“Come cantante ho studiato molto”, ammetteva candidamente nei primi anni zero Raiz, all'anagrafe Gennaro della Volpe, primogenito di Bruno e Anna, nonché voce-simbolo degli Almamegretta. Pur intendendo come autodidatta, passando da un'interpretazione roca a un'espressività più profonda e pulita. “Miravo – proseguiva nella stessa intervista – a una specie di versione napoletana, con voce bassa e sussurrata, di Gil Scott Heron. Ascoltavo musica araba e indiana, cercavo di prender spunti per entrare con ambiguità volontaria nel terreno comune con quella napoletana”.
La voglia quindi è quella, non tanto di confondere le acque, ma di creare un meticciato totale che fosse imprinting più che caratteristica dell'intero Manifesto del gruppo partenopeo. “Mentre tutto il mondo era in grande subbuglio per le nuove immigrazioni, noi sentivamo di trovarci nel mezzo di quel processo storico: a metà strada, né carne né pesce, in un territorio di confine schierati con quelli che vengono cacciati nelle frontiere, esprimendoci in dialetto per affermare un'appartenenza”. Ecco, questo se vogliamo è l'humus da cui prende corpo Sanacore 1.9.9.5., poi solo Sanacore, capolavoro degli Alma che oggi festeggia il suo venticinquesimo anniversario con una ristampa ad hoc e con ben due brani inediti.
Un disco magico, che si erge come pietra miliare di tutta la musica e non solo della sua area italiana o prettamente rock, coerente a dispetto delle infinite fonti di ispirazione e divagazione, soprattutto per merito dell'unione fraterna tra Raiz (o Raiss, come veniva citato nelle interviste dell'epoca) e il suo “maggiore” Gennaro Tesone, batterista e mente concettuale dietro la decisione di chiamarsi e rimanere Almamegretta, ossia “anima migrante”, dall'alba della band, alla fine degli anni Ottanta, in poi.
“Gennaro non è solo la persona con cui ho concettualizzato tutti gli album degli Almamegretta" disse Raiz, a un passo dall'essere reclamato nientemeno che dai Massive Attack di Karmakoma, "ma una mano santa che mi ha guidato equilibrando i miei eccessi di esuberanza, focalizzando molte delle mie intuizioni che altrimenti sarebbero rimaste tali”. E così, magicamente, ecco la tradizione del golfo incrociarsi con i suoni di Nothing Hill e il ragga di Kingstone: il dub(b) interpretato come momento di antagonismo ai tempi veloci e senza sosta dettati dalla moderna società capitalista.
“Al di là delle tante storielle uscite quell'anno", mi disse Raiz quando ebbi modo di fargli qualche domanda, "eravamo solo un gruppo al secondo disco. I mezzi a nostra disposizione non erano certo quelli dei Portishead, sia per contratto ma anche per una nostra precisa attitudine al sound”. Così gli Alma registrano con un computer Atari che girava a 33 Mhz e aveva un solo mega di memoria, una canzone alla volta perché non potevano conservare nulla. Il loro stile, il dub anni Ottanta rivisitato in chiave mediterranea e apolide, nascerà però proprio in quei giorni in cui la fantasia della passione e l'ottimismo delle aspettative andavano a braccetto con la realtà dei fatti.
“Abbiamo finto d'essere in Giamaica, immedesimandoci in quella dimensione roots", ammisero più tardi. "Però eravamo a Procida, l'isola meno turistica di fronte a Napoli, ci siamo trasferiti lì tre mesi portandoci dietro tutte le nostre apparecchiature”. Le canzoni vennero lasciate aperte nella speranza che un altro sogno si potesse realizzare, ovvero che Adrian Sherwood ci mettesse mano. Dopo un lungo corteggiamento avvenne e, prima un paio di tracce, poi cinque volarono a Londra per essere ulteriormente arricchite dalle mani di Sherwood. “Noi non lo abbiamo mai visto", disse Raiz intervistato dal Mucchio, "ma il disco gli piaceva molto. Di ogni pezzo ha fatto una o due versioni in più, tutto in solo un paio di giorni! Noi per missare il resto siamo stati negli On-U Sound di Londra una settimana, ma abbiamo lavorato col suo assistente Andy Montgomery, che missa quasi tutto quello che esce dagli Studios”.
Sulla scelta del titolo dato al disco, Sanacore appunto, le teorie accreditate sono soprattutto due. A detta di Gennaro, Sanacore è un antico stornello d'amore, registrato in presa diretta dalla voce di una signora che lo cantava in uno dei paesi del vesuviano dove c'era ancora una forte tradizione per le Tammuriate, venne poi re-interpretato con il prezioso aiuto di Giulietta Sacco alla voce e Daniele Sepe al flauto. “Noi andavamo spesso ad ascoltare, a prendere degli spunti, a imparare", mi raccontò poi Gennaro. "Non sempre quello che sentivamo poteva essere usato per motivi di scansione o di qualità tecnica, ma l'idea di Sanacore è nata lì ed è stata realizzata per come è stata pensata”. Più romantico invece Raiz, che attribuisce al titolo il sentimento dietro “la risoluzione di diversi nostri problemi di cuore e di feeling, fotografando il momento di maggiore unità della band”.
