Alessandro Baris sta a Bologna, ma è italo americano. È un compositore e produttore intenso ed evocativo, con una formazione musicale che parte da molto lontano: a 14 anni ha iniziato a suonare la batteria, poco dopo la chitarra, per poi diplomarsi in musica elettronica a un corso del Conservatorio a Firenze. Ha fatto parte dei progetti Collisions, Comfort, L'Altra e Young Boy, ha sonorizzato film muti, ha lavorato come compositore e ha collaborato, dal vivo o in studio, con Egle Sommacal, Pulseprogramming, C'Mon Tigre, Beppe Scardino e Paul Savage. Inoltre, ha fatto tour in Stati Uniti, Europa e Cina. Non esattamente un esordiente.
SINTESI è il suo album di debutto, che uscirà nei prossimi mesi e sarà preceduto dal singolo Embers feat. Emma Nolde, ma la giovane e talentuosa cantautrice toscana non è l'unica ospite del disco: ci saranno contributi di Lisa Papineau e, nel singolo già pubblicato dal titolo Last Letter to Jayne di Lee Ranaldo, ex Sonic Youth. Una collaborazione di prestigio per un pezzo etereo e incredibilmente emozionante. Abbiamo parlato con lui delle collaborazioni, della sua visione della musica e delle differenze strutturali per gli artisti tra gli Stati Uniti e l'Italia.
Qual è percorso che ti ha portato a Sintesi?
È un percorso che parte tanto da lontano quanto da vicino. Credo che questo album "sintetizzi" entrambi questi lassi di tempo: la mia vita precedente, le collaborazioni, i tour e i lavori in studio con L'Altra, Comfort, Collisions, C'mon Tigre, Pulseprogramming, Young Boy, e le mie più recenti esperienze umane. Questo lavoro nello specifico nasce in un momento personale tutt'altro che semplice, preceduto inoltre dal lutto per la scomparsa di mio padre. Ha un valore diverso dagli altri lavori, rappresenta un nuovo punto di partenza e l'elaborazione di tutto quello che mi ha attraversato; si distacca inoltre per l'approccio sottrattivo sia nell'arrangiamento che nel sound design... in ciò che manca c'è tutto.
Come hai conosciuto Lee Ranaldo e come sei arrivato a collaborare con lui?
Ci siamo conosciuti nel 2018 in occasione di un suo concerto al Lumiére di Pisa - fui invitato a intrattenere una conversazione pubblica con Lee sul palco dove aveva appena finito di esibirsi, come previsto dal suo stesso format live. Non avevo mai fatto nulla del genere ed ebbi solo due giorni per preparare alcune domande; nonostante ciò, andò molto bene. Da lì in poi siamo rimasti in contatto, parlando anche di una possibile collaborazione. Poi l'anno scorso, quando ho avuto finalmente il materiale che reputavo adatto, gliel'ho inviato e a lui è piaciuto molto. Così è nato il brano Last Letter to Jayne, scambiandoci materiale e idee nell'etere tra New York e Bologna. Lavorare con Lee è stato emozionante, un privilegio dal quale ho imparato molte cose - se penso a tutto quello che ha prodotto nella sua vita artistica, ai Sonic Youth e all'impegno che ha riversato nella nostra collaborazione, ne sono davvero onorato. Il fatto che una cosa così bella sia accaduta dopo un periodo difficile, è l'ulteriore prova che esiste solo il presente e che vale la pena concentrarsi solo su di esso.
Puoi parlarci delle altre collaborazioni nell’ep o sono ancora segrete?
Ne parlo volentieri vista la mia profonda stima nei loro confronti, parlo di Emma Nolde e Lisa Papineau - il prossimo singolo che pubblicherò (il 23 Aprile via Bandcamp) sarà proprio il brano con Emma. Anche con loro, pur collaborando a distanza (Emma a Firenze e Lisa a Los Angeles) è stato tutto molto spontaneo e semplice, merito della loro grande sensibilità artistica e umana. Con Lisa avevo già collaborato suonando la batteria dal vivo per alcuni suoi live - ha un timbro di voce unico e straordinario, e usa lo voce come uno strumento - sono un suo ammiratore da molto tempo per cui è stato un vero piacere lavorare con lei.
Con Emma ci siamo conosciuti qualche anno fa ed è nata un'amicizia. Penso che sia una predestinata, ha un rapporto davvero profondo con la musica, quasi patologico nel senso migliore del termine, e a dispetto della sua giovane età ha già abbondantemente dimostrato le sue capacità sia come compositrice che come esecutrice, lo sa bene chi ha ascoltato il suo disco d'esordio uscito lo scorso anno.
Mi reputo fortunato per queste collaborazioni che hanno aggiunto qualcosa di speciale alla mia esperienza artistica e umana.
Lo stesso dicasi per i due artisti visivi che hanno realizzato i video per i singoli con Lee ed Emma, parlo di Luigi Honorat, francese di stanza a Tokyo e di Fabio Volpi. Pur utilizzando un linguaggio espressivo come la video art, che a volte può risultare freddo ma non nel loro caso, hanno realizzato dei visual molto evocativi ed eleganti.
