La storia di Rockit inizia nel 1997, e da allora sono tantissime le canzoni che sono passate per le nostre orecchie, ci sono entrate sotto pelle e ancora non ne vogliono sapere di scollarsi da noi. Con la serie settimanale di approfondimenti Verdisempre, dalla nostra newsletter Pezzoni (ti ci puoi iscrivere qui), vogliamo raccoglierle e raccontarne la storia dietro al brano, entrarci in profondità, ripercorrere cosa ne pensavamo allora e che effetto fa ascoltarle ora. E c'è anche una playlistona Spotify dove raccoglierle tutte, la trovi qua.
Il cimitero di Port Hartcourt, cittadina di più di un milione di abitanti sul Delta del Niger, in Nigeria, è circondato da un enorme dispiegamento di forze armate. Il regime militare del generale Sani Abacha vuole evitare che si crei una sommossa popolare per l'ennesima atrocità commessa dalla sua sanguinaria dittatura, perciò nessuno può avvicinarsi al cimitero dove l'intellettuale Ken Saro-Wiwa, condannato a morte per un crimine che non ha commesso, è appena stato sepolto. Aveva 54 anni. Tutto questo succedeva nel novembre del 1995.
Facciamo un salto in avanti di 14 anni. Siamo nel 2009, e quel sangue versato ingiustamente è rimasta una macchia indelebile. Tanto che una domanda bruciante squarcia il cielo: "Non ti ricordi di Ken Saro-Wiwa, il poeta nigeriano?". A porla è Pierpaolo Capovilla sulle prime note di A sangue freddo, brano estratto dal disco omonimo del 2009 del Teatro degli Orrori, che a sua volta prende il titolo dal noto romanzo di Truman Capote sulla vera storia di una famiglia uccisa in Kansas nel 1959. L'album, quando venne pubblicato, fece il boom di ascolti sul nostro sito (Spotify era stato rilasciato sul mercato da appena un anno e non aveva ancora rivoluzionato tutto). Capovilla va dritto al cuore del brano con voce da posseduto, dove già ribolle la rabbia che poi farà esplodere il pezzo. Ed è lì, in mezzo al brutale attacco di batteria, chitarra e basso con cui questo crimine mai perdonato ci viene rovesciato addosso, che abbiamo anche una risposta su chi era questa persona: "Un eroe dei nostri tempi". Un eroe, per davvero.
Perché Ken Saro è stato ucciso? "Perché troppo ha amato l'hanno ammazzato davanti a tutti", pensa Capovilla. "Diceva Marx: "nel capitalismo si è soli nella moltitudine". Direi che non ci piove. L'"amore" per me è sempre un espediente narrativo: ciò che più mi interessa è indagare le relazioni sociali, anche quelle più intime e private, al fine di svelarne le piccole e le grandi ingiustizie che si nascondono in esse", ci raccontava lui stesso in un'intervista dell'epoca, rilasciata a poca distanza dall'uscita del disco. E anche in questo caso l'amore è centrale: l'amore di Ken Saro per il suo territorio, il Delta del Niger, all'epoca minacciato dalle attività delle multinazionali petrolifere (e in particolar modo la Shell), e per la sua gente, gli Ogoni, autoctoni che subivano in prima persona i danni ambientali causati dalle estrazioni di petrolio e di cui Ken Saro si era fatto portavoce.
Per la sua attività sociale, in aperto contrasto con la dittatura di Sani Abacha, Ken Saro finisce più volte in carcere senza processo. È da questa esperienza che scrive La mia prigione, poesia che viene riadattata da Capovilla e inserita all'interno del brano così:
Non è il tetto che perde, non sono le zanzare
Non è il cibo meschino: non basterebbe a un cane
Non è il nulla del giorno che piano sprofonda nel vuoto della notte
Sono le menzogne che ti rodono l'anima!
Questi versi si infuocano mentre impazza la tempesta sonora, lo sguardo spiritato di Capovilla buca l'anima anche senza bisogno di guardare il videoclip del brano. "Ken Saro-Wiwa è ancora vivo!", finisce col sancire la sua voce indemoniata, a ricordarci come lottare per le proprie idee renda immortali. Ma è tutta la potenza del Teatro a far vibrare il corpo di una furia ancestrale: la batteria di Franz Valente picchia durissimo, mentre Gionata Mirai alla chitarra alterna riff e assoli gloriosi e ben sostenuti dalle poderose note del basso di Giulio Favero. È un concentrato di ispirazione e imponenza tra i più riusciti della discografia del Teatro. "Uno dei migliori gruppi del nostro triste, sconsolato, orribile Paese", come li battezzavamo nella nostra recensione dell'epoca.
La vita di Ken Saro finisce in carcere, impiccato assieme ad altri 8 attivisti del MOSOP – Movement for the Survival of the Ogoni People – il 10 novembre 1995, dopo un frettoloso processo farsa, in cui era stato condannato per l'omicidio di alcuni capi Ogoni oppositori del MOSOP. Il suo assassinio riceve un'ondata di indignazione trasversale, con varie associazioni umanitarie e istituzioni che protestano duramente contro l'accaduto. Nel 2009, lo stesso anno di uscita del disco, la Shell patteggia al processo sul coinvolgimento nell'omicidio dei 9 attivisti, compreso Ken Saro. Ma la rabbia brucia ancora dentro.
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L'articolo “A sangue freddo” è rabbia che brucia ancora di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2024-03-11 10:01:00
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