Andrea Laszlo De Simone, il making of di un sogno

Abbiamo passato 3 giorni alla Triennale di Milano per assistere alle riprese del Film del Concerto del cantautore, disponibile in streaming dall’11/4. Vi sveliamo le nostre impressioni in anteprima esclusiva, per scoprire che i miracoli sono possibili, anche quando il mondo là fuori non dà speranze

Domenica 11 aprile alle 21.30, su Dice TV, andrà in onda il Film del Concerto di Andrea Laszlo De Simone, assieme alla Immensità Orchestra. Trovate tutte le istruzioni in questo articolo. Il film è stato realizzato nell’arco di tre giorni, dal 25 al 27 marzo, alla Triennale di Milano. C’eravamo anche noi, nascosti in mezzo alla troupe. Questo è quello che è successo.

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Primo giorno

"I sorrisi che galleggiano nell'aria riescono a combattere le inquietudini e le incertezze di una produzione che si gioca tutto nell'one shot. I due giorni successivi saranno quelli di riprese. C'è una troupe che non si conosce ancora e lo farà nelle prime ore di venerdì mattina. Il morale è alto, il Teatro della Triennale bellissimo e ancora più efficacemente allestito. Andrea prende in mano la chitarra e attacca Conchiglie di fronte alla platea vuota. Ho i brividi, arrivo quasi a commuovermi. Penso alla sua bravura, a quanto la sua musica sia una salvezza in questi giorni. Una canzone fra padre e figlio, la carezza dopo la paura: 'Ti sei un po' spaventato / Proprio come pensavo / Vedrai, non serve a niente / Rintanarti in te stesso…'.

Andrea mentre prova l'abito
Andrea mentre prova l'abito

Come ci siamo ridotti? Quanto ancora dovremo rinunciare alla magia che ci fa incontrare sul solco di queste note? Non è per questo che lo facciamo? Proviamo a forzare il presente, contro il buon senso che è quello che ti fa fare le cose solo quando qualcuno ti dice sia opportuno farlo. Su questo concerto non ci giochiamo l'osso del collo, ma quasi. Ma noi andiamo avanti, sereni come i pirati nella tempesta, trascinati da un motivo più profondo, attrattivo indomito e inspiegabile, che ancora non ti so proprio dire cosa sia.

Giro per la Triennale mentre Francesca acchitta Andrea e Marco scatta le foto. Il regista Fabrizio e il DOP Oreste discutono con il luciaio Fabrizio di come affrontare la fotografia. Sarà una lenta conquista della luce, questa. Intanto Alice e Dani sono contenti, gasati. Hanno lavorato con noi a costruire questo spettacolo giorno dopo giorno. Forse non ci credevano neanche loro, siamo abituati ormai a rinviare i progetti e annullarli. Alice: 'È bello già da oggi'. Dani: 'Grazie per farci alzare il livello'. Stiamo facendo questa cosa tutti insieme. Senza pandemia non sarebbe successo, forse. Abbiamo la Triennale tutta per noi, ma ci pensi? Lo devo ammettere: non so come andrà a finire economicamente, ma sono sicuro che quest'opera significherà qualcosa. Siamo qui per sfidare la realtà triste con il migliore dei nostri sogni".

Andrea e Daniele
Andrea e Daniele

Sono le 21:16 di giovedì 25 marzo quando Carlo mi manda questa mail. Qualche ora prima ho dato l’ultimo esame della mia carriera universitaria, mentre adesso sto mettendo in ordine le uscite del bollettino del venerdì, che dovrò pubblicare la mattina dopo. Il problema è che non ci sono con la testa. I miei pensieri sono tutti concentrati verso la Triennale, dove passerò i prossimi due giorni. Domani cominciano le riprese del film del concerto di Andrea Laszlo De Simone – che andrà in onda domenica 11 aprile –, a cui mi è stata data l’opportunità di partecipare per poi trarne un reportage. Si tratta di un modo di dare un senso al concerto in streaming, trasformandolo in un evento cinematografico per colmare il vuoto lasciato dall'assenza del pubblico. Leggo la mail con una ritrovata forza di spirito. Ho la certezza che tutto quello che succederà tra venerdì e sabato sarà qualcosa di eccezionale.

