I 50 dischi più belli del 2022 (pagina 5)

È arrivato quel momento lì: leggete, condividete, commentate, celebrate, date fuoco alle polveri delle recriminazioni. Buon classificone di fine anno a tutti

Testi di Dario Falcini, Vittorio Comand, Simone Stefanini, Claudia Mazziotta. Artwork di Giorgia Navarra
Testi di Dario Falcini, Vittorio Comand, Simone Stefanini, Claudia Mazziotta. Artwork di Giorgia Navarra

10. Egreen – Nicolás

“Il fatto che la categoria degli artisti venga senza sosta sottoposta pubblicamente al confronto numerico e degli apparenti risultati è frustrante, svilente, offensivo”. Qualche giorno fa, a commento dei Wrapped di Spotify, e della conseguente (e mortificante) slavina di autocelebrazioni degli artisti e dei propri presunti trionfi, Egreen ha scritto così. Mentre Sfera – per dirne uno – postava una foto di sé stesso intento a mangiare 43 kg ci costata a bordo piscina e scriveva l’immane troiata per cui i numeri non mentirebbero mai, lui esprimeva quest'altra visione, magari residuale ma refrigerante. La "dottrina del successo" è la grande bugia dei nostri tempi, a cui chi resiste merita la menzione d’onore. E Egreen lo ha fatto non solo a stories e parole, ma con un disco autoprodotto come rivendicazione d’alterità, dopo un periodo complicatissimo a livello personale. Un disco di rap vero, crudo, potente, ben scritto e che suona alla grande. Una rarità che tale non dovrebbe essere, ma che ora vogliamo celebrare al di là di ogni afono dato di popolarità.

9. Treetops – Demetra

questi da dove saltano fuori? Presto detto: dalle aule del Saint Louis College of Music di Roma, dove Anna e Marcello si incontrano e decidono di voler fare un po’ di musica assieme. Uno dopo l’altro i ragazzi diventano sette, tutti attorno ai 20 anni, e in un tempo altrettanto rapido hanno già anche un disco all’attivo, quello che trovate ora nella nostra top ten. Magari Demetra non vedrà mai le vette delle chart, ma cose che suonano in questo modo in Italia oggi ce ne sono ben poche. Con i Treetops la riscoperta dell'anima più intimista della world music incontra la psichedelia dalla mano leggera di fine ’60, mentre curatissimi arrangiamenti sfociano nel jazz e nella fusion, una sorta di matrimonio proibito tra Snarky Puppy e Mogwai a cui vi consigliamo caldamente di autoinvitarvi.

8. Danielle – Sì, adesso mi sveglio

Questo è un disco che ha talmente poco senso di esistere nel 2022, che finisce per essere uno dei suoi prodotti migliori. Un disco chic, piovuto sull’ottobrata italiana direttamente dagli anni ’80 e firmato dal giovane artista pesarese già membro dei Crema e, sin da quando aveva 23 anni, dei mitici Camillas. Ora l’avventura solista, per l’etichetta Talento, con brani che non fanno nulla per sembrare originali o contemporanei, ma che al contrario paiono voler cristallizzare il tempo. C’è Domenica che pare una cover (ben fatta) di Vasco, e poi l’amore per Ivan Graziani, sortite beat anni ’60, momenti di inevitabile surrealismo. Danielle scrive bene, irrora tenerezza con la sua penna e la sua voce, sa quando essere raffinato e quando darci dentro con i chitarrini, quando armarsi d’ironia, quando indulgere sulla nostalgia o sull’agrodolce. Così facendo ci ha fregato in pieno. 

