Arbeit Macht Frei degli Area 50 anni dopo lascia ancora senza parole

Registrato tra una cascina di Abbiategrasso e un club di Rimini, esce il 15 settembre del 1973 il "primo LP di radical music" che fa conoscere a tutti la voce di Demetrio Stratos e cominciare la storia della Cramps. Un disco che ancora oggi suona inarrivabile

Un'immagine storica degli Area
Un'immagine storica degli Area

Milano, studi della Fonorama, primi giorni di luglio del 1972. Alberto Radius sta registrando il suo primo album da solista dopo i fasti con la Formula Tre. È in buona compagnia: Vince Tempera, Franz Di Cioccio e Giorgio Piazza (per l’occasione, userà lo pseudonimo di Pappa e Ciccia) della Premiata Forneria Marconi, Alberto Valli dei Fauna Flora e Cemento, Gianni Dall’Aglio de I Ribelli. Rispondono presente anche Demetrio Stratos, altro ex Ribelli, Patrick Djivas, già con la band di Rocky Roberts, e Giulio Capiozzo, che a metà degli anni ’60 ha fondato la Bo Bo’s Band. I tre (Djivas sarà accreditato come Jan Dzivas…) suoneranno all’interno della traccia di apertura di Radius: Area. Pare che tutto sia partito da lì, che il nome di uno dei più dirompenti gruppi del rock tricolore derivi proprio dall’incontro con il chitarrista romano. Ma esistono altre versioni. Secondo le quali la ragione sociale sarebbe stata proposta da Capiozzo su ispirazione di Torrid Zone, brano dei Nucleus, mentre Leandro Gaetano ricorda una taumaturgica visione di un’area di servizio apparsa durante un viaggio in furgone.

Va bene, nessuna certezza per quel che riguarda il nome, sulla genesi del gruppo, invece, non ci sono dubbi. Il nucleo degli Area si concentra attorno alla figura di Capiozzo, batterista devoto al rhythm’n’blues ma desideroso di ampliare i propri confini. Il primo a essere coinvolto è Demetrio Stratos, nome d’arte di Demetrious Efstratios, origini greche, destinato al ruolo di tastierista, mentre alla voce avrebbe dovuto posizionarsi un altro cantante greco, Apostolu Tresipulo. A seguire, ecco il bassista Djivas, il sax di Victor Edouard (per tutti Eddie) Busnello, i chitarristi Jhonny Lambizzi e Leandro Gaetano. I primi scossoni si materializzano sin da subito: di Tresipulo si perdono le tracce, di conseguenza Stratos passa alla voce, mentre il tastierista Patrizio Fariselli, amico di Capiozzo, entra in pianta stabile nella line up appena terminato il servizio militare, complice la defezione di Gaetano.

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Il gruppo, che ormai ha assunto la ragione sociale definitiva, viene accolto sotto le ali protettive di Franco Mamone, uno dei più importanti promoter musicali dell’epoca. Il salto di qualità è immediato: gli Area aprono i concerti di Atomic Rooster, Gentle Giant, Nucleus, Rod Stewart. I loro pezzi sono già riconoscibili, i testi sono in lingua inglese. Si pensa a un album, il titolo è già pronto: Fading Faces in a Walking Dream. Non se ne farà nulla. La svolta definitiva arriva da lì a poco: Mamone si ricorda di una sua vecchia conoscenza, Paolo Tofani, un chitarrista con il vizio dell’elettronica stanziato a Londra, reduce da un passato con due gruppi beat, i Samurai e i Califfi. Mamone e Gianni Sassi lo convincono a lasciare la capitale britannica e a tornare in patria per tentare una nuova avventura.

Già, Gianni Sassi. Milanese di adozione, figura mitica di intellettuale legato alle avanguardie, in particolare al situazionismo e a Fluxus, grafico (ha fondato, assieme a Sergio Albergoni, l’agenzia Al.Sa.), creatore di riviste e di molto altro, si è fatto notare per alcune campagne pubblicitarie dissacranti, come quella per i divani Busnelli, con Franco Battiato nel ruolo di testimonial. 

