Ciao Tom,
Tu non mi conosci e di certo non ti interessa nemmeno sapere chi sono ma volevo farti gli auguri di buon compleanno, ringraziarti per tutto quello che hai fatto e per essere sopravvissuto fino ad oggi, così posso scriverti questa lettera che non leggerai mai. Non ci credeva nessuno che avresti compiuto settant’anni, vero? Sei stato bravo.
Vuoi sapere come ci siamo incontrati? No? Be' te lo spiego lo stesso, ti porto via solo qualche minuto, giuro, e poi mi fa bene fare un piccolo ripasso della mia vita. Io nei primi anni '90 ero un ragazzino molto curioso, anche musicalmente, ascoltavo tante cose diverse e ne cercavo sempre di nuove. Come tutti i ragazzini della mia età ero in attesa di incontrare una guida, un idolo che mi rapisse il cuore e mi donasse un immaginario con il quale vestire il mio piccolo e noiosissimo mondo. A quel punto sei entrato in scena tu. Eri tutto stropicciato e cantavi con una voce d’asfalto fresco, suonavi un pianoforte ubriaco e un set di pentole usate come se fosse una cosa normale.
Ho pensato: “Questo qua mi sa che mi piace”. Contemporaneamente al nostro incontro, ho dato inizio a una lunga serie di domeniche pomeriggio piene di sigarette nel retro del bar sport del mio paese, giocavo a carte con gli amici in mezzo al fumo denso e statico della nicotina, dentro al quale ci confondevamo agli anziani e alle loro bestemmie. Sono iniziate le passeggiate ubriache tra le vie del centro al sabato sera, maledicendo a bassa voce i miei simili (che tanto simili non mi sembravano) e ululando alle finestre accese come un cane che ha perso il guinzaglio e la strada di casa. Mi sono trovato sulle macchine degli amici più grandi a fare corse notturne lungo la via Emilia zuppa di nebbia e di luci fioche di lampioni arancioni per arrivare in qualche pub ai confini estremi della provincia, per bere, per fumare, per imbarcare, per salpare, boh. Per non morire della solita noia forse.
Comunque, la cosa buffa è che mi sentivo sempre altrove; a Minneapolis, in un sobborgo di Chicago, su una highway lungo la West Coast, negli anni ’30, sopra una Cadillac, in un Diner notturno. Sempre da un’altra parte, con le tue canzoni nella testa era tutta un’altra cosa, il mondo fuori era diverso, migliorava. Quante ne abbiamo passate insieme io e te! Per esempio, al circolo Arci di Fidenza, che si chiamava Arci Taun che oggi purtroppo non c’è più, organizzavo una festa per il tuo compleanno. Per tre o quatto anni di fila, ogni 7 dicembre, mentre tu festeggiavi chissà come e chissà dove, io riempivo i tavolini del locale con le fotocopie dei tuoi spartiti e qualche fotografia in bianco e nero con la tua faccia, poi mettevo lucine di natale un po’ ovunque e portavo anche un vecchio pianoforte giocattolo di legno per fare coreografia davanti alla console da Dj dalla quale per tutta la serata mettevo le tue canzoni, solo tue canzoni.
Fortunatamente in quegli anni, il tuo compleanno non è mai caduto nel fine settimana: con tutto il rispetto ma credo che gli avventori mi avrebbero linciato. Cadde invece, in un bel giorno d’estate, l’effige di bronzo con la faccia di Garibaldi che si trovava sull’obelisco che ancora oggi troneggia nella centralissima piazza omonima del paese. Nessuno si fece male ma la cosa strana è che il giorno dopo al suo posto c’era un tuo primo piano con sopra scritto WAITS SQUARE.
