L'Abbassa è un festival vero (con due palchi e 16 band tutte un giorno solo) in più è di quelli ben legati al territorio. Nasce dalla spinta, fortemente voluta, di trovare i fondi per ricostruire il Lato B, un circolo musicale con diverse sala prove, un posto fondamentale per il modenese ma demolito dal terremoto. Quindi, una cosa concreta: i gruppi hanno bisogno dello spazio, si organizzano, lavorano gratis, suonano e trovano i soldi per ricostruirlo. Quindi, si inserisce una grossa macchina organizzativa (fatta di tecnici, musicisti, fotografi, cuochi, bancarellai) in una zona specifica a cui (dal momento che ci sei cresciuto) sei parecchio affezionato. Musica e territorio, quindi, si legano. Entrambi diventano importanti, bastava esserci per capirlo.
Non c'è bisogno di Sigmund Freud e di Gustav Jung con la loro psicologia analitica e tanto meno di ripercorrere la lezione di filosofia esistenzialista, per capire che parte del nostro essere, della nostra persona è legata ineluttabilmente ai territori, luoghi che abbiamo vissuto, attraversato, respirato e creato: le geografie fisiche e politiche sono ancorate saldamente alle geografie mentali. Detto questo, se le geografie sono quelle della bassa modenese, epicentro delle potenti scosse sismiche e le menti sono legate a tutto quello che appartiene all'ambito della musica e all'improvviso arriva una parola -terremoto- a sovrastare, devastare e scardinare questo equilibrio, portandosi via non solo la tua casa, il tuo posto di lavoro, ma anche la tua valvola di sfogo, dove riversare la tua creatività, le tue energie in surplus, come per esempio un circolo musicale chiamato Lato B (spazio con sei sale prova, nato alla fine degli anni '80 a Finale Emilia, casa per tantissime band, giovani e no), si verificano piccole scintille che mettono in moto grandi soluzioni: Abbassa, un festival organizzato da diverse realtà legate alla zona, è stata la risposta secca. Dove il ricavato è stato destinato interamente per rimettere in piedi la sede del circolo. E io posso capire che di festival c'è ne sono stati e c'è ne saranno, ma organizzarlo in pochissimo tempo, senza togliere qualità alla forma-struttura di un evento, non è semplice. A me piace pensare che oltre alla passione, ci sia stato anche la giusta dose (tanta) di incazzatura, nata dal semplice assunto: non toccate ciò che per noi è vitale.
Abbassa, si è svolto a Bosco Albergati, uno spazio tutto bucolico vicino a Castelfranco Emilia, con due palchi, uno più grande sotto un tendone da circo e un altro più piccolo completamente all'aperto in mezzo al praticello. La formula che rende speciali queste giornate è sempre la stessa: tanto verde, birrette a più non posso, gnocco fritto, bruschette, bambini, barbe, camicie a quadri, gonne svolazzanti, magliette rock-punk, shorts in jeans, chiacchiere -vere, verosimili, fantascientifiche, fantapolitiche- e tanto sudore.
Alle quattro, comincia il primo gruppo, She Said Destroy, due ragazze, una batteria martellante senza tregua, giri di basso ossessivi, accompagnati da una voce ipnotica: un live in perfetto stile garage-rock, che ha subito caricato l'atmosfera con le giuste vibrazioni. Purtroppo, penalizzate dall'ora, dall'anticiclone Caronte che non regalava una boccata d'ossigeno neanche per sbaglio, non c'era un pubblico numeroso, io non riuscivo ad applaudire tanto forte quanto avrei voluto, ma è certo “Conflicting landscapes” è un disco che che ascolterò con maggiore attenzione. Dopo Ed, con il suo pop folk dalle sfumature indie rock, sempre piacevolissimo da ascoltare, c'è stata la vera rivelazione per la sottoscritta: i ThreeLakes, Luca Righi, prima da solo, poi con la band, con una chitarra acustica dalle sonorità semplici e una voce intima ma decisa ci ha regalato un live avvolgente, ad alto dosaggio emotivo, come la migliore tradizione folk insegna, mi piace ricordarlo sul palco, come il figlio minore di Bonnie Prince Billy. Se avevo trovato un po' di pace interiore i The Crazy Crazy World of Mr. Rubik, durante il concerto me l'hanno strappata, sfregiata e ridata sotto forma di sana pazzia, farcita di tastiere, batterie in loop, urla a ripetizione, chitarre frenetiche, ruvide e poi blues. Post rock, math rock, post tutto, post futuristi. Io non ho ancora capito che roba fanno, e tanto meno come chiamarla, so solo che mi fanno sussultare e sculettare ogni santa volta.
I Forty Winks, affiatatissimi come sempre, ascoltandoli, ho vissuto in 40 minuti tutto il ciclo della vita, come il vangelo secondo i bolognesissimi Forty Winks insegnano: sbarba (trad.: ragazza molto giovane) con i pezzi più punkettoni e ruvidi, regaz (trad.: ragazza post-post adolescente) con i pezzi stile “Way Out”, e infine vecchia vez (trad.: ragazza ormai matura), con le canzoni dell'ultimo album “Bow Wow”, perfetto connubio tra punk, rock e brit-pop.
