Poco da scrivere, i Soviet Soviet ormai si sono ritagliati il loro spazio importante nella nicchia dei new wavers italiani. Il live al B-side di Cosenza lo conferma: anche se partono maluccio il pubblico sembra non accorgersene, il finale invece sarà distruttivo e sudato. Altro che gente fredda. Marcello Farno racconta.
Con la new wave bisogna andarci cauti. Conosco gente che c'è rimasta sotto, schiena storta e sguardo in basso, e dopo anni ancora non riesce a riprendersi del tutto. Ad esempio, i primi che arrivano al concerto, quando ancora il check è finito da poco e sto aiutando i Soviet ad allestire il banchetto, sono dei wavers aggueriti, veterani che avran fatto gli '80 a consumarsi l'anima su "From The Lion's Mouth" e "Ocean Rain", per dire. Comprano un paio di dischi a scatola chiusa. Poi spariscono in un angolo, che sembra quasi dio li abbia voluti lì apposta a tenerci accesi i fari dell'atmosfera.
È il terzo anno di fila che i Soviet Soviet vengono a suonare a Cosenza per Always Never Again. C'è empatia ed affetto col pubblico, di quelle che la gente li abbraccia e li chiama per nome. Si scambiano tante chiacchiere, si beve birra, loro sono molto calmi e rilassati, sembra quasi non li tocchi il fatto che il giorno dopo debbano suonare a Roma prima di Echo & The Bunnymen, e che soprattutto, da poco più di un paio d’ore, abbiano saputo che per la primavera li attende un tour addirittura in Messico.
Con queste premesse, ti verrebbe da dire un concerto scontato. Per niente invece. Non partono benissimo. Nei primi pezzi hanno qualche problema coi volumi, il suono sul palco non torna come dovrebbe, e Andrea, che col basso di solito è una dinamite, resta un po’ bloccato. Fuori però si sente bene, e “Contradiction” è il primo squillo che arriva dritto in pancia. Cominciano ad ingranare, e il pubblico, già di per sé su di giri, si gasa ancora di più quando inizia a vederli sudare e buttar via l’anima dentro le canzoni. Fanno tutto l’ultimo EP, e anche qualcuno dei pezzi più vecchi, alla “Lokomotiv”. La cosa che stupisce ed emoziona di più è di come riescano ad aggredire tutto lo spazio sonoro a disposizione, che sembra quasi che, oltre a loro tre, in quel momento non esista nient’altro dentro il locale. La batteria è una furia, precisa e chirurgica, non ti accorgi dei cambi di tempo per come sono giostrati alla perfezione. Poi Andrea a un certo punto smette di suonare e finisce a ballare tra la gente. E quella dose di freddezza tipica che ti aspettaresti da wavers e post-punkers, la si può dire tranquillamente impacchettata e lasciata a casa. Tiran dentro alla bolgia anche un paio di pezzi nuovi, e lì, probabilmente, una volta per tutte, capisci di trovarti di fronte a una band potenzialmente grossissima. Ti tagliano in due, alla ritmica al furore di prima aggiungono chili di riverberi e una chitarra lancinante, che parla a tu per tu. Mi sembra di sentire i My Bloody Valentine mescolati all’arroganza degli A Place To Bury Strangers, e non voglio assolutamente esagerare. Chiudono con un bis, fanno “Cobretto” e poi jammano alzando un muro su qualcos’altro di inedito.
Insomma, se avessi avuto bisogno di ulteriori conferme, il live di questa sera me ne lascia a valanga. Che i Soviet Soviet siano tra le giovani band più talentuose e continue che abbiamo tra le mani, che piacciono anche ai veterani della wave, e che, soprattutto, parlano i suoni di una lingua che quando spicca bene (vedi i Be Forest in tour coi Japandroids) lascia solo morti sulla strada. Se non demordono, se limano quelle cose che rimangono da asciugare, in fondo, come ingenuità e incertezze, e continuano a mettere un tassello sull’altro con queste capacità, arriveranno molto lontano. Buena suerte, direbbero in Messico.
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L'articolo Andateci cauti con la new-wave: il live report del concerto dei Soviet Soviet al B-side di Cosenza di Marcello Farno è apparso su Rockit.it il 2012-10-12 00:00:00
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