Siamo entrati nello studio di Marco Mengoni per ascoltare insieme Materia (Terra), il suo nuovo album. Uno studio, a Milano, che somiglia molto a una casa: una tana nascosta, segreta, ingombrata da tanti strumenti, (un contrabasso in doccia!), tazzine di caffè abbandonate agli angoli, dischi, amplificatori, libri, lucine ovunque. C’è anche un divano comodo, comodissimo, dove è capitato molte volte che Marco si addormentasse, mi dice, dopo una giornata di prove estenuanti, ma salvifiche. Perché la musica per lui è tutto, probabilmente. È L’Essenziale, come il titolo di una canzone che conosciamo tutti.
La musica è vita per ogni artista, certo, ma nel suo caso fa impressione vederlo così "piccolo", emozionato, delicato, nonostante gli anni di carriera alle spalle illuminati dai tanti successi – dall’esplosione con X Factor 2009, alla consacrazione di Sanremo 2013, fino al recente multiplatino di Atlantico, l’album di due anni fa. Potrebbe farsi grande, arrogante, presuntuoso, eppure ha mantenuto un’autenticità e una purezza sacra, umana. Così com’è la sua musica: in grado (a prescindere dai gusti) di spiegare con un linguaggio universale, in modo quasi religioso, come va la vita. Come si ama, si odia, si sbaglia, si sente. Un super classico che arriva a molti.
Marco brilla davanti lo schermo del computer, in attesa di ascoltare insieme Materia (Terra). "Il peggior critico di me stesso sono io", ci avvisa, ma comunque indaga già sui nostri sguardi per capire se apprezzeremo. Con le parole è sincero, semplice, è curioso, disposto ad ascoltare e ad imparare da noi, primi ascoltatori della sua ultima opera. Traccia dopo traccia fa scorrere in play il suo ultimo disco, l’inizio di un nuovo progetto: un percorso in tre album che raccontano tre anime differenti, tre mondi musicali diversi, ma complementari dell’artista.
Con Materia si parte dall’inizio, dalle origini, da dove tutto ha preso forma e vita: nel disco le radici, il passato e i ricordi sono linfa vitale che scorre, e nel tempo cristallizza errori e paure, dando (e dandosi) la possibilità di perdonare (e perdonarsi). Un disco che ha parecchio il sapore dei 30 anni, di una maturità e una coscienza nuova, serena, consapevole, che non avrebbe potuto affacciarsi così nitida prima d’ora.
Il fragore dei 30 anni in 11 tracce tutte suonate, dove (oltre la voce incredibile di Marco) sono protagonisti gli strumenti. Tra afro/soul, funky, blues, gospel, che è "la musica che mi riporta al centro, quella che appassiona anche mia madre, Nadia, a cui devo tutto", sottolinea sottovoce Marco per introdurci all’ascolto. E continua: "Con la pandemia ho avuto due anni per riflettere, ho fatto un viaggio nella mia mente e ho riconosciuto i miei errori. In questo disco mi sono perdonato", dice.
Nel disco Marco canta con l’anima: inizia con Cambia Un Uomo, traccia di presentazione al viaggio di crescita e consapevolezza di Materia. Tra i ricordi, l’analisi e la comprensione di sé stessi, su un tappeto dal sound anni ’60 e l’andamento tipico dell’R&B, le mani sapienti di Mace e Venerus citano The Beatles con Let It Be. Seconda traccia: Una Canzone Triste tutt’altro che triste, ma piena di ottimismo e speranza nel futuro, nonostante le sconfitte e le assenze. In un’atmosfera R&B e new gospel, su un loop di piano e le produzioni di Ceri e E.D.D.
Che lavorano anche su Il Meno Possibile, il featuring con Gazzelle. Chitarre vintage, soul britannico, pianoforte, organo, il tutto per ricordarci di dare il giusto valore a ogni pensiero. A soffermarsi, non sfuggire alle sensazioni: "In questo brano avevo bisogno di qualcuno che mi riportasse sulla Terra. Così ho scritto a Flavio, che in quei giorni era in tour, ma in poco tempo ha scritto la sua parte. Lui è un amico, lo stimo tantissimo", racconta Marco.
In Due Minuti (prodotta da Taketo Gohara) è "un’autodedica" con cui invitare sé stessi a non sprecare tempo nel tentativo di risolvere problemi indistricabili, perché spesso si tende a rendere le cose più complicate di quanto non lo siano. Poi, c’è Mi Fiderò, il featuring con Madame. Un tuffo nel funky anni ’80 (con le produzioni di Purple Disco Machine): "Mi prenderete per matto, ma secondo me Francesca è una delle voci più soul in circolazione", azzarda serio Marco.
Ma Stasera, Proibito, Luce, Un fiore Contro il Diluvio: Materia (Terra) prosegue con la riflessione sulle relazioni e i rapporti con gli altri, per approdare alla solitudine: "La traccia finale è l'esperienza di un essere solitario che ha paura di affrontare il diluvio da solo. Ma 'Un fiore contro il diluvio non ha mai vinto', come canto al ritornello. Solo insieme si può superare ogni tempesta e ho voluto chiudere il disco con quest’inno alla condivisione".
"Non so se è bello o brutto, è giusto", conclude Marco alla fine di quest’ascolto insieme. Ed è vero: la bellezza di questo lavoro sta (a prescindere che piaccia o meno o che sia troppo o troppo poco pop) nella passione e nella potenza delle parole di un artista che è arrivato e continua ad arrivare a molti. E che tutti conosciamo per la sua voce incredibile (sublimata dai cori, gli strumenti, le produzioni, il lavoro e l’arte di tanti altri professionisti) e ora anche per la sua sincera umanità ed empatia.
"L’idea iniziale di questo lavoro è stata smembrata più volte, ma sono riuscito comunque a non perdere i pezzi. Sono soddisfatto", annuncia. Ora, chissà cosa succederà con il prossimo disco, il secondo della trilogia dopo Materia (Terra). Magari Marco andrà in Aria, sopra la Terra, o sott’Acqua a sperimentare ancora e in maniera più ardita (noi un po’ lo speriamo, sarebbe interessante vederlo totalmente fuori dalla propria comfort zone, ndr). D’altronde, in due anni cambia tutto: è cambiato il mondo, siamo cambiati noi, gli altri. Sono cambiate le idee, Cambia Un Uomo, e cambia anche Marco Mengoni.
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L'articolo I 30 anni sacri e terreni di Marco Mengoni di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2021-12-03 17:00:00
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