La cosa è finita sul giornale locale con tanto di foto e trafiletto che parlava della volontà dei giovani di aggiornare la toponomastica cittadina, chi sia stato a compiere la burla durante la notte nessuno lo sa. Gli investigatori stanno ancora cercando di risolvere il caso, io ho un alibi di ferro, quella notte ero in un night club di New Orleans negli anni ’50, mi hanno visto tutti puoi chiedere a chi vuoi. A proposito, sai cosa ho risposto quando un paio di miei amici sono partiti per fare un viaggio negli Stati Uniti e mi hanno chiesto se volevo un souvenir? No, certo che non lo sai. Gli ho detto “due pacchetti di Old Gold”, le sigarette che stanno sul tavolo del camerino nella copertina di Small Change, in Italia non le abbiamo mica le Old Gold, io fumavo le Diana Blu, che tu non sai neanche cosa sono, immagino.
Perché due pacchetti ti starai chiedendo, e me lo hanno chiesto anche loro, naturale. Beh perché uno me lo fumo e l’altro lo tengo come reliquia, ho risposto. Si ce l’ho ancora, se ti interessa saperlo. Sono passati vent’anni e ho pure smesso di fumare, pensa te. Ah! Sono passati vent’anni anche dall’unica volta in cui ti ho visto suonare dal vivo, me ne stavo dimenticando. Tu te lo ricordi? Luglio 1999, Firenze, Teatro Comunale, anche quello non ha fatto una bella fine, quasi come L’Arci Taun. Mi ricordo che il biglietto costava centoventimila lire, una spesa folle per me, non era nemmeno il più costoso, ero lontanissimo, ti vedevo piccolo piccolo ma ne è valsa la pena. Ma quante ne abbiamo passate insieme!
Di sicuro non me le ricordo mica tutte, mi ricordo però che per un lungo periodo, ogni 14 febbraio mi coricavo in terra e ascoltavo tutto Blue Valentine, mi alzavo solo per girare lato del disco. Non è una bella scena, mi rendo conto, ma ci tenevo a fartelo sapere. In quel periodo, stare male mi faceva sentire magnificamente bene e senza di te, ne sono certo, non sarebbe stata la stessa cosa.
Tutto questo te lo dico anche per farti capire meglio perché quella volta che stavo tornando a casa, nel Lower East Side di Manhattan, dopo aver passato un pomeriggio in giro per New York ascoltando Rain Dogs in cuffia, quel giorno che era il mio secondo giorno di vacanza nella grande mela, sono rimasto pietrificato all’angolo tra Grand St. e Eldridge St. Era il mese di maggio del 2015, saranno state le una o le due del pomeriggio, non so se ti ricordi ma quando è scattato il verde e hai attraversato la strada c’era un povero scemo di Fidenza imbalsamato dall’altra parte dell’incrocio. Ecco, quello lì ero io.
Quando mi sei passato di fianco ho avuto solo la forza di dire “Tom?”, e tu hai avuto la prontezza di rispondermi “Hey Man!” continuando a camminare nella direzione opposta. Io ti ho guardato la schiena fino a quando sei sparito dietro l’angolo. Sono rimasto fermo qualche minuto, poi sono entrato nel primo pub che ho incontrato e mi sono bevuto una birra alla tua salute cercando di calmarmi. Sono sicuro che se non mi avessi risposto sarei rimasto con il dubbio per tutta la vita: eri tu o uno che ti somigliava?
Ma quella voce che ho sentito con le mie orecchie su quel marciapiede americano era la stessa che mi cantava le canzoni tanti anni fa tra la nebbia e le briscole, dentro una macchina lanciata nella notte su quella strada tutta dritta, la stessa che girava sul piatto del giradischi nella mia cameretta mentre me ne stavo coricato in terra come uno scemo. Quello lì eri proprio tu, non ci sono dubbi e quell’altro, quello con lo sguardo inebetito dall’altra parte della strada, invece ero io. Ti confesso che ti avrei abbracciato volentieri. Così, solo per ringraziarti del tempo che abbiamo passato insieme e per dirti che se non ti avessi incontrato, oggi sarei una persona diversa. Magari la prossima volta cammina un po’ più piano.
Stammi bene.
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L'articolo I 70 anni di Tom Waits "cantati" da Dente di Dente è apparso su Rockit.it il 2019-12-07 10:56:00
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