Novembre 2010, Sanremo, Teatro Ariston.
Sono lì con gli Amor Fou, invitati in quanto finalisti per la categoria Album dell’anno. Il Premio Tenco alla fine lo vincerà Carmen Consoli mentre noi arriviamo terzi, ma insomma, siamo al Teatro Ariston e dobbiamo suonare tre canzoni del disco I Moralisti.
È da circa tre anni che, fra il mio progetto solista e gli Amor Fou, me ne vado in giro a suonare per l’Italia: bar sperduti nella sconfinata provincia, piccoli circoli Arci, circoli Acsi, circoli della caccia e della pesca, piccoli club, club medi, club grandi, festival estivi. All'epoca non eravamo schizzinosi e non costavamo molto.
La fine degli Anni Zero era questa cosa qui, era suonare molto, spesso in condizioni disagevoli, dormire un po’ dove capitava, scambiarsi le date con altri artisti, mangiare male (il menù del musicista, pasta al sugo e affettati), bere più del dovuto per ingannare le lunghe ore di attesa in camerini non riscaldati.
Con l’uscita de I moralisti le cose cominciarono a cambiare, ma era pur sempre il 2010, non c’era Spotify, non c’era ancora il pubblico che un po’ increduli abbiamo visto sbocciare quasi di colpo intorno al 2016. In un certo senso parliamo di un’era geologica precedente.
[Oggi (certo non proprio oggi, diciamo ieri, fino a gennaio 2020) un perfetto sconosciuto può pubblicare un disco e il giorno dopo fare due sold out a Roma e Milano da 600 persone a concerto, con 600 persone che sanno già le canzoni a memoria. Tutto vero, visto coi miei occhi]
Solo tre anni prima, intorno al 2007, c’era Vasco Brondi aka Le Luci della Centrale Elettrica che apriva i concerti (miei e degli Amor Fou): si spostava in treno e aveva sempre un sacchetto di plastica rossa dove teneva i soldi ricavati dalla vendita del suo demo rigorosamente masterizzato a casa. Costava 3 euro e dovrei averne una copia da qualche parte. Tutto questo perché vendere CD e magliette a fine concerto era fondamentale per tenere in piedi un’economia molto fragile.
C’era ancora Myspace e Facebook veniva guardato con sospetto. Non c'era Instagram, ma su YouTube il giorno dopo un concerto trovavi sempre un paio di video impietosi dell'esibizione.
In questa era geologica c'erano i Thegiornalisti, ovvero gli zimbelli di molte band del giro (ma che nome è, ma non si vergognano?), che forse per vendicarsi (o forse solo per farsi pubblicità) pubblicarono un elenco di artisti indie prendendo in giro tutti e quindi diventando simpatici ai più. Qualche anno più tardi suoneranno davanti a 45.000 persone al Circo Massimo distruggendo definitivamente quel poco che restava dell'idea di indie, certificando uno dei più grandi equivoci musicali degli ultimi anni.
Un'era geologica faticosa ma anche divertente. Ci si potrebbe scrivere un libro. Una volta dormimmo in una specie di container, 4 gradi di notte, 45 al sorgere del sole; un'altra restammo chiusi fuori dal B&B e decidemmo di partire per tornare a casa: solo che erano le 4 del mattino ed eravamo a Palermo; per non dire di quando dopo una nottata parecchio movimentata rischiammo di annullare un concerto perché Leziero non riusciva nemmeno ad alzarsi dal letto dove rimase immobile (avvolto da una tunica, da una sacra sindone direi) per dieci ore consecutive; un'altra volta ancora di ritorno da un concerto, molto tardi nella notte, rimasi chiuso fuori casa e fui costretto a dormire per terra, sul pavimento dello studio, senza cuscino, senza coperte, con una temperatura di circa 8 gradi celsius.
Ho suonato davanti a tre persone. Più di una volta. Sono stati annullati dei concerti al momento di salire sul palco perché in sala non c’era nessuno oltre al barista e alla band. Ma il più delle volte - bisogna dirlo - si creava una bella atmosfera e avevi l’impressione che la gente tornasse a casa felice. Una volta all’Atlantico di Roma, poteva essere il 2009 perché stavamo già suonando live alcuni pezzi dei Moralisti, non ci saranno state più di trenta persone, ma erano così gasate che fummo costretti a uscire più volte per il bis.
Insomma con enorme dispendio di fatica ed energia pian pianino la gente aumentava, imparava le canzoni, comprava la nostra roba. Iniziavamo a vedere ragazzi che non si perdevano un concerto nel raggio di un centinaio di chilometri.
E poi, la cosa più importante, la musica: credo cominciassimo come Amor Fou a suonare bene. Certo non eravamo ancora al top, ma lo spettacolo era bello, potente e poetico.
