Si discute periodicamente, da quando a metà degli anni '60 questo mondo sommerso a connotazione forte e subalterna cominciò a essere scoperto dai media nazionali, di quanto la musica “romanesca” possa fare egemonia, inducendo una trasmissione di valori e una legittimazione di comportamenti derivati da quel ambito attitudinale che nella Città Eterna è così pervasiva da condizionare, secondo alcuni, perfino i parametri con cui si giudicano i confini tra la sfera del lecito e quella dell'illecito. Il semplice stornello romano non è mai stato in verità così semplice, anzi.
L'implicito ha spesso, forse non sempre ma assai sovente, avuto più importanza del testo apparente (nel senso di manifesto). E che si parli delle coltellate di Gabriella Ferri o degli ex-carcerati di Alvaro Amici, passando per le avventure di Franco Califano e le campane di Lando Fiorini, fino ad arrivare alle varie ed eventuali forme di modernariato “indie” di un Mannarino o dei Muro del Canto, o finanche alle ruffianate di un Daniele Silvestri (epigone di quello che facevano Baglioni e Venditti prima della sterzate pop), il discorso rimane immutato.
La forza d'urto di questo tipo di canzone popolare, vuoi per l'indubbia singolarità del fenomeno, vuoi per l'effetto di attrazione-repulsione che esercita anche al di fuori del contesto-Roma in cui suona ovviamente naturale (personaggi e storie così radicati e incredibilmente popolari da indurre a riflessioni sociologiche che eludono sommarie liquidazioni sotto la semplice etichettatura “kitsch”) rischia però, pur nell'evocazione di un punto di contatto con una tradizione, di appiattire l'intero filone in una sorta d'eterno cantare alla romana.
Si rischia, insomma, di azzerare la memoria storica di un genere il cui esito attuale è il prodotto di una lunga e articolata storia che attraversa Roma da centinaia d'anni e le cui mutazioni intestine sono specchio delle trasformazioni coatte di quello stesso mondo subalterno capitolino di cui una data espressione canora ne è in fondo solo una rappresentazione.
A tracciare una sommaria (sommaria per vastità d'argomenti, non certo per incuria ne tanto meno per fretta) ricostruzione della storia della canzone romanesca giungono in soccorso il multiforme progetto di Giampaolo Felici denominato Ardecore. Senza girarci attorno, è anche grazie a lui e ai dischi prodotti fin'ora (Ardecore, Chimera, San Cadoco e Vecchia Roma) se, dopo decenni di maltrattamenti da parte delle critica musicale come simbolo di un conservatorismo, di un campanilismo e di una oleografia che in fondo non gli appartengono, lo stornellare romanesco è oggi sotto la lente degli studiosi di popular music come uno tra i repertori fondamentali di quella contemporaneità che ci ospita.
A tal proposito, pochi giorni fa è uscito il primo volume di 996 - Le canzoni di G.G. Belli (2022, La Tempesta). Ascoltatelo, perché ne vale il tempo. Ascoltatelo subito, perché nei prossimi mesi sarà la volta di un secondo volume e di una opera omnia pubblicata in forma di libro illustrato. Non fatevi cogliere impreparati. Nelle parole di Giampaolo in una recente intervista gli Ardecore “raccontano un modo di essere che esiste sempre meno”, perché “dobbiamo tentare di mantenere viva una tradizione”, ma ci sorprende quanto questa tradizione sia attuale nei sentimenti e nelle istanze, un verismo in antitesi a quel realismo che fino dalle sue origini, con la sua sfacciata volontà positivistica nel descrivere le classi popolari, si è rivelata una delle delle matrici più ipocrite ed edulcorate del canzoniere (non solo) romano.
Parafrasando un vecchio quote di Mario Monicelli, romano pure lui, i brani della tradizione stanno al “pop” come la commedia italiana al neorealismo, simboleggiando l'ambito della quotidianità, a elaborare un repertorio in cui gli aspetti più meschini e drammatici della vita popolare (compresi quelli legati alla malavita e alla fede) sono mostrati con un consistente scarto dal “mainstream” della canzone romana, fatta di soli sentimenti, o pure peggio sentimentalismi, e cartoline varie ed eventuali. Non a caso l'opera di Giuseppe Gioachino Belli, il G.G. Belli non Allin del titolo, tra gli autori più rappresentativi della letteratura romana, la cui statua è posta nell'omonima piazza a inizio di via di Trastevere, comprende tutti quei temi, dal turpiloquio al Timor di Dio, passando dal picaresco alla satira sociale che in Monicelli, e non solo in Monicelli, sono stati importantissimi.
Belli dei suoi sonetti scriveva con orgoglio: “Qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col concorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur romana, ma romanesca”. Ecco, Campo Vaccino, Er Cimitero De La Morte (con Davide Toffolo dei TARM) o, più in là nell'ascolto, Er Decoro, La Carità, Er Negoziante Fallito (che anche all'assiduo lettore risulteranno probabilmente sconosciuti), sono solo alcuni degli oltre 2000 sonetti scritti in vita dal Belli.