Hai parlato di Bandcamp: come promuoverai la tua nuova musica?
Dal vivo spero, oltre che sulla stampa specializzata e in rete come sto già facendo. Ho scelto di pubblicare i singoli inizialmente solo su Bandcamp per poi rilasciarli in un secondo momento anche sulle piattaforme di streaming. Lo stesso sarà per l'album per il quale però ho intenzione di realizzare anche delle copie in vinile.
Ho scelto Bandcamp come prima tappa delle uscite in quanto ha un riconoscimento economico decisamente più giusto nei confronti dei musicisti, rispetto alle piattaforme di streaming che hanno un sistema di ripartizione molto sbilanciato e sfavorevole ai musicisti; sono dei canali di cui non discuto l'importanza ne i pregi ma andrebbe rivisto il loro sistema economico. L'insofferenza per gli scarsi proventi generati dallo streaming è sempre più crescente nella comunità artistica, spero che questo porti a dei cambiamenti prima o poi. Mi sto informando inoltre sugli NFT, voglio capire se sono una valida alternativa reale o una delle solite mistificazioni.
Quali sono le tue ispirazioni e la tua visione della musica nel 2021?
Vivo giorno per giorno la mia vita e il mio legame con la musica ma la mia visione e ispirazione sono quelle di sempre, imprescindibilmente connesse all'aspetto emotivo della musica e alla ricerca di un linguaggio indefinito, sebbene come ascoltatore abbia consumato e consumo musica di ogni genere, dal jazz, all'elettronica, alla classica, al post rock, al pop, alla musica sperimentale e all'improvvisazione e non disdegni affatto le strutture quando sono eleganti e ben fatte. In questo grande serbatoio ci sono stati musicisti e compositori che mi hanno travolto più di altri, e che sicuramente hanno lasciato un segno dentro di me, conscio o inconscio che sia, a cui si aggiungono la letteratura europea, la filosofia tedesca, il cinema muto e il teatro sperimentale di Antonin Artaud e Carmelo Bene.
In musica sono nati dei linguaggi nuovi nell'ultimo decennio, alcuni che reputo interessanti altri meno... ciò che mi respinge in generale sono quei prodotti musicali specchio del finto benessere borghese al quale mira la società come soluzione alla propria esistenza.
Hai doppia cittadinanza e conosci bene anche gli Stati Uniti. Qual è la differenza principale tra essere musicista in Italia e negli Usa, specie in quest’anno di chiusure e impossibilità lavorative?
Mia nonna è nata a Utica nello stato di New York; ho viaggiato avanti e indietro negli anni, in particolare a New York City, dove tuttora vive la maggior parte della mia famiglia materna con la quale ho un legame molto forte, legame che si estende anche ai musicisti con cui ho collaborato a Chicago (L'Altra). Credo di poter dire che durante la pandemia non ci siano state differenze sostanziali; diversa è invece la situazione in generale, intendo dire che essere un musicista a tempo pieno negli States è più difficile che esserlo in Italia, questo perché il sistema sociale americano è molto diverso dal nostro ed è economicamente più pressante, non puoi permetterti di "galleggiare" come invece si riesce a fare in Italia.
Avrei pensato io contrario. Quali sono gli aspetti positivi del sistema americano?
Di contro un aspetto molto positivo degli States sono la qualità della formazione e la forma mentis nell'approccio musicale, più leggera rispetto a certe tare e freni mentali presenti in Italia. Negli States a tutti viene data una possibilità, nessuno ostenta i propri successi, nessuno si lamenta se durante un sound check non sente troppo bene, quello che conta è suonare - inoltre la musica è una presenza solida nella società americana e non viene vista come una chimera, o un dolce far nulla, come avviene spesso da noi. Bisogna poi tener presente che linguaggi come ad esempio il jazz, il blues, il rock nascono lì nel ventesimo secolo, all'interno di contesti sociali e culturali ben precisi che in Italia non ci sono stati. Da lì sono poi diventati linguaggi quasi planetari, colonialisti in un certo senso, e ciò ha spazzato via certe insicurezze che in Italia invece si avvertono ancora, dove si è rimasti fermi alla maestosità (giustificata) della musica classica, alla musica leggera e al cantautorato che non si sono evoluti, anzi c'è stata una certa omologazione e non c'è mai stata un'esportazione se non per gli italiani all'estero. Eppure in Italia non mancano musicisti validi e con idee interessanti, manca però il tessuto discografico che possa sostenerli, sebbene l'audience italiana sia molto attenta alla musica forse anche più di quella americana.
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L'articolo Alessandro Baris, in ciò che manca c’è tutto di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-04-20 14:02:00
COMMENTI (1)
Bello Ale, ricordo ancora i tempi in cui io e il Ghiri ti si veniva a svegliare gentilmente all'alba (le 15:00...) dopo una notte tosta, con i miei cd e cassette strane, e poi la sera si finiva a governare il mondo del calcetto al DLF. Un abbraccio, grande artista!