Gli interessi di Sassi non potevano non sfociare in campo musicale: nel 1972 fonda ufficialmente la Cramps, acronimo di Communication Records Agency Management Publishing Service, con la complicità di Mamone, Albergoni e del produttore Tony Tasinato. Quali le intenzioni della nuova etichetta discografica? Leggiamo questo comunicato stampa del 1978, che ripercorre i primi cinque anni di vita della Cramps (l’etichetta diventa operativa a partire dal 1973): “La Cramps nasce nel 1973 per documentare discograficamente le tendenze più avanzate della cultura musicale italiana. Questa affermazione si basava su diverse considerazioni, tre le quali ci sembra importante riprenderne alcune in questa sede. La prima era la scarsa considerazione che l’industria discografica riponeva nei confronti della produzione giovanile italiana, preferendo lasciare acriticamente sul mercato prodotti, in genere anglosassoni, che poco avevano a che vedere con la cultura giovanile vivacissima in questi anni.

La seconda considerazione, che a quanto detto si lega strettamente, è sulla qualità sia della produzione (bisogna abbattere lo strano complesso di inferiorità per cui tutto ciò che si produce in Italia è scadente) sia del pubblico che sempre più mostra di interessarsi solo a prodotti validi per la proposta culturale che contengono” (cit. in “Gianni Sassi, la Cramps & altri racconti”, Giordano Casiraghi, Arcana 2023). Anche se scritto a posteriori tutto risulta chiaro, altrettanto chiaro che la nascitura label non poteva far altro che inaugurare il proprio bouquet con gli Area. Chi meglio di Stratos e compagni avrebbero potuto documentare le tendenze più avanzate della cultura musicale italiana? Tocca a loro far partire la Cramps

Tantopiù che il gruppo, assestato in forma di sestetto, ha trovato una dimensione: i pezzi sono cresciuti con il tempo e appaiono pronti a finire tra i solchi di un 33 giri. Ma a Sassi non vanno giù quei testi in inglese, sarà lo stesso fondatore della Cramps, con l’aiuto di Albergoni, a buttare giù nuove parole, questa volta in italiano, e a firmarle con lo pseudonimo di Frankenstein. Sassi si occupa anche di tutto il resto. Sua l’idea della copertina: un uomo di legno imprigionato in una cintura di castità chiusa da un lucchetto. La mano destra stringe una chiave, la testa è circondata da un cilindro dal quale si intravedono un paio di labbra smisurate.

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Alle sue spalle altri uomini, del tutto simili al precedente, quasi a formare un esercito, forse a rappresentare degli schiavi o dei lavoratori senza prospettive, come fossero lobotomizzati. Della foto, realizzata con una tecnica di sovraesposizione, si occupa Fabio Emilio Simion, alla grafica pensa Edoardo Sivelli. Il titolo dell’album, anch’esso nato dalla mente luciferina di Sassi, sembra confermare le ipotesi di cui sopra: Arbeit Macht Frei, il lavoro rende liberi, la lugubre frase affissa dai nazisti all’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz. Non è finita qui: all’interno delle prime mille copie dell’album viene inserita la sagoma di una pistola, opera del grafico Massimo Dolcini, futuro insegnante dell’Accademia di Belle Arti di Urbino.    

Arbeit Macht Frei arriva nei negozi di dischi il 15 settembre 1973, esattamente cinquant’anni fa. Gli Area lo hanno registrato in una cascina di Abbiategrasso per poi completarlo in un club di Rimini, lo Yè-Yè. Sei pezzi (firmati, per quel che riguarda la musica, da Terzo Fariselli, papà di Patrizio, musicista di liscio: nessuno dei componenti della band era iscritto alla Siae) che cambieranno il corso del rock italiano: non si era mai sentito nulla di simile fino a quel momento. “Il primo Lp di radical music”, così lo lancerà Sassi nel corso della sua ennesima campagna pubblicitaria. Gli Area riescono a condensare, in poco più di 36’, tutto il loro furore. Il drumming feroce di Giulio Capiozzo, la profondità del basso di Patrick Diivas, le alchimie elettriche ed elettroniche di Paolo Tofani, le smanie free jazz di Eddie Busnello, le tastiere nevrotiche di Patrizio Fariselli, lo strumento-voce di Demetrio Stratos fanno piazza pulita del passato e si immergono nel presente, fatto di lotte quotidiane, di internazionalismo, di ideali. E di musica finalmente libera di ammeticciarsi tra jazz, suoni del Mediterraneo, accenni di musica concreta, rock: avanguardia allo stato puro. Usiamo il termine prog? Ai diretti interessati non è mai piaciuto, ma ormai è andata così…

