Tutto un altro modo di cantare in dialetto

"Bordel" è il singolo di esordio di Aris Bassetti aka Mortòri, artista attivo in alcuni dei più originali progetti musicali del Canton Ticino. Che recupera il "dialetto della ferrovia", una delle mille lingue sospese tra Italia e Ticino e ora a rischio estinzione. Senza cadere in alcun cliché

Mortòri scattato da Veronica Colonnello
Mortòri scattato da Veronica Colonnello

Forse il nome Mortòri non è esattamente il più invitante che ci sia, ma quello che produce vale la pena di essere ascoltato. Dietro al moniker c'è Aris Bassetti, musicista ticinese attivo con numerosi progetti di assoluto interesse come Peter Kernel, Camilla Sparksss, Kety Fusco, Monte Mai o Julie Meletta. Ha lanciato la sua avventura solista nel 2023, per "esplorare ed esorcizzare le emozioni meno piacevoli associate all'amore, concentrandosi in particolare sulla profonda connessione tra amore e morte".

Tutto ciò ha decido di esprimerlo attraverso la sua "prima lingua", una formulazione particolare del dialetto ticinese. L'obiettivo è di "decostruire e ricomporre la relazione tra il locale e il globale". Così facendo si dà anche una nuova vita e una nuova speranza a una lingua in via di estinzione. Come nel caso diBordel, suo singolo di debutto, che qua vi proponiamo in tutta la sua mancanza di sovrastrutture. Sotto trovate una chiacchierata con Aris, a partire proprio da questo "esordio".

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A che sonorità hai guardato per questo pezzo?

Bordel è uno dei primi pezzi che ho scritto per Mortòri, ed è nato in modo del tutto spontaneo, senza rifletterci troppo. Solo dopo ho notato che il brano incorpora sonorità mediorientali, strumenti della tradizione musicale sudamericana, il dialetto della Svizzera Italiana e ritmi reggaeton, un genere che tra l’altro non ascolto nemmeno. È come una fusione globale di influenze, difficile da definire con precisione.

Perché il nome Mortori?

All’inizio volevo fare musica moscia, da cui il nome Mortòri, che evoca l’idea di un “mortorio”. Immaginavo di suonare in quei piccoli bar nelle stazioni di servizio, con un paio di anziani che si bevono un bicchiere di vino senza badare a me. Mi affascinava l’aspetto surreale e quasi deludente del performare in un contesto del genere. Non vedo Mortòri come il nome di un progetto personale, ma come qualcosa che appartiene a tutti. È una sensazione universale: l’amore che arriva e poi se ne va, lasciando dietro di sé solo vuoto e morte, emozioni come delusione, tristezza e rabbia. È un progetto che sto sviluppando con l’artista italiana Veronica Colonnello, con cui ho avuto una relazione, e che condivide con me un certo senso di oscurità.

Quanto ti distanzi da quel che fai con Peter Kernel e quanto questo progetto ti permette di sperimentare?

Per me, tutto è collegato. Peter Kernel, Camilla Sparksss e Mortòri sono diverse facce della stessa medaglia. Con Mortòri, però, mi espongo da solo e posso esplorare composizioni che non si adatterebbero al percorso artistico di Peter Kernel o di Camilla Sparksss. Mi sento completamente libero. Ad esempio, c’è un brano che pubblicherò a breve, completamente improvvisato sia nella melodia che nei testi, ho registrato la musica, poi ho acceso il microfono, schiacciato “rec” e l’ho lasciato esattamente come è uscito.

Dove vivi oggi?

Vivo vicino a Bellinzona, in Ticino, ma sono sempre in movimento, quindi a volte ho la sensazione di vivere ovunque. Ma il furgone è la mia vera casa, spesso mi fermo a mangiare accanto a un fiume, un lago o su una montagna. Dormo in giro e cerco di godermi la vita giorno per giorno. Peter Kernel è il mio impegno principale, ma dedico anche molto tempo a Mortòri, Camilla Sparksss, alla nostra etichetta On The Camper Records, e da qualche anno mi capita di fare coaching o di produrre altri artisti. Però, se ci penso bene, nemmeno io so esattamente cosa faccio. So cosa ho in programma oggi o domani, ma non ho idea di dove sarò tra un mese, a parte per i concerti. Come mi ha detto la mia psicologa dopo anni di terapia: “Aris, sai che c’è? Naviga a vista”. Quindi mi dedico a ciò che mi cade addosso.

Foto di Marie Brocher
Foto di Marie Brocher

Che momento è per la scena svizzera e ticinese in particolare?

La scena ticinese è diversa da quella svizzera, ma in crescita. Ci sono artisti locali che lavorano molto bene, come Ele A, Tatum Rush, Julie Meletta, Mattak e Monte Mai (la cantante Anais, tra l’altro, sale sul palco con me per Mortòri), ma ci sono pochi spazi e c’è poco pubblico per certe musiche. A livello svizzero, invece, c’è un gran fermento in tutti i generi musicali, ci sono tante sale concerti, c’è più pubblico e un interesse crescente per la musica live.

In che lingua canti esattamente? Come l'hai imparata?

Canto in quello che qui chiamano “dialetto della ferrovia”, una versione del dialetto della Svizzera Italiana contaminata dall’italiano standard. In Ticino esistono molti dialetti, alcuni molto complessi. Io sono cresciuto parlando un dialetto più semplice in famiglia. Durante il mio primo concerto, in una zona del Canton Grigioni, alcune persone del posto mi hanno detto che non è “vero” dialetto. Può darsi, ma credo che anche questa versione più moderna del dialetto sia autentica a suo modo.

Perchè questa lingua è in via d'estinzione?

Non scomparirà presto, ma ho la sensazione che venga parlato sempre meno. Le nuove generazioni tendono a imparare prima lingue più internazionali, e molte famiglie preferiscono insegnare l’italiano, considerato più utile e bello. Mi dispiacerebbe però se il dialetto scomparisse, perché alcune espressioni sono vere e proprie fotografie di un passato che andrebbe perso. Per esempio, nel mio dialetto, per dire “andare a fare la spesa” diciamo “nà a pruet”, che significa “andare a provvedere”. È un modo di raccontare diverso, che rischia di sparire. Mi dispiacerebbe anche perché ci sono termini davvero stupendi; per esempio, i mirtilli sono i scisctròi; oppure il lampo: sctralüsc. Non so come si scrive esattamente però.

C'è sempre l'idea che una canzone in dialetto, soprattutto certi dialetti, sia meno "seria" di altre. Senti questo stigma?

Sì, il dialetto è spesso associato agli anziani e alle zone rurali, o a generi musicali legati al folclore e alle feste di paese. Questa percezione mi ha portato, in passato, a sentirmi a disagio nell’usarlo. Non perché mi vergogni delle mie radici, ma per il significato che ha acquisito nel tempo. Con questo progetto voglio invece rompere i cliché, sperimentando il dialetto in contesti sonori diversi. Apprezzo Van De Sfroos, ma il suo mondo musicale mi fa sentire stretto per la mia necessità di aprirmi al mondo, quindi cerco di andare oltre.

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L'articolo Tutto un altro modo di cantare in dialetto di Redazione è apparso su Rockit.it il 2024-10-10 15:17:00

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