Un buco di suono nello spazio, un trattato di fantascienza rock monolitica, un Blade Runner piemontese dalla fotografia rossa - in contrasto con quella blu di Jordan Cronenweth nel capolavoro di Ridley Scott -, un'ora da pazzi in compagnia di sé stessi. Queste sono le prime cose che il mio cervello partorisce pensando a Catartica, disco d'esordio dei Marlene Kuntz, disco fondamentale che io non ho visto nascere, essendo nato 5 anni dopo, che ho scoperto circa un decennio fa - parte di un regalo di Natale per adolescente semi incazzato -, e che mi ha sempre trasmesso, nei suoi ascolti, svariati nel tempo, una sensazione chiara: fatica appagante.
I Marlene Kuntz si affacciavano nel 1994 (già ci sentivamo vecchi dieci anni fa) al mondo della musica con una sventola granitica, non certo accompagnati dalla freschezza dei vent'anni, ma da una sorta di ardore spesso e unto, una digestione acida del grunge che arrivava dagli States, vomitato fuori in un disco che sfiora l'ora di durata. E forse è questa la cosa che più di tutte viene notata dall'ascoltatore del 2024. 59 e rotti minuti di suoni gravi e ruvidi, non certo divertenti.
Sembra inconcepibile, ma è così. Non è contemplato l'intrattenimento in Catartica – che da a venerdì esce in ristampa in cd e vinile edizione limitata – non è contemplato mettersi in posa per farsi fotografare - sul retro del cd si possono vedere quattro bruttissimi primi piani dei MK, fototessere sbiadite, non certo glam -, perché si tratta di un disco ancora concepito come un testo, un manufatto audio da sfogliare dall'inizio alla fine. Concentrandosi. E non perché ci siano grandi concetti da sviscerare o testi filosofici. Concentrarsi per non farsi sopraffare dal suono, per restare a galla, sentire il grido profondo di Godano o le batterie di Luca Bergia, che non tendono la mano a nessuno. Sono cazzi nostri.
I significati vengono a galla un pezzo alla volta, dalla furia meta-musicale di MK al testo metaforico e naif di Sonica, fino ai codici più usurati della forma canzone, come l'autoerotismo, protagonista di Gioia (Che Mi Do). L'inno di una masturbazione piegata su se stessa e senza fiato, senza esposizioni mediatiche o strane ironie. Nel piacere non c'è solo gioia, non c'è l'abitudine di un momento che è un riempitivo in assenza di sesso. La gioia indotta cantata da Godano sembra una performance solitaria, per sé stessi, alla fine della quale cala il sipario e si rimane nel gusto amarognolo di una stanza vuota.
Catartica è fatto di pezzi di carne, oggetti fisici distrutti, amori che tornano a tormentarci dopo la loro fine. E per noi che stiamo ancora scontando la pena sanremese - persino un mese dopo - che ci hanno inflitto trenta canzoni d'amore scritte per la maggior parte da Chat Gpt o quasi, tornare a studiare Nuotando nell'aria ci ricorda la forza del cantare dolce dentro una struttura rock, molto semplicemente un gioco di contrasti che può far scaturire una scintilla di pop anche dal suono di quattro piemontesi rumorosi e alle prime armi.
"Transudamerica mi fa volare, la chitarra per come suona esprime una fortissima incazzatura, ma poi basta un tono della voce per rievocare una nostalgia, forse di tempi passati", mi ha detto ieri E., mia amica e coetanea, al telefono, dopo un ascolto coatto di Catartica, cogliendo appieno un punto fondamentale. La musica dei Marlene Kuntz nel 1994 era un canto di sirena, guidato da due vettori a tratti paralleli, a tratti opposti, in perenne cambio di direzione.
Così come sono nettamente differenti la prima e la seconda parte del disco, una animale ed aggressiva, l'altra più meditata e grunge, così all'interno dei brani stessi la voce di Godano cercava di strappare le maglie sonore delle chitarre di Tesio. Battaglie rock, tensione verso i propri opposti, concetti che in un panorama musicale fatto di artisti assuefatti dal consenso di una nicchia social - e quindi sempre più tendenti all'auto indulgenza -, sono impensabili.
Infine un breve excursus, a dimostrazione della forza di un disco che in trent'anni è stato sempre lì a covare in disparte per fuoriuscire nei momenti giusti. Tre esempi che mostrano la strana e inspiegabile forza universale che ha sempre avuto. 1994, Giovanni Lindo Ferretti annuncia durante un concerto dei CSI che canteranno una canzone di una band emergente, un brano eccellente. Una versione acustica di Lieve regalata pochi mesi dopo l'uscita del disco dei MK. 2012, Danio Manfredini - uno dei più grandi attori teatrali in attività - pubblica un album di cover chitarra e voce, Incisioni, in cui spicca una versione di Nuotando nell'aria difficilmente descrivibile, un brivido acustico di una manciata di minuti. Sentire un attore del genere scavare ancora più a fondo queste parole non ha prezzo. 2021, freddo milanese e Covid duro a morire, la già citata E. - amica e coetanea - mi invita a casa sua per strimpellare una canzone che ha scovato da poco, guarda caso, Lieve. Un brano noise-rock che riunisce due amici nel caldo di una casa a schitarrare manco fosse Battisti.
Questi tre episodi possono essere un esempio dell'eco che un disco gigante come Catartica è riuscito ad avere da subito. Quel canto di sirena - di cui sopra - oggi, trent'anni dopo, lo sentiamo lontano, figlio di un'epoca che sopravvive solo in sbiadite copie ed imitazioni, ma riesce ad incatenarci lo stesso, perché è stato a tutti gli effetti il miracolo melodico-rumoristico dei Marlene Kuntz.
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L'articolo Da 30 anni "Catartica" dei Marlene Kuntz vale tutta la "fatica" che richiede ad ascoltarlo di Gabriele Vollaro è apparso su Rockit.it il 2024-03-07 10:39:00
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