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L’album parte con uno dei brani più noti del canzoniere degli Area, Luglio, agosto, settembre (nero). È passato poco più di un anno dall’assalto dei Fedayn ai Giochi Olimpici di Monaco di Baviera, eppure gli Area, e Gianni Sassi, non hanno esitazioni e dichiarano la propria scelta di campo: “Non è colpa mia se la tua realtà mi costringe a fare guerra all’umanità”, canta Stratos schierandosi dalla parte dei palestinesi. Tutto nasce da un riff di Fariselli ispirato da Bulgarian Bulge, pezzo a firma Don Ellis e non da una melodia tradizionale dell’est, come fu detto, e scritto, quando uscì il disco. Altra leggenda metropolitana da smentire: lo spoken-word piazzato nella parte introduttiva è interpretato da una ragazza palestinese che si trovava nei pressi dello studio di registrazione. Sassi aveva millantato si trattasse di una voce rubata al museo egiziano del Cairo: una boutade. La title-track parte con un assolo di batteria e si sviluppa lungo diverse direttrici: la musica concreta fa da contraltare alle improvvisazioni jazz, il sax di Busnello tira acqua al proprio mulino, il testo è un’accusa verso quella “tetra economia” che disumanizza e aliena le menti.

Il lato A termina con Consapevolezza, una delle prime creazioni degli Area, forse la più caotica, forse la più prog di tutte, con tastiere un po’ à la John Lord e un muro di strutture diversificate messe insieme dal cantato di Stratos, che invita a rompere le catene: “Lascia partire il tuo ascensore, tu allora vedrai tutta la squallida realtà di un tabù che l’umanità ha sempre vissuto senza libertà”.  Il lato B si apre con Le labbra del tempo che si avvicina, sia pur mantenendo un minimo sindacale di distanza, alla forma canzone, e rivela le enormi potenzialità della voce di Stratos, che nella seconda parte si perde tra i suoni del sintetizzatore. 240 chilometri da Smirne, unico strumentale del lotto, altro non è che la rielaborazione di una vecchia jam session in gran parte disegnata da Jhonny Lambizzi e lasciata in eredità ai vecchi compagni di cordata. Il jazz-rock la fa da padrone, così come il sax di Busnello, da segnalare anche un assolo di Djivas. Il vinile termina con L’abbattimento dello Zeppelin, metafora sulla società dello spettacolo, un mosaico strutturato attraverso una serie di assoli. Stratos “canta la voce” con determinazione, anticipando le sperimentazioni che prenderanno vita tra i suoi dischi solisti, registrati, con tanto di marchio Cramps, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, sperimentazioni che lo renderanno immortale.

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Arbeit Macht Frei avrà un forte impatto tra gli appassionati di musica, nemmeno la stampa esiterà a riconoscerne la straordinarietà. Un paio di esempi: “Tutti i brani sono ad alto livello – scrive Enzo Caffarelli su Ciao 2001 – (…) (e) si muovono con attenzione giungendo a risultati ricchi di potenza e di fantasia”. Su Muzak, Antonio Belmonte la butta sul sociale: “A chi crede nella musica come valvola di sfogo per le tensioni accumulate nelle lotte quotidiane, gli Area tentano di far capire che la liberazione vera passa per l’accentuazione di queste tensioni”. Al di là di tutto, riascoltare Arbeit Macht Frei dopo cinquant’anni lascia ancora interdetti: il disco non ha perso un grammo della sua attualità, suona moderno e cattivo, provocatorio e anticipatore di quella gioia e rivoluzione che gli Area svilupperanno nel corso degli anni ’70, firmando altri album capolavoro, anch’essi entrati di diritto tra le pagine di storia.