7. Manuel Agnelli – Ama il prossimo tuo come te stesso

Le carte in regola perché Manuel Agnelli con questo disco si facesse molto male erano tutte in mano. Un esordio solista a 56 anni, nel mare aperto di una discografia che passa dall’hype allo scordatoio senza alcuna pietà. L’iconicità della band di provenienza, e l’inevitabile sfilza di vedovi e vedove lasciati sconsolati. Gli anni con poca nuova musica e tanta tv, che regalano soldi e grandi pubblico ma anche tanti hater. La scelta di fare un disco “casalingo”, suonando da sé quasi tutto, era inoltre un’arma a doppio taglio. Ma quando Ama il prossimo tuo come te stesso è uscito, la delusione è stata solo di chi era pronto a festeggiare il tonfo del frontman degli Afterhours. Perché siamo davanti a un disco vero, composto da 10 inediti vari eppure coerenti tra loro, tra tracce più sporche e altre cantautorali, pezzi che si prendono l'airplay senza farlo apposta, momenti drammatici, distorsioni, prog e industrial, un paio di ballate e brani orchestrali, Tenco e Lanegan. Quattro sì. 

6. Candra – Bonola Boy

Il disco più urgente, doloroso, catartico e per molti versi sfidante dell’anno lo firma un trentenne livornese, il cui nome è sconosciuto ai più, ma che dà forma a un concept album da applausi e qualche lacrimuccia. È un disco underground nel vero senso della parola, visto che ciascuna delle dieci tracce rappresenta una stazione della metro di Milano, città in cui Alessandro, l’alter ego di Candra, ha vissuto durante un periodo per nulla facile della propria esistenza. Il disco, e il viaggio che narra, è una moderna via crucis, che parte dalla sua vecchia casa nel quartiere di Bonola e arriva a Rogoredo, dove ogni giorno andava a comprare l’eroina che serviva a soddisfare la sua dipendenza. È una storia autobiografica, che viene qui raccontata con grande ispirazione, senza trucchi, cliché e nemmeno autocommiserazioni. Funziona tutto: l’attitudine punk metropolitana e il cantautorato sghembo, quello della tradizione livornese per intenderci. Gran disco.

5. Verdena – Volevo magia

C’è chi questo disco lo ha criticato, nella stessa redazione di Rockit i pareri non sono stati unanimi. Tutti sanno quanto sia stata lunga e complicata la sua genesi, e quella stessa attesa ha generato un’aspettativa insostenibile, che probabilmente avrebbe creato malumori qualunque fosse stato l’esito finale. Sotto con le domande fondamentali, allora. È il migliore disco dei Verdena? Di certo no. È il peggiore? Diciamo che sta nella parte bassa di una discografia inarrivabile. È quindi un brutto disco? Neanche per il cazzo. Il punto è dunque questo: un disco non ispiratissimo dei Verdena se la gioca con la fascia altissima dei dischi italiani usciti negli ultimi cinque anni. Manca forse la canzone inno – ma ci sono pezzi meravigliosi come Chaise Longue, Crystal Ball, Pascolare e Certi magazine –, ma c’è sempre quel suono che da 25 anni a questa parte pare ancora irreale poter sentire in una band di casa nostra, soprattutto dal vivo. Ma di cosa stiamo parlando?!

4. Whitemary – Radio Whitemary

Da quando era comparsa sulla scena, si era capito che Biancamaria “ce l’aveva”. Con questo disco, uscito attorno alla metà dell’anno, abbiamo la certezza: Whitemary è una di quelle fortissime. Il suo è un debutto studiato in ogni dettaglio, dove a colpirti in faccia non sono solo i bassi della sua technazza, ma anche la profondità cui può giungere con la sua lirica. O meglio, è il combinato disposto dei due elementi a dare vita a un grande lavoro, ricercato, fresco e massiccio. Credo che tra un po’ è un gran pezzo e non è affatto il solo di una tracklist in cui è vietato skippare. Tracce elettroniche raffinatissime si avvicendano con i momenti di dancefloor più godereccio, il tribalismo, i mantra e la cassa che si sbullona. Tutto quanto è elettronico eppure suona incredibilmente analogico, tutto quanto è dannatamente irregolare e dunque perfetto.  

