Professione: art-director. Luogo di lavoro: Roma, uffici della McCann-Erickson.
Se Sergio Caputo avesse continuato a occuparsi di campagna pubblicitarie, oggi non saremmo qui a festeggiare i quarant’anni di Un sabato italiano. Ma chi è Sergio Caputo? O meglio, chi era quel Sergio Caputo che nell’aprile del 1983 se ne uscì con uno dei dischi italiani più significativi (e belli) del decennio? Interrogativo dalla risposta non facile. Preparatevi, il discorso è lungo. E persino un po’ complicato.
Sergio Caputo è uno studente di architettura che un giorno decide di fregarsene del pezzo di carta, preferendo concentrarsi sul lavoro di pubblicitario. Non solo: suona la chitarra, scrive canzoni, conduce una vita disordinata tra whisky facili e nottate nei locali della capitale che si allungano fino a raggiungere le luci dell’alba. Un viveur che strizza l’occhio alla destra, anche se senza troppa convinzione. Perché lui è Sergio, è cristiano, è italiano, certo, ma a diventare padre, almeno in quei momenti, non ci pensa proprio. La famiglia, poi, uno dei caposaldi di quelle latitudini: ma quando mai? Caputo passa di fiore in fiore, poco conta se si tratta di milfone o di ragazzine.
E la cultura di destra? Negativo: a Julius Evola o a Robert Brasillach, il futuro cantautore preferisce Jack Kerouac e tutta la banda di sciamannati raggruppati attorno alla beat generation. Contraddizioni che raggiungeranno il punto di non ritorno quando sarà il momento di firmare un contratto discografico ed entrare per la prima volta in sala di registrazione. Sergio Caputo, nel 1978, all’età di 24 anni, fa il suo ingresso nella scuderia dell’It grazie a Ernesto Bassignano. Il compagno Ernesto Bassignano. Un cantautore schierato, un “comunista così”, tanto per non dimenticare Mario Brega nel film Borotalco, un’eminenza grigia del Folk Studio.
Dove Caputo, prima in trio, poi in duo e, infine, in perfetta solitudine, si esibisce con le sue prime composizioni. Tutte cosine in stile west-coast, sul modello degli America, band che tanto andava in quegli anni. Se Giancarlo Cesaroni, il patron del Folk Studio, ascolta senza troppa convinzione, quasi con disprezzo, c’è qualcun altro che, invece, sembra apprezzare. Stiamo parlando di Riccardo Rinetti, che nel locale trasteverino si occupa della programmazione dei concerti dei “giovani”. I due diventeranno amici inseparabili e, come vedremo, “Rino” avrà un ruolo importante nella genesi di Un sabato italiano.
Torniamo a quel 1978, quando la It, etichetta satellite della Rca, pubblica Libertà dove sei / Giorni di festa, il primo 45 giri firmato Sergio Caputo. La produzione è di Bassignano, gli arrangiamenti di Andrea Carpi e Fabrizio Cecca, dietro alle pelli siede un ventenne di belle speranze, Roberto Gatto. L’ispirazione del ragazzo continua a seguire i canoni della west-coast, ai quali si è attaccato come una cozza. Il singolo esce ma non se ne accorge nessuno. Basta un attimo per incassare la prima delusione. Non sarà l’ultima, peraltro.
Fa nulla, Caputo continua a suonare e a scrivere, sino a registrare qualche provino nello studio di Kico Fusco, quello della Schola Cantorum, che finiscono tra le mani di Nanni Ricordi. A quei tempi la Ricordi, in risposta ai Q-Disc della Rca, pubblica dei mini LP, quasi dei picture disc, dedicati alle nuove leve della musica italiana: in genere quattro brani registrati su di una sola facciata di un vinile a 33 giri al costo di 3.500 lire. Sergio Caputo, prodotto da Rinetti e Fusco e registrato nello studio di Alberto Radius, sbarca nei negozi di dischi nel 1981.
Un poker di pezzi che preannuncia una svolta stilistica piuttosto forte: Meglio così si tuffa tra le braccia dello swing, Il professore introduce qualche elemento jazz. Un cambiamento bello e buono: in casa Caputo, oltre al solito via vai di ragazze, sono entrati i dischi di Joe Jackson (quello di Jumpin’ Jive) e dei Manhattan Transfer. Oltre a tanti LP di ispirazione jazz, vedere alla voce Count Basie, Duke Ellington, Glenn Miller. La via è tracciata, ma anche il mini-lp della Ricordi sarà l’ennesimo tonfo commerciale, nonostante i videoclip lanciati da Mr. Fantasy, il programma tv di Paolo Giacco e Carlo Massarini.
Il lavoro alla McCann-Erickson appare ormai come l’unica prospettiva all’orizzonte. Non che tra quegli uffici ci si annoi, anzi, ma vuoi mettere la vita da musicista a tempo pieno? Tantopiù che dal cilindro continuano a uscire canzoni. Molte delle quali nascono in un appartamento sull’Aventino, di proprietà di Dante Majorana, fotografo della Ricordi. Basta una chitarra per metterle insieme, ma chissà come potrebbero suonare con l’apporto di una big band. Perché quelle composizioni avranno un taglio swing, poco ma sicuro. Già, ma a chi proporle? Ci pensa di nuovo Nanni Ricordi: il suo migliore amico, Franco Crepax, fratello del noto disegnatore Guido, è il direttore artistico delle Cgd di Caterina Caselli e Piero Sugar. Basta una telefonata e il gioco è fatto. No, non sarà il solito flop.
