Gli anni ’80 sono stati anche i Death SS

Il decennio in cui tutto pareva possibile, quello delle pailette e dei privé. Ma non solo. 35 anni aveva inizio una storia di formazione metal tutta italiana, di cui oggi si celebra un piccolo culto in tutto il mondo

Una foto della formazione dei Death SS del 1988
Una foto della formazione dei Death SS del 1988

Quando ho letto sui social la news che il primo album dei Death SS In Death of Steve Sylvester compiva 35 anni ho avuto un mezzo mancamento. I festeggiamenti per l'anniversario ripropongono l'album rimasterizzato in un nuovo packaging con nuovo booklet e - credo - nuove registrazioni al suo interno. Data d'uscita venerdì 13 gennaio, con tanto di logo del film sul poster che ne annuncia l'uscita. Una baracconata telefonatissima, eppure ha risvegliato in me ricordi di una sfiga talmente letale che al confronto il povero Eddie di Stranger Things era Bruno Mars. Non tanto della band in questione, la sfiga era la mia. 

Immaginate un adolescente di provincia che negli anni '80 non voglia o non abbia i danari per vestirsi alla maniera dei paninari - perché esistevano davvero e a pensarli oggi fanno più paura dei Death SS. Che avrebbe potuto fare se non diventare topo da negozio di dischi, da biblioteca, da edicola, da videoteca? Per manifestare la sua avversione al presente consumistico e alla borghesia, il tal giovane si riempie di film horror coi mostri, legge Dylan Dog, Splatter, i classici di genere, le riviste H/M e Metal Shock e inizia ad ascoltare la musica proibita, quella del diavolo o presunto tale. dischi che in copertina recano immagini perverse, che colpiscono lo stomaco con un pugno e ti fanno sentire il più figo tra i reietti. 

La copertina del disco
La copertina del disco

Ora, mi piacerebbe poter dire che quell'adolescente lo conoscevo solo di vista mai più scafati tra di voi avranno capito che si parla di me, della mia scoliosi sopra gli infiniti contenitori dei vinili per cercare quello esteticamente più ributtante, deviato, cripto esoterico per fare a gara con i pochi amici reietti a chi fosse più schifoso, dunque degno di ammirazione. In Death of Steve Sylvester era un disco assolutamente da avere non solo perché in copertina figurava il cantante e leader Steve Sylvester dentro una grotta truccato come un Baphomet con la bocca colante sangue finto, con le corna e con una sorta di pellicciotto sulle zone erogene a simulare una vagina da ermafrodito, seduto su teschi e altre macerie, ma anche per le leggende che si tramandavano oralmente sulla band maledetta, i Death SS.

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Storie di messe nere, dischi registrati e poi smagnetizzati da qualche spirito maligno (Evil Metal, il 45 giri), di guerre fratricide tra i due leader, Steve Sylvester e Paul Chain che insieme nel 1977 davano vita alla band mentre altrove nasceva il punk, con Paul Chain ritirato a fare dischi solisti un po' metal cantati in linguaggio fonetico, un po' elettronici cupi e avanguardistici, mentre Steve Sylvester crea di nuovo la band più occulta del metal italiano, una decina d'anni dopo gli avvenimenti di cui sopra. Un pesarese che a Firenze prende un manipolo di turnisti che già suonavano in band rock/metal e li trasforma nei personaggi del suo show grottesco: Lui, Steve Sylvester era il vampiro, Christian Wise era la morte, Kurt Templar lo zombie, Erik Landley la mummia, Boris Hunter l'uomo lupo. Questa, ovviamente con nomi inglesizzati per renderli più fighi, è la formazione che nel 1988 registra l'album In Death of Steve Sylvester.

I suoi membri si vestono e si truccano dagli stessi personaggi, seguendo la lezione dei Kiss e di Alice Cooper, e questo per un ragazzino problematico in età quasi puberale è un immenso bonus. In più, il lato A del disco contiene cinque canzoni dedicate a ogni personaggio: Vampire, Death, Black Mummy, Zombie e Werewolf. Se è un sogno, non svegliatemi. Intro oscuri, di synth horror, voci cupe che fanno paura e poi inizia il metal, che non è quello estremissimo, piuttosto un insieme di classic, speed, doom con influenze anni Settanta e la voce solista, di Steve Sylvester, melodica e acida, corrosa, perversa. 

 

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Il lato B che si apre con il classico dei classici, Terror, più di 8 minuti di canzone che temi dell'horror, dal cimitero abbandonato ai morti viventi. Poi una cover metallizzata di Alice Cooper, I love the Death, seguita da una ballata di quelle che mettono i brividi seri, The Hanged Ballad (nota per la cronaca: ancora oggi mi viene l'ansia ad ascoltarla perché so che alla fine mi farà di nuovo paura) , per poi finire con un pezzo super veloce, Murder Angel. Al tempo, il giovane me rimaneva in adorazione estatica per quella musica che era la più scorretta, sbagliata, violenta, corrotta che si potesse trovare in giro. Penso un po' come fanno oggi gli adolescenti con la trap che parla di argomenti che fanno accapponare la pelle ai genitori, con l'unica differenza che, al tempo non esisteva alcun algoritmo e tutto questo ben di dio, specie nella provincia più sperduta, te lo dovevi trovare da solo. 

I Death SS hanno continuato a fare dischi fino a ora, con un seguito di super culto e con Steve Sylvester che deve davvero aver venduto l'anima al diavolo, perché a occhio e croce oggi dovrebbe avere più di sessant'anni eppure non sembra invecchiato di un giorno. Dischi sempre più maturi, suonati e registrati bene, con turnisti di tutto rispetto e concerti con fan di culto sotto palco a godersi il sabba, i mostri, le ragazze discinte e tutto il Grand Guignol che ancora si portano dietro.

 

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Eppure ascoltando oggi In Death of Steve Sylvester, al netto dei mille difetti che si possono trovare tra cui la registrazione e l'esecuzione non impeccabile degli strumentisti, i testi elementari spesso con vocaboli o tempi verbali sbagliati e la pronuncia di S.S. da 4 in pagella e rimando a settembre, c'è ancora un certo fascino naif che viene fuori da quel disco. Il coraggio di esibire anche ciò che non si ha, fregandosene della perfezione, perseguendo modelli che fuori dall'Italia hanno avuto successo ma che nel nostro paese laico a guida vaticana non erano visti di buon occhio da anima viva, in un panorama metal che vedeva solo poche band in grado di potercela fare, girando l'Italia in tour. Strana Officina, Vanadium, Bulldozer, Sabotage, Necrodeath, Mortuary Drape, Death SS, pochi altri. 

Se poi ci fermiamo a pensare che, mettendo da parte leggende urbane di vario tipo, la prima formazione di questa band ha registrato la canzone Terror nel 1977, potremmo essere di fronte a una delle prime band di heavy metal italiane, di sicuro la più sinistra, occulta e maledetta. Buffo che queste definizioni oggi vengano viste con quel misto di ironia e commozione per un tempo inconsapevole, con poche regole, in cui l'idea di travestirsi da mostri per spaventare la gente ai concerti poteva diventare un culto. 

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L'articolo Gli anni ’80 sono stati anche i Death SS di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2023-01-23 10:16:00

COMMENTI (1)

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  • ivan.b.zamellisar 23 mesi fa Rispondi

    Li amo da prima d'ascoltarli...era il '98 quando ne fui posseduto e da li son sempre stato fedele...2 volte visti, a distanza di molti anni (2004-2019) e credo vivamente che se faranno un tour questo anno o il prossimo mi fionderò dovunque suonino...