3. Ada Oda – Un amore debole

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Tra tanti bei dischi, dov’è finito “lo schifo”? Sulla linea del traguardo di fine anno, arrivano quattro tipi dal Belgio, che per questioni di passaporto manco ci dovrebbero stare in questa classifica (ma noi ce ne freghiamo). Sono gli Ada Oda, la band di Victoria Barracato, frontwoman figlia di un palermitano emigrato a Bruxelles negli anni ’50. Il loro esordio è irresistibile, un po’ per il suono post punk – non la cosa più originale del mondo ma comunque ben eseguito – un po’ (tanto) per quel che ci dice sopra Victoria. Un progetto 100% straniero con cantato 100% in italiano, decisamente una rarità. E che italiano, poi: un po’ alla Pufuleti, la lingua viene decostruita dagli Ada Oda e riassemblata tipo traduttore online (ma con un cuore al posto dell'algoritmo), dando vita a frasi esistenziali scombiccherate e divertentissime (“ma non ti bìasimo perché”...). Tutto è sbagliato e tutto magico, compresa l’estetica e i videoclip della band. La domanda è: se hanno conquistato noi, quanto possono risultare avanguardia per chi non ha avuto nella sua storia musicale i CCCP?

2. Nu Genea – Bar Mediterraneo

Se nel 2021, con il singolo Marechià, i Nu Genea avevano fatto capire a tutti, pure all’airplay, che la loro musica poteva essere "larghissima" e "altissima" al tempo stesso, il 2022 di fornisce la conferma che siamo di fronte a dei fuoriclasse. Nel Bar Mediterraneo di Massimo e Lucio si canta in almeno tre lingue, si suona ogni strumento e si abbracciano tutte le tradizioni. Napoli, la sua storia, la sua anima e le sue lotte, diventano ancora una volta centro del mondo. Qui trovano ospitalità, senza alcuno sforzo o incoerenza, i versi tunisini da spezzare il cuore di Marzouk Mejiri, la voce del bravissimo Marco Castello e quella sontuosa di Célia Kamenei, fino alla batteria della leggenda Tony Allen. Dal 2014, quando il progetto è cominciato (con un altro nome), la loro ricerca etnografica oltre che artistica non smette di evolversi, contaminarsi, allargare il campo e la famiglia. Trovando anche il tempo per suonare divinamente. 

1. Post Nebbia – Entropia Padrepio

Sono cresciuti decisamente bene, e così alla fine siamo ripassati. Il miglior disco del 2022 per noi è il secondo dei padovani Post Nebbia, che, benché giovanissimi, sono stati protagonisti di un percorso di crescita esaltante. Non era affatto semplice per Carlo Corbellini e soci trovare il proprio posto nel mondo dopo un esordio come Canale Paesaggi, invece la conferma che arriva da questa messa allucinogena è assordante. La miglior risposta possibile, quella basata sulle idee e sulla musica: il resto non esiste. Entropia Padrepio è un concept album stratificato e ipnotico: il lo fi e lo psych rock del debutto di due anni fa viene qua superato da un’architettura complessa, delicata e solidissima al contempo, in cui convivono funk, synth in abbondanza, visioni cosmiche beatlesiane, qualche svarione prog. Mentre ci si muove tra le spire sonore di un disco pieno di riferimenti bellissimi, ci si addentra anche tra le profondità delle riflessioni sull’uomo, la fede, l’universo e la salvezza. Fino all’agognato approdo Oltre la soglia e in cima alla nostra classifica. 

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L'articolo I 50 dischi più belli del 2022 di Redazione è apparso su Rockit.it il 2022-12-12 10:30:00

COMMENTI (6)

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  • scarpato_pas 23 mesi fa Rispondi

    Sud Arkhè - Direzione Sud Vol. 1
    (Maracash)

  • marco.musi 23 mesi fa Rispondi

    Non ci sono i ROS. In che senso

  • giovamassi 2 anni fa Rispondi

    Concordo nel non vedere i Marlene kuntz nei primi 50.......

  • Telebellotto 2 anni fa Rispondi

    Telebellotto 51esimo, direi meritato

  • Fabio-Modena 2 anni fa Rispondi

    37° Ibisco e 30° leatherette lo trovo assurdo.

  • mario.miano.39 2 anni fa Rispondi

    1-ADA ODA - UN AMORE DEBOLE
    1-IBISCO - NOWHERE EMILIA
    3-TUTTIFENOMENI-PRIVILEGIO RARO
    4-LEATHERETTE-FIESTA
    5-MARIA CHIARA ARGIRO'-FOREST CITY
    5-NZIRIA-XXYBRID