Il suo sottoproletariato si fa strada col suo ironico senso della frase e/o del proverbio fin dai titoli (Campa e Lassa Campà, anche questa con Toffolo, oppure Uno Mejo Dell'altro). “Per noi - mi dice cortese Giampaolo - il fatto che ci si esprima sulla forma dialettale del Belli, e su temi tradizionali, è naturale, da certezza sapere di camminare sul proprio territorio, con le proprie radici. Può apparire un nonsenso, rispetto alla provenienza dei singoli musicisti, ma il bagaglio del suono che avanza in giro per il mondo dovrebbe essere pane quotidiano di chi fa musica”. Le tracce sono sedici, quasi come gli anni in cui tutti, dal debutto del 2005, cercano di spiegare a parole la musica degli Ardecore.
È stato detto di tutto: “folk contemporaneo”, “canzoni popolari evolute”, qualcuno ha messo in mezzo la Dischord, altri hanno detto “free-folk”, altri ancora hanno citato la Southern Records. “Quello che si può dire - cerca di fare chiarezza Giampaolo - è che certamente ora, come dal primo album in poi, abbiamo fortemente lavorato sulla definizione del suono, sull'adeguatezza del colore dei brani e degli album, in una concezione più internazionale, piuttosto che legata a ciò che funziona o funzionava per le classifiche italiane. Questo non perché dobbiamo necessariamente muoverci all'estero come Ardecore, ma perché è importante non chiudersi in una costruzione sonora che non sappia connettersi alle evoluzioni del suono che emergono dalle correnti internazionali”.
Jacopo Battaglia (già batteria di ZU e Bloody Beetroots) ha di recente ricordato che gli Ardecore si sono formati tra il 2003 e il 2004, quasi per gioco: “Durante un lunghissimo tour europeo degli Zu e i Karate, Giampaolo portò questo CD di Alvaro Amici che in poco tempo diventò un tormentone: lo imparammo a memoria, compreso Geoff Farina, e una volta tornati a casa decidemmo di provare a riarrangiare qualcuno di quei classici della tradizione oramai relegati a sottofondo per le cene dei turisti nei ristoranti del centro”.
Io li vidi per la prima volta dal vivo anni dopo, a una festa rionale tra Via Sannio e la chiesa di San Giovanni in Laterano, di 23 giugno. Me lo ricordo bene perché il 24 giugno è San Giovanni Battista, patrono di Roma. E nella Roma sparita è festa grande. Quindi la festa aveva inizio la notte precedente, il 23 giugno appunto, nella famosa Notte delle Streghe, dove la religione e la superstizione si intrecciano in questa ricorrenza assai sentita dai romani. Quell'anno proiettavano la Tosca di Luigi Magni del '73, con Monica Vitti, Gigi Proietti e Vittorio Gassman, e poi suonavano gli Ardecore, in apertura c'era Stefania Pedretti da poco debuttante come Alos.
Poi li ho rivisti in Trastevere e ancora a San Paolo e un'altra volta persino nel carcere di Rebibbia, perché gli Ardecore sono un po' come Nick Cave: la gente macina strada e va in posti assurdi a sentirli, e questa è una cosa che si fatica a capire fino a che non salgono sul palco, poi capiscono tutti. Oggi sembrano passati millenni e svariate formazioni hanno fatto la storia di questa band. Ora Jacopo è ritornato in formazione. Con lui e Giampaolo ci sono Giulio Favero (Teatro Degli Orrori), Massimo Pupillo (Zu), Geoff Farina (Karate), Ludovica Valori (Nuove Tribù Zulu), Gianluca Ferrante (Kore), Marco Gasbarro (Squartet) e Adriano Viterbini (I Hate My Village, Bud Spencer Blues Explosion).
Se vi riesce però evitate di considerarlo un progetto (“Mi da l'immagine di una cosa in cantiere che deve trovare il suo spazio in un quadro generale”) o superband (“Sembra una congrega di gente che se la mena vestita da Supereroi del niente musicale”), piuttosto appuntatevi sul calendario la data più vicina a voi come io ho fatto con quella alla ArcellaBella di Padova, il prossimo 18 giugno.
---
L'articolo Ardecore: più GG Belli e meno GG Allin di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2022-06-08 10:48:00
COMMENTI (4)
scusa per le ripetizioni sono in treno
Grazie Giorgio, anche se da esperto vorrei ricordare che Proietti era spaventato dalla questione, si racconta che negli anni 90 rifiutò un offerta per uno spettacolo da fare sui sonetti del Belli perchè lo riteneva troppo difficile.
Su Rai Play c'è una puntata sul Belli di Augias con il grande attore invitato dove si vede il suo trovarsi più a suo agio con Trilussa o Pascarella...saluti ancora
Saluti
@stefanopacecchi hai ragione, le tue sono ottime citazioni e in prima battuta erano state anche messe. Poi mi sono reso semplicemente conto che citare Billeri e Palladini senza citare Proietti e Fiorentini non avrebbe avuto molto senso, allora mi sono ricordato degli spoken di Stoppa e Manfredi e delle rivisitazioni di Centi e Mancinelli, e alla fine sarebbe diventato più un saggio sull'opera del Belli più o meno riveduta e "modernizzata" e non la recensione del nuovo Ardecore. Ti ringrazio però per averlo fatto presente, è una giusta considerazione...
magari ricordate chi come Billeri ha fatto 2 duischi sul Belli questi ultimi tre anni con ottimo risultato ( er tempo cattivo aprile 2022 ed er tempo bbono 2019) o Stefano Palladini che fece un lavoro stupendo negli anni 70 sempre sullo stesso argomento con La Vita Dell'Omo, o ALessio Bonomo con l'orchestra de piazza montanara