(She Said Destroy!)
(Forty Winks)
Gazebo Penguins e Three in One Gentleman Suit, non posso scrivere niente: quando sono innamorata divento banale e irrazionale, quindi oltre a bravi, bravissimi, e altri sinonimi che conducono comunque al bravo, non mi viene in mente altro. Anche se una cosa, giusto una, voglio dirla: fosse stato per me, da quel tendone non li avrei fatti uscire, avrei allestito un circo-cella, e li avrei lasciati (rinchiusi) all'interno. A suonare. In continuazione. Certo, non per sempre, solo qualche mese. Sia ben chiaro, qualche birra l'avrei portata, qualche pezzo di gnocco fritto con la salamella l'avrei lanciato, qualche ora di sonno concessa, indubbiamente: l'idratazione, l'alimentazione e le ore di sonno sono fattori importanti. E, si sa, per suonare ci vuole energia fisica. Si avvicina l'ora dell'aperitivo (anche se per me era incominciato da diverse ore prima), e le mie orecchie incominciano a captare basi elettroniche soft. Atmosfere chill out, trip- pop invadono Abbassa: per un attimo mi è sembrato di essere in spiaggia, con un mojito in mano, in un locale alla moda. Sul palco c'erano i Welcome Back Sailors, sinceramente non li ho seguiti con attenzione, sono rimasta a sorseggiare liquidi seduta sul divanetto, per essere sinceri fino in fondo è un genere, sopratutto nella sfera dei live, che mi piace sentirlo per cinque minuti, dopo, anche basta. Pur riconoscendone la bravura tecnica e l'originalità nel genere è un live che non ha attirato la mia attenzione, ma per una questione prettamente di gusto musicale.
Non poteva certo mancare il “santo patrono” di Abbassa, Bob Corn, senza di lui il festival sarebbe stato come un Hipster senza macchina fotografica. Scaletta ridottissima, sia per i monologhi del cuore, come li ha definiti qualcuno, tra una suonata e l'altra, sia per la decisione di dividere il suo tempo a disposizione con Majirelle. E lei è stata brava, tanto, ha dimostrato in dieci minuti tutta la bellezza intrinseca del suo primo album, “Music for roos”. Note dolcissime e leggere, accompagnate da una voce intensa, che hanno creato una bolla di pace sospesa nel cielo.
(Cut)
I Cut, li ho visti tantissime volte dal vivo, ma a questo giro hanno completamente abbattuto la barriera pubblico-band, c'era solo un grandissimo noi. Adrenalinici, velocissimi, follia furiosa concentrata, che ti arriva addosso come una secchiata di acqua gelata. Hanno concluso il concerto facendo salire la prole sul palco, dicendo: “qua ci sono i nostri figli, la ci sono i nostri dischi!”. Cosa puoi dire a un gruppo che esordisce così e dopo un live più unico che raro? Niente. Beatrice Antolini, Lo stato sociale e Julie's haircut ve li racconterò la prossima volta, non per motivi particolari, o per menefreghismo musicale , semplicemente non ero fisicamente sotto il palco, ero presa a fare cose molto importanti e ad affrontare discorsi di sostanza: provarmi vestiti da freakkettona, girare tra le bancarelle dei dischi e discutere sulle grandi capacità artistiche e musicali di Paris Hilton. Cose tutte serissime, per me.
Il finale della giornata non si può descrivere senza cadere in una pozza melmosa di retorica: Giardini di mirò e A Toys Orchestra. Impeccabili, come sempre, simmetria perfetta fra visione e dolce tensione. Gli unici concerti dove per alcuni minuti c'è stato un silenzio religioso, ogni persona era stata rapita dal proprio viaggi mistico.
Se la causa principale di Abbassa è stato il sisma, noi il 24 Giugno ce lo siamo dimenticati, per un giorno non ci abbiamo pensato, avevamo cose migliori da fare, da ascoltare, da vivere e da far ripartire. Sì, magari è solo un festival, solo della musica e della gente che si diverte, beve e mangia, magari sono io che ultimamente sono troppo melensa. Ma se questo è servito per ricostruire un tassello fondamentale della cultura musicale del nostro territorio, è sintomo che anche solo un festival, tanto sbattimento e esserci quando serve a volte può servire nel concreto, per riprenderci o per ricostruire da zero qualcosa che fa parte di noi e di quello che vogliamo essere. Rimpianti sulla giornata? Sì, uno. Essermi persa Boxeur The Coeur, sono sicura che mi avrebbe gasato. Un sacco.
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L'articolo Abbassa, il festival che tutti volevano di chiara angius è apparso su Rockit.it il 2012-07-04 00:00:00
COMMENTI (1)
dev' essere stato fantastico cmq :D