Un sabato italiano prenderà forma non senza incidenti e problemi di vario tipo. Della big band tanto sognata, per dire, nemmeno l’ombra: c'è appena un sax. Bisogna rimediare con i synth. E va be’… Però certe canzoni necessitano di un pianista. Mannaggia… nessuno ha pensato di chiamare qualcuno in grado di mettere le dita sui tasti di un pianoforte. Alla fine arriva Toto Torquati, uno che di solito trasforma in bellezza tutto quel che gli capita sotto mano: non sarà da meno nemmeno in quest’occasione.
Poi c’è la questione della title-track: a Caputo, e al produttore Rinetti, il suono della batteria non convince. Pensa che ti ripensa, i due decidono di arruolare un espertone, lo scozzese Derek Wilson: cosa fatta capo ha. Ma non è nulla rispetto a quel che sta per succedere con Citrosodina granulare, il brano di apertura dell’intero album. Rinetti ha un’idea: regalare ai giornalisti, in occasione dell’uscita del disco, un gadget, un portachiavi o qualcosa del genere, a forma di mini barattolo di Citrosodina. Qualcuno, dagli uffici della Cgd, per scrupolo e non per altro, chiama i responsabili della casa produttrice del medicinale chiedendo loro cosa pensano dell’idea. La risposta è entusiasta ma fino a un certo punto. Il fatto è che citare un prodotto farmaceutico all’interno del testo di una canzone potrebbe essere considerato forma pubblicitaria.
E se al Ministero della Sanità dovessero girare le palle, esisterebbe il rischio concreto di una multa, una multa elevata, fino a 500 milione di lire. Palpitazioni, sudorazioni improvvise, tremore: panico è la parola d’ordine in quei momenti. Tantopiù che 5.000 copie dell’album sono state già stampate e distribuite (per la felicità dei collezionisti di vinile). La Cgd ordina a Caputo di tornare in studio: urge sostituire quelle due parole. Il cantante si inventa una immaginifica “Idrofobina vegetale”, mentre il pezzo incriminato prende il titolo di Bimba se sapessi.
Al di là di qualsiasi difficoltà, Un sabato italiano riscontrerà un successo non indifferente. La critica accosterà il nome del suo autore a Natalino Otto, ad Alberto Rabagliati o a Fred Buscaglione ma, al di là dei paragoni, il pubblico premierà Sergio Caputo per la freschezza della sua proposta – una proposta controcorrente, ça va sans dire –, per il suo modo scanzonato di proporre storie inverosimili, per certi passaggi, testuali e non, irresistibili. Se, a volte, il suono delle tastiere può sembrare sin troppo invadente (già, la big band non è si è fatta viva…), Caputo e i suoi corrono ai ripari con arrangiamenti pirotecnici e spericolati, nevrotici ed esplosivi. Non tutto gira attorno a swing e jazz: Mettimi giù è quasi apocalittica, roba da cantautore più o meno impegnato (tanto per continuare a battere il chiodo sulle contraddizioni, l’avrebbe potuta scrivere anche qualcuno con il cuore a sinistra), Cimici e bromuro, invece, gira attorno alle corde di una chitarra acustica.
E poi, cosa dire dei i testi che ammantano le dieci tracce dell’album? Poco sopra si accennava a racconti inverosimili. Be’, no… Correggiamo il tiro: quelle storie così ingarbugliate, Caputo le ha vissute davvero. Se Mettimi giù è nata guardando King Kong in tv (si parla del film arrivato sugli schermi nel 1933), il resto arriva direttamente da certe notti temerarie, se non dai rigurgiti di cocktail consumati senza ritegno tra i banconi di qualche night. La title-track racchiude in poco più di tre minuti e mezzo l’atmosfera di una Roma alticcia e tutta da vivere: “Così ci avventuriamo nella Roma felliniana, equilibristi in bilico sul fine settimana”, non è un verso meraviglioso?
La spassosa Io e Rino descrive le nottate alcoliche passate in compagnia dell’amico Rinetti, mentre Cimici e bromuro ricorda i giorni nei quali le forze armate comunicarono un insperato esonero dal servizio militare. Siamo comunque nel mezzo di un continuo invito a percorrere la vita a tutta velocità, senza freni, senza inibizioni, un inno a godersela sino in fondo. Tra le righe, si intravede un segnale destinato a un Paese appena uscito dalle macerie degli anni di piombo che vuole tornare a divertirsi, a cercare la felicità. La ricetta è questa: prendere o lasciare.
In questi giorni, Sergio Caputo sta festeggiando il quarantennale del suo disco più importante con Un sabato italiano 40 show, un tour nei teatri dello stivale, un’occasione per eseguire l’intero album lasciando spazio anche ad altri successi. In compagnia di Fabiola Torresi (basso e voce), Alessandro Marzi (batteria e voce), Paolo Vianello (piano), Alberto Vianello (sax), Luca Iaboni (tromba) e Lorenzo De Luca (sax alto). Che bello, stavolta la big band c’è davvero!
---
L'articolo 40 anni di "Un sabato italiano": la storia di un classico nato sbagliato di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2023-04-27 23:13:00
COMMENTI