Secondo giorno

Mi sveglio con tre parole che provano subito a distruggere il mio morale: "Sciopero dei mezzi". La metro, che doveva comodamente portarmi in Triennale, è chiusa. Provo un secondo di panico, ma il sole che splende fuori mi rassicura che si tratta solo di un piccolo pegno da pagare per poter toccare così da vicino un sogno così prezioso.

Dopo uno scombinato viaggio con Marco, il fotografo, arriviamo in Triennale tutti trafelati. Come metto piede dentro l’edificio, sento che c’è un’elettricità strana nell’aria. Stiamo per assistere alla magia della normalità ritrovata in un teatro che non ha un pubblico, ma che si riappropria di quella vita che gli è stata negata per più di un anno. Un esperimento che vuole sconfiggere il mostro dello streaming, per restituire qualcosa di intenso e straordinario.

I tecnici al lavoro
I tecnici al lavoro

Scendo le scale di marmo assaporando ogni passo. Quante volte mi troverò a rifarle in soli due giorni. Entro nella platea e vedo i tecnici che stanno montando un’enorme asta su una piattaforma tra le poltroncine. Vado nel backstage, saluto Carlo, Carlotta e Prisca della redazione. "Respira il posto", mi dice Carlo. Inizio a girare senza sentire i piedi che camminano. Vanno col pilota automatico, come se conoscessero il luogo alla perfezione.

Incrocio i primi musicisti, faccio qualche timido cenno di saluto. Mi trovo di fronte a una porta di sicurezza aperta, dove un sole pieno illumina Andrea, che è appena arrivato. Mi avvicino e gli inizio a parlare. "Sei carico?", gli chiede Marco, che si trovava lì fuori con noi. "Sono contento", risponde con un sorriso Andrea.

Continuo nel mio vorticoso andirivieni per il teatro, cercando di cogliere una parte della preparazione dell’incantesimo. Individuo il regista Fabrizio e il direttore della fotografia Oreste, ma non oso disturbarli. "Ci sarà tempo", penso. Camminando per il backstage mi imbatto in Enrico Gabrielli, l’unico dei musicisti con cui avevo avuto già a che fare per un’intervista qualche mese prima. Mi presento e inizio a scambiarci quattro chiacchiere. "Sai, io sono grato di essere qua", mi dice. "Sono sicuro sarà qualcosa di bellissimo".

Pausa sigaretta per l'orchestra e la crew
Pausa sigaretta per l'orchestra e la crew

Verso le 12:30 inizia una prima prova del concerto. Mi piazzo dietro alle telecamere, in balconata, così da guardare sia i monitor della regia che il palcoscenico. Ed è lì che mi rendo conto di una cosa. Questo concerto senza pubblico uno spettatore ce l’ha: io. Mentre tutte le altre persone lì presenti hanno un ruolo ben preciso, io devo solo seguirlo. È un pensiero che mi riempie l’anima e mi sovrasta allo stesso tempo.

Alla fine della prova, ringrazio di avere la mascherina addosso perché almeno nasconde il sorriso ebete che ho stampato in faccia. Su quel palco, l’Immensità non è solo stata cantata, ma per un lampo è apparsa. Mi ci sono trovato di fronte, minuscolo come un microbo, ma non mi ha schiacciato. Mi ha accolto a sé, mi ha inondato il cuore di amore, mi ha ricordato tutto l’incredibile mondo che c’era prima del virus. Mi ha fatto sentire come se tutto, nell’universo, avesse trovato un equilibrio, per quanto effimero.

