità. Ora – dopo le parentesi soliste dei suoi protagonisti, superlativa quella di Bianconi – deve arrivare nuova musica. Non vediamo l'ora di sentirla, perché artisti come loro in questa industria musicale sono mancati come la pioggia negli scorsi mesi. 
Ps, il 5 gennaio uscirà il primo singolo: evviva!

Blak Saagan

Al MI AMI trovare bella musica non è affatto complicato. Caso mai il contrario, specie nella scorsa edizione con quattro palchi e tantissimi act per tutti i palati. È proprio così che vogliamo un festival: vario, sfaccettato, straripante. Tra i live che più ci hanno scaldato il cuore c'è sicuramente quello del sodalizio veneto, domenica 29 maggio. Quando al Samuele Gottardello si sono uniti Laura Campana (basso) e Alessandra Lazzarini (flauto, sintetizzatori) in una versione Expaanded di Blak Saagan si è capito subito che c'era della magia. I tre hanno dato nuova vita e profondità all'acclamato doppio album Se Ci Fosse La Luce Sarebbe Bellissimo, ispirato al rapimento Moro (Maple Death Records, 2021). Oscuro, incombente, il loro act è stato una macchina del tempo capace di mescolare la psichedelia degli anni '70 a John Carpenter, dark ambient, drone, paesaggi kosmische kraut e post-punk. Un'ipnosi collettiva sulle rive del Mare di Milano. 

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Richard Benson

L'altro giorno ho insegnato a mia figlia, quattro anni, tutto il testo de I nani. Non è stato difficilissimo, a dire il vero. Il pezzo era contenuto nel grande ritorno del Maestro dell'Hard Rock, L’Inferno dei vivi, del 2015, poi divenuto virale grazie al web e a La zanzara. E ha permesso a molti di scoprire, o riscoprire, un personaggio folle e meraviglioso. Se per molti era diventato una specie di icona trash, be' era decisamente di più. Attivo nell'underground romano fin dai primi anni settanta, ha condotto trasmissioni radiofoniche e televisive ed è diventato celebre grazie alle sue esibizioni live, in cui volava di tutto sul palco. Magari non era un duro, di certo era un puro e meno male che ce ne sono ancora. Richard è morto quest'anno, di anni ne aveva 67, tutti vissuti oltre il limite.

Blanco

Riccardo Fabbriconi farà vent'anni tra un paio di mesi. Nel frattempo ha già avuto tanto di quel successo che basterebbe per un paio di dinastie, ed è tutto meritato. Quando un paio d'anni fa lo eleggemmo a CBCR – qua la nostra video intervista, una delle prime della sua carriera –, un po' ci piacque vincere facile. Dopo un paio di pezzi era evidente che il talento e la personalità di quell'ex giovane calciatore rude della provincia bresciana non potevano passare inosservati. Oggi ha già vinto un Festival di Sanremo con un pezzo super sanremese, adattato ai tempi moderni, è diventato un'icona cristiana, ha fatto un tour interamente sold out diventando l'oggetto del desiderio di tutti i promoter del Paese reduci da due estati difficilissime. La sua emozione nel vedere le folle sotto di lui, che un paio di anni fa stava in cameretta a fare musica per sé e pochi amici, la scelta di portare suo padre sul palco e mostrargli che cosa incredibile stava capitando. Ora gli stadi, poi chissà quali altri scalini potrà salire. Quando le cose belle diventano per tutti, c'è da gioire. 

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L'articolo 2022: i 100 nomi dell'anno della musica italiana di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2022-12-30 09:03:00

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