I Hate My Village - Nevermind The Tempo
Un supergruppo non è mai solamente la somma ragionata e razionale dei membri che ne fanno parte. Gli I Hate My Village lo sanno bene, e col loro secondo disco hanno deciso che era giunta l'ora dello smottamento totale, dell'esplosione crudele e selvaggia. Nevermind The Tempo è un incidente, lo scontro frontale e sanguinoso tra le influenze afrobeat e le attitudini blues, una deflagrazione fatta di riff assurdi e melodie del disagio.
Il quadro di Troisi - La commedia
Recuperando le atmosfere mortifere degli anni '80, e declinandole attraverso la psicosi collettiva dei nostri giorni, Il quadro di Troisi impacchetta un disco che suona come un bel manualetto di pop contemporaneo. Le mani di Donato Dozzy e Eva Geist toccano tappeti di tastiere avvolgenti e li traducono in testi che sono guidati dal sentimento della perdita. Inno oscuro alla notte, ai soffi glaciali.
Irbis - Lacrime e cemento
Lacrime e cemento è il primo discone di un ragazzo il cui talento non è mai stato nascosto. Fin dalle prime uscite, risalenti ormai a sei anni fa, è sempre stata chiara la natura di fenomeno di Irbis, ma oggi l'esplosione è incredibile. Le produzioni di Ceri e Colombre sono la veste perfetta per la penna di Martino, urban ma sguaiata, mai a freno. Non c'è spazio per le etichette, solo per le teste matte.
Ivan Graziani - Per gli amici
La storia del disco postumo di Ivan Graziani è splendida, e ripensarci fa solo commuovere, oltre che sentirsi grati con Filippo per il dono che ci ha fatto. Le tracce che compongono Per gli amici sono un breviario di poesia e immediatezza, che ci restituisce il lato di Ivan più malinconico e scanzonato. Un canzoniere delicato da custodire gelosamente sui propri scaffali, guidato dalla meraviglia delle parole de La canzone dei marinai, tra partenze e cori che invitano a tornare a casa.
James Jonathan Clancy – Sprecato
James Jonathan Clancy, dopo una lunga attività nella scena alternativa con varie formazioni (a cominciare da His Clancyness), pubblica il primo album a suo nome, un disco imponente dove il suono dell'abisso tratteggia un'atmosfera sospesa e sognante tra folk, ambient e psichedelia.
Kid Yugi - I nomi del diavolo
Noyz Narcos parlerebbe di "disco de Cristo", e la definizione ci piace assai. I nomi del diavolo è un flusso di foga che declina il male in tutti i modi possibile. L'album di un ventitreenne "from Massafra", che è arrivato per riscrivere le regola del rap game. Kid Yugi ha un immaginario micidiale - e crudelissimo -, valorizza al meglio tutti gli ospiti di cui si circonda senza trattarli come figurine, e soprattutto non ha l'ossessione di sembrare real ad ogni costo. Lo è davvero.
L'officina della Camomilla – Dreamcore
Francesco De Leo condensa le immagini più vivide e violente del nostro presente in un mondo di sogno dal nome Dreamcore, il nuovo album de L'Officina della Camomilla. Una manciata di canzoni che diventano visione onirica uscita da un film di Harmony Korine, dove la decadenza del mondo occidentale diventa un soffice materasso su cui stendersi.
Laila Al Habash - Long Story Short
Laila Al Habash è quell'artista di cui abbiamo assoluto bisogno. Scrive canzoni che funzionano sempre e comunque, si muove sul palco con una tranquillità rassicurante, porta con sé la bandiera della Palestina, torna a cantare e suonare quando le condizioni lo permettono. Non si piega ai cliché. Long Story Short è il suo nuovo gioiellino di pop raffinatissimo, quattro tracce più outro, meno di 15 minuti, perché fare le cose in breve a volte significa farle estremamente bene.
Lamante - In memoria di
Dopo decine di ascolti a massimo volume, dopo averlo sentito suonare sul palco grande del MI AMI, In memoria di rimane quello che ci era parso la prima volta: un disco provante, da strapparsi il cuore, da cantare in ogni sua sillaba, col solo intento di perdere la voce. Lamante grida la sua biografia, impacchettandola in undici brani incisi sotto la guida di Taketo Gohara. "Il cielo è la madonna che si commuove", e noi con lei, ripetutamente.
Mace - MĀYĀ
Un disco sterminato, dai risvolti inaspettati, che gioca con le strutture del pop contemporaneo e cerca di ridefinirne i confini e le possibilità. Accanto a Mace - e alla sua stupenda gang di musicisti in ritiro spirituale creativo - tutti gli interpreti brillano, guidati da uno sciamano, spogliati dagli obblighi a cui li lega il crudele music business. MĀYĀ è una Babilonia musicale, in cui non resta che perdersi, seguendo l'ordine da noi prediletto togliere il velo e studiare, volare, godere.
(Continua nella pagina successiva)
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L'articolo I 50 dischi del 2024 più belli fino a mo' di Gabriele Vollaro, Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2024-07-04 10:58:00
COMMENTI (1)
Il disco di Mahmood è non meno che stupendo: un vero disco pop con canzoni che abbracciano non solo vari stili ma che all'interno di una stessa canzone cambiano struttura continuamente con sortite vocali stratosferiche, armonizzazioni come pochi le sanno fare. Cocktail d'amore, nei letti degli altri, nel tuo mare, bakugo, neve sulle Jordan, ra ta ta e tuta gold sono tutte degli strikes e a memoria, non ricordo molti dischi pop così belli.