Alla seconda prova ci sono più addetti ai lavori che bazzicano nella mia postazione. In particolare mi raggiungono Prisca e Carlotta, che ancora non hanno visto niente. Prisca mi confessa di essere una fan sfegatata di Andrea. Su questa take cerco di concentrarmi di più su alcuni dettagli, studio i giochi di luce pensati dal luciaio Fabrizio, mi incanto sui movimenti di macchina che il regista comanda agli operatori, scruto ogni musicista sul palco per coglierne la poesia. È un’esibizione ancora più magica, sognante, commovente. Una liturgia collettiva che farebbe gridare al miracolo: ciò che per mesi è rimasto chiuso a prendere polvere e abbandonato dalle istituzioni, ora splende di una luce quasi divina. Mi giro e vedo Prisca con gli occhi lucidi. Carlotta è uscita appena finita la take, anche lei in lacrime. Continuo a sorridere come un cretino. Provo solo gioia e gratitudine per essere lì.

Andrea con Fabrizio, il regista
Andrea con Fabrizio, il regista

Faccio avanti e indietro dal backstage. Non riesco a stare fermo. C’è un impulso costante che mi solletica i muscoli e mi spinge a cercare le scintille che illuminano gli occhi di tutta la crew. È una felicità che affonda le unghie nelle pareti vive della Triennale, che cerca di aggrapparsi alla libertà di trovarsi assieme, in un teatro. Anche le assi di legno del pavimento sembrano cantare, dopo che per mesi non erano state calpestate.

Assisto alle take successive e l’emozione non cala. Solo un allarme antiincendio riesce a spezzare l’incantesimo, 5 minuti dopo l’inizio della terza prova, ma per il resto sono talmente proiettato nel concerto da dimenticare qual è la situazione là fuori. È come se l’ultimo anno non fosse mai successo e vivessimo sospesi in questa bolla dimensionale fatta di musica ininterrotta.

Da sinistra a destra: Clarissa, Damir, Zevi, Andrea, Filippo, Giulia e Anthony
Da sinistra a destra: Clarissa, Damir, Zevi, Andrea, Filippo, Giulia e Anthony

Verso le 20 mi trovo all’esterno dell’edificio, esausto e con un latente senso di incredulità che non riesco a scrollarmi di dosso. Ma sono davvero qui? Questa giornata è successa davvero? Man mano, escono tutti i musicisti e i tecnici. Uno dei primi a palesarsi è Daniele, manager di Andrea e bassista dell’Immensità Orchestra. Ha la faccia distrutta, su cui svetta un sorriso incrollabile. "È stato faticosissimo, ancora di più perché ormai non siamo più abituati a stare sul palco. Ma è una fatica bella. Il teatro è questa roba qui", dice. È ora di chiudere e ci avviamo all’uscita, mentre rimane la voglia ribelle di cantare e di ridere assieme. Per fortuna, c’è ancora domani.

Terzo giorno

Sono le 9:30 quando arrivo alla Triennale. Oggi è il turno della curva, al piano rialzato. Si tratta di un salone semicircolare dai muri bianchi, con delle finestre enormi. Dopo il viaggio dal buio alla luce e l’elaborazione del lutto di Immensità, adesso è il momento della rinascita, di strappare la luminosità del domani per farla nostra, mettercela in tasca e portarla a casa con noi, anche solo per un poco. È il momento di Vivo. Purtroppo, la giornata non è delle migliori, con un cielo uggioso che non sembra volersi rischiarare.

Già a metà mattina succede qualcosa di stupendo nella sua essenzialità. Fabrizio, il regista, sta studiando le inquadrature e ha fatto posizionare la batteria. Andrea si siede e inizia a suonarla, usando gli indici come bacchette. Daniele prende il contrabbasso e suona il giro di Vivo. Andrea, continuando a tenere il ritmo, si mette a cantare. È una scena che non durerà più di un minuto, ma è qualcosa di talmente semplice, magico e speciale che mi sciolgo dentro.

Tutta la mattina è dedicata alla preparazione del set. La curva si riempie pian piano di addetti ai lavori, io cerco di trovare un attimo per parlare con il regista, ma è impossibile. Scambio qualche chiacchiera fugace con chi mi capita a tiro, ma per lo più cerco di rimanere il più possibile assente dalla scena per osservare la brulicante eccitazione che ribolle tutto intorno.

