L’anno si era aperto con i Club Dogo e si è chiuso con Marracash. Insomma, poteva andare peggio soprattutto considerando il livello medio del rap che c’è in circolo. In mezzo un diluvio di dischi, in cui non è sempre semplice orientarsi.
Uno sporco lavoro che qualcuno doveva pur fare. Ecco allorala nostra classifica (se volete confrontarla con quella degli anni passati, trovate qua il 2023, qua il 2022 e il 2021: poi fateci sapere se si stava meglio prima oppure no), dalla posizione cinquanta fino all’album che ci ha convinto di più in assoluto.
Ci sono le barre hip hop – e per fortuna, come detto, quest’anno c’è stata anche roba buona –, c’è la nuova ondata funky e afro (evviva!), il cantautorato distorto e il pop che guarda avanti, ci sono elettronica e nuovo jazz. Ci sono sudore e viscere, voglia di far ballare, impegno e cazzeggio, emozioni e fanculi. Piattume e voglia di vincere facile, quelli mai.
Sono tutti album di artisti cheavevano qualcosa da dire e hanno trovato il modo di dirlo bene. Questo è l’unica bussola che abbiamo seguito. Se nei commenti ci date la vostra classifica, la leggiamo molto volentieri.
50. Delicatoni - Delicatronic
Partiamo da un disco che ancora deve fare la sua comparsa: i paladini della cosiddetta "scena vez" sono entrati in residenza alla Casa degli artisti e ne sono usciti con un Jam, un brano esplosivo e riassuntivo di quello che è il loro secondo disco. Delicatronic ci mostra i Delicatoni in veste nuova, molto più sperimentali, alle prese con l’elettronica e le drum machine, che sporcano il nu jazz caratteristico delle prime uscite. Per non farsi mancare nulla si regalano anche una perla che pare uscita dalla mente insana di Brian Wilson,Oh No, in collaborazione con lamante.
49. Baseball Gregg - Briefs
Non era facile per Baseball Gregg portare avanti un gruppo come una relazione intercontinentale a distanza. E invece, a sentirli, sembra la cosa più naturale del mondo, come se Bologna fosse sempre stata in California: lo conferma Briefs, 10 tracce che scappano veloci per 10 anni passati a tessere le trame di un indie pop che si fa sempre più sognante, anche quando il mondo va sempre più a rotoli.
48. Ex-Otago - Auguri
Sono parte della storia della “musica per piangere” nostrana degli ultimi dieci e rotti anni, sono arrivati al settimo disco con una luce nel cuore nuova e piena di speranze. Gli Ex-Otago li abbiamo sempre dati troppo per scontato, perché tanto sono bravi, tanto funzionano sempre. Invece è ora di fermarsi per davvero, per ascoltare Auguri, i suoi strati di malinconia, la sua struttura da grande disco pop cucito sul velluto.
47. Mapuche - Non chiamarli mostri
Quando il lo fi avviene per scelta e non per moda o comodo, ecco che nasce un disco come Non chiamarli mostri. Ecco che si consacra una carriera da “leggenda sommersa” come quella di Enrico Lanza in arte Mapuche, uno che ha un grande gusto, delle cose da dire e una meravigliosa attitudine da punk invecchiato (bene). Il quarto album di questo artista siciliano, apprezzato da larga parte della scena e realizzato assieme a Dino Fumaretto, è un grande cortocircuito, come quelli che abbiamo tutti quanti nella mente. Un viaggio senza direzione né possibilità di uscita, dove il paesaggio cambia continuamente forma e alla fine ci scappa la lacrimuccia.
46. Pop X - Balla coi lupi nella stalla
La nuova folle compilation di Davide Panizza e Walter Biondani è un insieme di canzoni-slogan, che si imparano a memoria in diretta, ancora prima che siano finite. Esorcizzato il periodo 2016-2018 PopX è diventato un progetto ancora più libero, spregiudicato, dedito alla danza scomposta, ai tormentoni, alla rievocazione in chiave surrealista del Festivalbar. Aspettiamo la versione deluxe di Balla coi lupi nella stalla, con una collab con Paola e Chiara.
45. Nic T - The Saint
Nic T è Nicola Traversa, cantautore vicentino con una parentesi londinese. Ed è proprio a Londra che, senza grossi proclami, sfodera un disco di debutto fenomenale: si chiama The Sainte al suo interno si respira un cantautorato folk in cui si trovano tanto i sentieri visionari della scena di Canterbury degli anni '60 quanto le ambientazioni slacker da indie rock anni '90. È come trovarsi davanti a un inafferrabile ibrido tra Kevin Ayers, Mark Oliver Everett e Connan Mockasin, ascoltare per credere.
44. Kid Yugi - I nomi del diavolo
Sembra passato così tanto tempo da quando I nomi del diavolo arrivava a sparigliare le carte nel rap game, settando un nuovo standard per tutti i colleghi, più o meno famosi. Eppure era solo marzo, sono passati pochi mesi, e Kid Yugi è salito sul podio dei migliori rapper italiani, e difficilmente lo si tirerà giù di lì. Yugi ha un Immaginario perfetto, non scende a nessun compromesso, usa la retorica come un maestro, ma soprattutto si destreggia tra gli obblighi discografici imposti dalle major, valorizzando tutti i feat che gli sono stati imposti. Fenomeno.
43. Gaia Morelli - La natura delle cose
Bastano trenta minuti secchi a Gaia Morelli - già voce dei Baobab! - per offrirci uno spaccato netto di cantautorato intimo, volutamente indie, dagli arrangiamenti ricchi sempre oltre le aspettative. La voce di Gaia è profonda e accompagna l'ascoltatore fino ad un certo punto, fino a dove inizia l'ignoto, e allora forse è meglio perdersi, per lasciarsi accecare dalla forza di Tutto il bene, dai ronzii meravigliosi di Siamo stonati, dalle luci di una copertina azzeccatissima.
42. Cosmo - Sulle ali del cavallo bianco
La questione privata di Marco Jacopo Bianchi – in arte Cosmo – tra le lacrime davanti alla consapevolezza dell’invecchiamento del corpo, e il rave come cultura di riferimento sempre e comunque. Sulle ali del cavallo bianco è il disco più struggente dell’anima più festaiola della musica italiana. Un lavoro di produzione glaciale e attentissimo svolto insieme a Not Waving, fatto per lasciare del tutto gli ormeggi, per ritrovare la propria animalità ancora una volta, con nuova consapevolezza.
41. Chiaroscuro - Chiaroscuro
Tra i miracoli della distopica era del covid possiamo annoverare gli incontri casuali avvenuti in rete, che hanno generato collettivi, gruppi di artisti, nuove band. I chiaroscuro sono nati così, frutto del mondo globalizzato che ci impedisce di collocarli geograficamente, come siamo soliti fare, frutto anche di un’estetica totalmente aderente alla GenZ: dream pop sporcato da distorsori ed effetti alla voce, con lo sguardo sempre rivolto alle vene emo del contemporaneo. Un grande profumo di futuro.
(Continua nella pagina successiva)
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L'articolo I 50 dischi più belli del 2024 di V. Comand, D. Falcini, G. Vollaro è apparso su Rockit.it il 2024-12-16 10:16:00
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