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L'articolo Arbeit Macht Frei degli Area 50 anni dopo lascia ancora senza parole di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2023-09-15 08:04:00

COMMENTI (5)

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  • AndreaPettinelli 14 mesi fa Rispondi

    Ciao, mi chiamo Andrea Pettinelli e rappresento l'etichetta "ZdB" (consorziozdb.it) che attualmente produce ed è il management degli "AREA Open Project" prosecuzione del gruppo guidato dal fondatore Patrizio Fariselli. Grazie per questo articolo.
    Se siete interessati al percorso di questo importantissimo progetto artistico, che quest'anno festeggia i 50 della carriera e dell'album "Arbeit Macht Frei", la formazione di oggi è in tour ed esegue dal vivo la versione integrale del su citato album, che non è mai stato eseguito dal vivo (a parte "Luglio agosto settembre (nero)") per una serie di vicissitudini che bloccarono il gruppo nel 1973, appena uscito l'album, ovvero la defezione di Patrick Djivas (basso) per passare con la PFM e la dipartita prematura di Eddy Busnello (fiati).
    Gli AREA International Popular Group, fondati da Demetrio Stratos, Giulio Capiozzo, Eddy Busnello, Patrizio Fariselli, Paolo Tofani e Patrick Djivas, crearono e suonarono questi brani complessi e suggestivi dal 1972 fino all’inizio del 1974. Successivamente, con l’ingresso di Ares Tavolazzi al basso e contrabbasso, si dedicarono al nuovo materiale di 'Caution Radiation Area' abbandonando il precedente repertorio e in parte il “sound” dei primordi.
    Nessuno, da oltre 40 anni, ha invece più avuto modo di ascoltare in concerto gli altri brani dell’album come 'Consapevolezza', '240 Km da Smirne’, 'Le labbra del tempo', 'Arbeit Macht Frei' e 'L’abbattimento dello Zeppelin'.
    Per l’occasione del 50° di questo album fondamentale, Patrizio Fariselli non solo ha curato l’arrangiamento e l’orchestrazione di tutti e sei le tracce che compongono 'Arbeit Macht Frei' adattandole alla formazione degli Area Open Project, ma ha anche recuperato alcune parti inedite che il gruppo eseguiva in concerto negli anni ’70 e che mai sono apparse su disco.

    Line up:
    Patrizio FARISELLI, pianoforte e synth
    Stefano FARISELLI, fiati e Ewi (che ha sempre lavorato nel dietro le quinte degli AREA)
    Marco MICHELI, basso elettrico (che ha sostituito Tavolazzi anche nel periodo della "reunion")
    Walter PAOLI, batteria (che suona da 20 anni nel gruppo ed ha sostitutio il compianto Capiozzo)
    Claudia TELLINI, voce

    Prossime date autunno 2023:
    -) 29 settembre - Teatro Nuovo - Pisa
    -) 27 ottobre - Teatro Socjale - Piangipane (RA)
    -) 28 ottobre - TBA - Udine
    -) 29 ottobre - Teatro Asparetto - Verona

  • GianlucaParlato 14 mesi fa Rispondi

    Sono molto orgoglioso di possedere questo meraviglioso album che considero una vera e propria pietra miliare del rock! Un album costituito essenzialmente da improvvisazione.

  • NoemiBolis 14 mesi fa Rispondi

    Immortali.

  • francescomarchetti 14 mesi fa Rispondi

    gli area sono stati un fenomeno musicale con tanta sostanza in quanto a tecnica e cretività ma hanno cavalcato l'energia della generazione degli anni settanta in bilico tra gioia, pace , rivoluzione, estremismo, dovuti alla cessione del testimone dai vecchi partigiani alla nuove generazioni. Purtroppo sono rimaste solo un mucchio di stupende note

  • GalileoRigenerato 14 mesi fa Rispondi

    Bella recensione, complimenti. Abbiamo ancora bisogno di buon giornalismo musicale.