"Vivo": un anno dopo il capolavoro di Laszlo De Simone brilla ancora di più

La canzone più bella del 2021 usciva nei primi minuti dell'anno, come una finestra sul mondo aperta in pieno lockdown. Un classico istantaneo, leggero ma per nulla semplice: una riflessione piena di profondità sulla condizione umana e sulla necessità di non lasciarsi mai vivere

Laszlo e l'Immensità Orchestra in Triennale - foto Marco Previdi
Laszlo e l'Immensità Orchestra in Triennale - foto Marco Previdi

Esattamente un anno fa, accompagnata da uno speciale sito internet con immagini in diretta da webcam poste in ogni angolo del mondo, usciva Vivo dell’artista torinese Andrea Laszlo De Simone. Un brano morbido e meraviglioso (scelto da Rockit come canzone più bella del 2021), scritto su uno standard della musica pop, pensato come “colonna sonora semplice e delicata per un’installazione online” e poi divenuto un instant classic. Chiude in maniera non lineare la suite Immensità, uscita come disco nel 2019 e qui intesa come periodo artistico. Una canzone che ha irrobustito il suo percorso di consapevolezza e crescita, e lo ha aiutato – senza peraltro volerlo a tutti i costi – a imprimere il suo nome nella testa di molti in Italia, Francia e oltre ancora. 

Quel sito, rimasto on line per 12 ore ma in realtà ancora reperibile, fu un’idea piena di senso, non solo per il periodo. Mentre erano impediti i cenoni di Capodanno e imposto il limite dei congiunti, Vivo usciva durante il lockdown e affermava fin dal titolo il contrario del  percepito di morte – le piazze vuote, i bollettini delle 18 – che ci stringeva all’angolo. Nata come una risposta istintiva alla digitalizzazione coatta del contenimento pandemico – in quel periodo Laszlo dichiarava addirittura di aver dismesso l’uso dello smartphone – sfruttava i mezzi orizzontali propri del digitale per scaldare l’umano e l’analogico.  

Guardando il sito e ascoltando la canzone mi è capitato di chiedermi: che c’azzecca una ballata struggente sulle immagini di Time Square a New York? Così presentata al mondo, Vivo usciva decontestualizzando se stessa ma al contempo rivelava la sua natura universale. “Quello che desideravo era che per qualche ora fosse possibile affacciarsi sulla realtà, perché mi manca il mondo e mi manca poterlo osservare senza la stomachevole narrazione dei media”, spiegava De Simone sui propri social. “Volevo vederlo e mostrarlo per quello che è: una grossa roccia viva, imprevedibile e irrazionale”. 

È qui che si capisce come l’opera di Andrea Laszlo funzioni come il respiro di un organismo. Alla base del meccanismo del sito internet vi era la serendipità, ovvero la capacità più o meno fortunosa del fare scoperte inattese e felici. Laszlo non aveva potere di scelta sulle immagini che avrebbero accompagnato il brano. “Non sapevo che cosa avrei visto e non avevo alcun controllo su quello che vi sarebbe capitato di vedere. Piazze deserte? Fuochi d’artificio? Un attentato? Un tricheco su uno scoglio?”, scriveva ai suoi ascoltatori. In questo passaggio c’è la trasposizione su piano comunicativo del significato del testo della canzone, ma anche molto delle canzoni in sé: una volta pubblicate, lasciano i propri autori per incontrare l’Altro e divenire altro. 

Laszlo nei Giardini della Triennale - foto M.P.
Laszlo nei Giardini della Triennale - foto M.P.

Cogliere il tempo che rimane

Vivo è solo all’apparenza una canzone semplice. Ha il dono della leggerezza, come tutte le cose che hanno il pregio di saper galleggiare nell’aria, ma contiene una serie di riferimenti filosofici che meritano d’essere approfonditi. 

Vivo

Ma non ho scelta né motivo

L’incipit del brano è heideggeriano. La nostra esistenza nasce con un una scelta che non è nostra, mentre l’età consapevole inizia con il pensiero. Siamo esseri gettati nel mondo. È una condizione che dobbiamo accettare per conoscerci, per progettarci, per farne la nostra esperienza.

Il mondo è un tipo irrazionale

Fa come vuole

Non dà nessuna spiegazione

Per quanto lo si studi, il mondo non è da potersi comprendere con la logica, con la razionalità, con i pilastri dell’illuminismo. Scrive Laszlo: “Facciamo milioni di congetture e di programmi, ma la verità è che non sappiamo e non controlliamo nulla. Ed è per questo che “non lo so” rimane la risposta più sincera a tutte le domande sul futuro”. In quel “non so” quasi socratico c’è l’accoglienza del possibile: la voglia di esserci, di scoprire, di pensare al futuro come ad un luogo di stupore.

Vi conviene

Cogliere il tempo che rimane

Prima che smetta di bruciare

 

Lo so bene

La vita è breve e pure stretta

 

A chi ha la luna maledetta

E dalla vita non si aspetta

Che sia perfetta

Si gode quello che gli spetta

Perché si muore troppo in fretta

Durante le riprese del 'Film del Concerto' organizzato da MI AMI - foto M.P.
Durante le riprese del 'Film del Concerto' organizzato da MI AMI - foto M.P.

Qui De Simone esprime una sorta di fatalismo che è in realtà controbilanciato da un non celato controcampo vitalista. Il mondo non risponde a nessuna logica, ma perché subirla? Non è solo cogliere l’attimo, ma predisporsi ad accoglierlo. Così come accettare la nostra finitezza dà valore ad ogni giorno speso pienamente.

Di sé dice: “Sono uno che ha bisogno di fare. Non sono in grado di mettermi seduto e ascoltare un album né di sdraiarmi a leggere un libro”. Laszlo è dialogico, manuale, come i bimbi apprende con l’ascolto e l’uso. In questo suo rifiuto naif del sapere accademico e enciclopedico, non c’è giudizio ma rivendicazione di una priorità: quella di esserci, di vivere.

“Il Film del Concerto” in Triennale per MI AMI 

video frame placeholder

Questa canzone, in fondo, è figlia del suo tempo. Chissà se senza la pandemia da Covid sarebbe mai stata concepita e poi “gettata al mondo”. È sicuro che senza il contesto di limitazioni e lockdown non avrebbe potuto avere il non-videoclip che invece ora ha. Permettete un breve passo indietro.

Il 27 marzo 2021, quando tutti i luoghi della cultura erano chiusi per DPCM, come MI AMI abbiamo avuto il coraggio di produrre e la fortuna di poter girare in Triennale Milano “Il Film del Concerto” di Laszlo, un vero e proprio concerto pensato per le telecamere e lo streaming. Costruito come atto conclusivo di “Immensità”, è un’opera a metà fra l’happening e il live, il teatro (dove è stata girata interamente la suite) e la TV (Andrea ha voluto lavorare con il regista Fabrizio Borrelli). 

Durante la prima parte del 'Film' - foto M.P.
Durante la prima parte del 'Film' - foto M.P.

Nel solco di queste scelte inusuali, Andrea – insieme al suo manager Daniele Citriniti, la label 42 Records e il suo booking DNA – ha deciso di usare la versione live di Vivo - registrata nella luce dello spazio espositivo della Cura - come clip ufficiale del brano. Un brano con quel titolo non poteva che essere "dal vivo", d’altronde. Un modo ancora una volta denso di senso, per chiudere un cerchio e aprirne un altro. Come gli anelli di fumo di una sigaretta.

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L'articolo "Vivo": un anno dopo il capolavoro di Laszlo De Simone brilla ancora di più di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2021-12-30 23:35:00

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