Non si è ancora iniziato a girare che scendiamo per il pranzo. Mentre recupero il mio pasto trovo Marco assieme ad alcuni membri dell'orchestra che cantano a cappella Rose rosse, per poi passare a Il tuo bacio è come un rock e Una carezza in un pugno. Dopo mangiato, passo verso la saletta dietro al palco, dove Andrea sta guardando il girato del giorno prima assieme a qualche musicista. Nel giro di qualche minuto, la sala è ricolma di gente. Saremo in 20 persone tutte raccolte a guardare lo schermo di un portatile. C’è chi è addirittura sale su una sedia pur di vedere qualcosa. È un momento di condivisione meraviglioso e impensabile, nel mondo là fuori.

Poco dopo, ho finalmente l’occasione per parlare con il regista. Lo intercetto mentre è seduto da solo su un divanetto e sta guardando distrattamente il telefono. "Posso farle qualche domanda?". "Siediti", mi risponde con tono pacato. Mi faccio raccontare di come sia un amico di vecchia data di Luciano, il padre di Andrea, di come sia rimasto affascinato dalla potenza di Immensità ascoltata dal vivo, delle sue esperienze col cinema, delle sue collaborazioni con Comencini e Olmi, pure del suo passato nei film di serie B. Mi racconta anche dell’incredibile storia della sua amicizia con Tarkovskij, delle sue foto fatte alle manifestazioni degli ex pazienti psichiatrici a Roma, nel 1979, di come Tarkovskij qualche anno dopo fosse in Italia per girare Nostalghia e di come fossero stati messi in contatto da un amico in comune proprio per questo motivo. Rimango estasiato.

Al momento della prima take di Vivo, c’è ancora più fermento nell’aria. Siamo tutti lì, col fiato sospeso, per assistere al punto esclamativo di questo sogno. Ed è nel momento in cui Anthony (che suonava con Andrea nel duo Anthony Laszlo) attacca con la prima nota del brano che le nuvole in cielo si aprono e dalle vetrate entra un raggio di sole pieno, caldo, splendido. La suoneranno in totale 8 volte – anzi, 7 e mezza, visto che una take non viene portata a termine – e ogni volta vengo affascinato da un dettaglio nuovo. Lo vedo, il mostro del concerto in streaming, che si fa annichilire da un progetto folle e meraviglioso come questo. Sbircio nel futuro e intravedo i volti della gente a casa che si lascia rapire dalla voce di Andrea, che sembra uscire da un vecchio grammofono fatto di luce. Vedo l’incoscienza, la gioia, l’amore.

A fine riprese, nonostante la fatica e le energie consumate, c’è ancora tanta adrenalina da scaricare. Il trombettista Piri, vero jukebox umano, si mette a cantare Come saprei, seguito a ruota da Andrea, Anthony, Clarissa (violoncellista) e Damir (chitarrista). C’è una felicità incontenibile, amplificata esponenzialmente dallo spirito corsaro che ha caratterizzato ogni singolo attimo passato in Triennale.

 

Mi ritrovo, a giornata ormai finita, all’ingresso. Ho assistito a un irripetibile miracolo mentre prendeva forma a poco a poco sotto ai miei occhi e vorrei solo poter ricambiare tutta questa generosità. Saluto l'orchestra e Anthony, col quale non ero riuscito a scambiare più di due parole fino a quel momento, mi guarda negli occhi e mi ringrazia. Mentre stanno salendo sul furgone, sento Andrea che chiede: "Che dite, durante il viaggio ci vediamo le take del film?". La risposta è un "sì" collettivo, bellissimo, in cui riecheggia il bisogno fisiologico di rivivere tutto la magia che si era manifestata fino a poco prima. "Ce l’hanno fatta", penso. "Hanno sconfitto il mostro". Non vedo l’ora che sia l’11, per rivivere tutto questo.

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L'articolo Andrea Laszlo De Simone, il making of di un sogno di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2021-04-01 18:00:00

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