A rendere il disco un capitolo unico e non solo nel suo genere sono soprattutto le canzoni nella loro summa: da 'O Sciore Cchiu Felice, reggae morbido e cupo al contempo che cela nel ritornello il mood dell'intero essere degli Alma (tradotto: “Il fiore più felice è quello senza radice / Il fiore senza padrone come il cane senza guinzaglio”) al singolo Nun Te Scurdà, un'amara storia narrata pure nel bel video di Pappi Corsicato, a Maje con il suo andamento afro-caraibico in cui la linea essenziale è arricchita da imprevedibili soluzioni elettroniche.
Pè Dint'E Viche Addò Nun Trase 'O Mare, in cui il muezzin contemporaneo Raiz snocciola parole in uno sfondo mediorientale, sorretto dalla lira di Michele Signore della Nuova Compagnia di Canto Popolare. La trama queer in tempi non sospetti di Ammore Nemico, storia gay tra due soldati di opposte fazioni nella Jugoslavia in pieno conflitto bellico: non avanti, di più. Sciosce Viento, altro pezzo violentissimo nonostante la morbida cadenza sulla millesima e una notte di proteste nella tristemente nota Villa Literno. Se Stuta 'O Ffuoco sulla lontananza e Tempo, elogio alla lentezza sull'interruzione dei cicli ansiogeni dati dalla produzione industriale. Mentre nel CD comparivano pure lo strumentale Ruanda e il dub 'O Sciore Cchiù Dub.
Delle tante giovanili mezze verità di cui sono oramai apertamente reo confesso c'è di sicuro quella inerente il primo concerto a cui ho assistito. La risposta al semplice e petulante quesito (“Ma qual è stato il tuo primo concerto?”) ha assunto sempre nominazioni cangianti a seconda dell'interlocutore. Di volta in volta. Alla bisogna. Così passo dai Cure dell'estate di Wish allo snake-pit dei Metallica, solitamente per i Pearl Jam al Sorpasso di Milano. Tutti nel 1992. Volendo fare lo splendido, arrivo al World Violation Tour dei Depeche Mode del 1990. Volendo fare il simpatico, cito l'improbabile esibizione dei Litfiba allo stadio Ciccio Scapellato del 1991.
Andando per annate a ritroso come si fa con i vini, ma senza note fruttate. Non che non ci sia stato, l'ho detto già che sono mezze verità, semplicemente non ci sono andato da solo. Affascinato dal mondo dei concerti ma ancora in un'età in cui gran parte dei risparmi veniva speso in prodotti per i brufoli, svolgevo la funzione di accollo domestico. Dicesi accollo domestico: un parente, di solito più piccolo d'età, che si aggiunge a due o più persone rovinandone i propositi o, in sporadici ma non impossibili casi, ad uso di due o più persone per ottenere uno scopo. Esempio: “ok, andate ma portati pure Giorgio che gli piace!”. Oppure: “portiamo anche Giorgio che gli piace!”. Così, l'affezionatissimo vostro, dai 12 ai 15 anni, si è visto a sbafo una carrettata di musica per controllare o dare un'encomiabile causa ai sogni di rock 'n' roll di sua sorella, dei suoi zii e d'uno stuolo di cugini, comprensivo di amici e amanti.
Il primo concerto a cui invece ricordo avere assistito autonomamente è quello degli Almamegretta nel campo sportivo di Marina di Ragusa, nell'estate del 1995. Quando Sanacore arrivò nei negozi, Gianni Manticce non è già più il chitarrista della band, e Alex Castiglione lo sostituisce per tutta la durata dell'interminabile tour, più di ottanta tappe in Italia, più altre in Europa, per un totale di sette mesi on the road che danno al formidabile affresco tecnologico-popolare la consacrazione sul palco. “A noi non interessavano le vendite, volevamo solo commuovere la gente”, racconta ancora oggi Raiz. Andò a finire che lo comprarono in centomila solo durante il tour.
E io sono uno di quelli. Ricordo la splendida veste grafica fatta da Angela Maione che s'affaccia dai manifesti su tutto il litorale siciliano. Impossibile non notarla. Mi precipitai per la potenza iconica ma non troppo sicuro di cosa aspettarmi. Nel mio stereo in quel periodo girava tutta altra roba, Vitalogy, Red Medicine e giù di lì. Lo spettacolo fu semplice ma tirato, ad alta gradazione emotiva, dal ben preciso approccio musicale e ideologico, se possibile ancora più sanguigno e dinamitardo che sul disco.
Ho un vivido ricordo del muoversi sinuoso di Raiz, del suo protrarsi verso il pubblico che lo sorregge; e poi del pubblico che canta a memoria, danza, ondeggia e si lascia incantare dalla naturale inclinazione alla passione della band. “È un disco sui sentimenti", confermò Raizz a Federico Fiume. "Sui sentimenti umani, sui rapporti interpersonali, senza grandi proclami, perché crediamo che oggi ci sia bisogno di ripartire da zero, da noi stessi come persone”.
Se non è punk questo... Passai i giorni successivi, curvo sul terrazzo, a staccare i residui di vernice e pietra sul retro della locandina che sradicai da un muro di ritorno a casa. Ci misi quasi una settimana ma ne valse la pena. Lo tenni incorniciato per diverso tempo nella mia stanza. Sotto gli occhi vigili e un po' spaesati dei Fugazi.
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L'articolo 25 anni dopo "Sanacore" degli Almamegretta non smette di emozionarci di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2020-10-23 14:49:00
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