Stavamo crescendo.
Avevamo firmato un contratto con la Emi ed eravamo al settimo cielo.
Dunque il 2010, dunque Sanremo. 48 ore di foto e interviste. Posso solo immaginare cosa voglia dire fare Sanremo, quello vero. Questo era solo il Premio Tenco eppure sembrava di stare sull’ottovolante.
È la sera della nostra esibizione e noi ce ne stiamo buoni in camerino. Pensiamo a quanti artisti sono stati lì dentro prima di noi, a torcersi le budella per l’emozione. Ale scalda la voce, Lez scioglie un po' le mani, Paolo fuma una sigaretta dopo l'altra, io penso alla caducità delle cose umane o forse guardo solo il telefono. Siamo in quattro e, come ha scritto Bono degli U2, essere parte di una band rende tutto più semplice, perché c’è sempre qualcuno che a un certo punto dice una cazzata e scioglie un po’ la tensione. Poi ci chiamano e ci scortano dietro le quinte. Prima di noi c’è Morgan. E quindi sì, chi lo ha visto live ha già capito. Morgan non ne vuole sapere di scendere dal palco, comincia a improvvisare, suona Bach, abbozza canzoni, sfora di almeno una ventina di minuti. Non sarebbe un problema se dietro le quinte non ci fossimo noi quattro, in piedi, emozionati e tesi come corde di violino, con gli strumenti a tracolla ad aspettare.
Che alla fine il 95% del mestiere del musicista è questo: aspettare.
Facciamo i nostri tre brani, emozionati ma felici di calcare quel palco. Ci prendiamo gli applausi e poco dopo incontro Morgan che era rimasto a sentirci nel backstage: è pallido come un cencio e mi dice “mi piace il vostro sound!”. Poi ce ne torniamo beati nel nostro albergo. Il mattino dopo dobbiamo partire presto, perché l’agenzia di booking ci ha fissato una data per coprire le molte spese e non farci tornare a casa a mani vuote. Siamo stanchi ma elettrizzati, in cuor nostro pensiamo che in qualche modo arrivare a suonare al Teatro Ariston sia un punto di svolta.
Ci lasciamo alle spalle il mare e le palme.
Il furgone taglia a metà il Nord d'Italia e ci porta a Castelfranco Veneto.
Fa freddo e c’è la nebbia. Il panorama è spettrale.
Quando scendiamo davanti alla venue facciamo fatica a credere ai nostri occhi.
Una parrocchia.
Dobbiamo suonare nella sala convegni di una cazzo di parrocchia. Il camerino è l’ufficio del sagrestano. Sul palco alle nostre spalle ci sono delle specie di pale gigantesche con qualche santo e qualche beata. I ragazzi che hanno organizzato il concerto sono deliziosi, ma il nostro umore è sotto le scarpe.
Di strada da fare ce n’era ancora tanta. Questo è ciò che si poteva leggere nei nostri occhi.
Giuliano Dottori è un cantautore, polistrumentista e produttore discografico italiano nato in Canada. Dal 2007 è il direttore artistico del festival Musica Distesa di Cupramontana (AN), ha scritto musiche per film, ha pubblicato 4 album da solista e 3 con gli Amor Fou, la band protagonista di questa storia che ha scritto sulla sua newsletter e che ci ha gentilmente permesso di pubblicare.
INFO: Sito Ufficiale, Newsletter
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L'articolo Il mestiere del musicista è aspettare: gli Amor Fou e il Premio Tenco di Giuliano Dottori è apparso su Rockit.it il 2021-02-03 14:38:00
COMMENTI (2)
Ciao Enrico! Grazie per la precisazione, sono andato a memoria ma è passato un po' di tempo in effetti. A presto!
Caro Giuliano, bello questo ricordo della vostra partecipazione al Tenco 2010, bello anche per me. Ma preciso una cosa, che va ancor più a vostro onore: non foste invitati in quanto finalisti delle Targhe Tenco, ma semplicemente perché avevate fatto un bellissimo disco e vi scegliemmo come una delle cose migliori che giravano in quel monento (ero il direttore artistico allora, ricordo bene la scelta). Le Targhe Tenco, si sa, sono votate dai giornalisti, mentre invece la vostra partecipazione fu decisa dal Cub Tenco indipendentemente dalla critica. Prova a pensare: i finalisti delle Targhe erano 5 per 4 sezioni, se avessimo chiamato tutti e 20 avremmo esaurito il cast di tutte e tre le serate, lasciando fuori tutti gli altri. Alla Rassegna le Targhe sono rappresentate solo dai vincitori, non dai finalisti. La vostra presenza dunque dipese da un valore assoluto, non relativo… enrico de angelis