1978 gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano! è il quinto album in studio degli Area, il primo senza il supporto della Cramps di Gianni Sassi, l’ultimo ad accogliere la voce di Demetrio Stratos. A poco più di quarant’anni dalla sua pubblicazione, la Warner Music Italia ne ha curato la ristampa, in cd, vinile e digital download, consentendo così di riaprire la discussione su di un gruppo imprescindibile della cultura rock italiana e su di uno spaccato, quello degli anni ’70, il cui ribollente patrimonio continua a esercitare un discreto fascino anche tra le ultime generazioni. “Fu un anno formidabile il 1978, di gran fermento e creatività", ricorda oggi Patrizio Fariselli, uno dei fondatori degli Area. "Ma da lì a poco non se ne sarebbero andati solo ‘gli dei’, portandosi dietro una stagione di ideologie e passione politica, se ne sarebbe andato per sempre Demetrio, un amico fraterno, colonna portante di questo disco. Contemporaneamente sarebbero svaniti i sogni di una generazione che per un momento aveva davvero creduto di potercela fare. Una generazione convinta che la società avrebbe colto le istanze egualitarie proposte dai suoi giovani e la musica e la cultura avrebbero brillato come non mai, libere da banalità o miserie mercantili”.
Per gli Area, il 1978 è un anno difficile ma, a dire il vero, i problemi hanno preso forma già nel corso del 1977. Uno stanco Paolo Tofani decide di andarsene, e non solo per questioni artistiche. Il chitarrista è in cerca di altri stimoli, soprattutto dal punto di vista spirituale. La liturgia di una rivoluzione senza sbocchi comincia a stargli stretta: “Il pubblico voleva quello: le bandiere rosse, il pugno alzato, l’Internazionale… (…) Francamente non riuscirei più nemmeno a suonare certe cose. Quando le riascolto mi stupisco di come suonassi con quella rabbia, quella velocità che evidentemente erano figlie del contesto” (Paolo Tofani in Consapevolezza, Luca Trambusti, Arcana, 2009).
La defezione di Tofani non è l’unico motivo di preoccupazione: il numero dei concerti, tra le principali fonti di sostentamento della band, si è sensibilmente ridotto. Il disfacimento del Movimento, assieme alla sua radicalizzazione, il recente disastro del Festival di Parco Lambro (quello del 1976), oltre alla repressione sempre più dura operata dalle forze dell’ordine nei confronti dei gruppi extraparlamentari, frantumano il sogno di una generazione che aveva trovato nella musica, in particolare nella musica dal vivo, un momento di socializzazione, di lotta, uno strumento per la condivisione di una nuova, sia pur confusa, visione della società. Inoltre, il contratto con la Cramps è in scadenza.
Quella di Gianni Sassi è un’etichetta dai mezzi economici ridotti, con pochi nomi di richiamo e un numero spropositato di artisti di nicchia, poco redditizi dal punto di vista commerciale. Per gli Area è in gioco la sopravvivenza, allo stesso tempo è in gioco la salvaguardia di rapporti umani forti e consolidati. Sassi, peraltro, è il paroliere della band con lo pseudonimo di Frankenstein. La scelta, a dir poco sofferta, sarà di cambiare aria, anche se Stratos rimarrà in area Cramps per la realizzazione dei suoi progetti solisti.
Il nuovo approdo è tra le sponde della Ascolto, label controllata dalla CGD, fondata pochi mesi prima da Caterina Caselli. L’accordo prevede totale libertà artistica per la band ed è quanto basta per tornare in sala di incisione. Senza le chitarre di Tofani. Con Giulio Capiozzo alla batteria, Patrizio Fariselli alle tastiere, Demetrio Stratos alla voce e al piano, Ares Tavolazzi al basso. Al gruppo di lavoro si aggrega l’intellettuale Gianni Emilio Simonetti, attivista del gruppo Fluxus, già collaboratore della Cramps. Sua l’idea del titolo, citazione letteraria di un’opera di Filippo Tommaso Marinetti (Les Dieux s’en vont, D’Annunzio reste), sua la copertina, suo il nuovo logo del gruppo, reso meno aggressivo. Simonetti dispenserà consigli anche sulle parti musicali e testuali dell’album. Testi dei quali si occuperà in prima persona Stratos, che appare per la prima volta come autore in un disco degli Area.
L’idea è di realizzare un concept sul ’68, del quale ricorre il decennale. Il titolo, 1978 gli dei se vanno gli arrabbiati restano!, racchiude un’analisi impietosa dei tempi che corrono. Fariselli, in un’intervista al mensile Re Nudo, scopre le carte: “Una delle letture che salta più agli occhi, è quella di questi dei che se ne vanno, cioè di questi miti, di questa demagogia che se ne va. La tendenza, maturata soprattutto nel campo giovanile, a non appoggiarsi più a ideologie o riferirsi a blocchi o gruppi dogmatici ben precisi, ma a cercare delle cose al proprio interno”.
Le parole di Fariselli si riflettono sui protagonisti descritti nei nove pezzi dell’album, tutti, in qualche modo, collegati al fuoco eterno della ribellione. Nessun dio, nessun leader, solo personaggi ed episodi rovistati tra i margini della storia ufficiale. Come Shanfara, evocato nell’opener Il bandito del deserto, un poeta arabo preislamico messo al bando dalla propria tribù, icona della rivolta e della fierezza dei popoli del deserto. Interno con figure e luci è una riflessione, intima e personale, sulle contraddizioni della società dello spettacolo, niente a che vedere con Return from Wurkuta, una denuncia degli orrori dei gulag sovietici, ma è Guardati dal mese vicino all’aprile il punto di non ritorno del 33 giri.
Nient’altro che un fendente assestato ai professionisti della rivoluzione, al culto di una stagione tramontata al netto dei suoi ideali, contraddetta dai suoi stessi primattori. Il mese vicino all’aprile è il maggio, il riferimento al ’68 e al maggio francese è piuttosto esplicito, le note di copertina lo sono altrettanto: “Dieci anni di indebite euforie. Adesso che l’‘année terrible” è lontano, tutte le celebrazioni sono possibili. Ma l’amore o l’odio che lo circonda sono – ai nostri occhi – entrambi sospetti. 1968: il tramonto tragico di tutte le rivoluzioni impossibili ha sciolto l’ultimo abbraccio dei rivoluzionari/amanti, un’epoca si è chiusa per sempre. Ma perché, allora, tutti si ostinano ad affermare il contrario?”.
Ecco, dunque, insinuarsi la necessità di una rivolta non legata ai dogmi sessantottini e ai suoi logori rituali, una necessità riassunta in “Hommage à Violette Nozière”. Violette Nozière è una ragazza francese al centro di un torbido episodio di cronaca nera consumato negli anni ’30 dello scorso secolo. Violette uccide il padre, un maiale che la stupra sin da quando era bambina, e finisce sotto processo: i benpensanti chiedono la ghigliottina, i surrealisti, con a capo André Breton e Paul Éluard, ne fanno l’emblema della lotta contro i valori borghesi. Alle parole d’ordine surrealiste è collegato anche Acrostico in memoria di Laio, un’esaltazione dell’isteria, della quale Breton e compagni festeggiarono, nel 1928, il cinquantennale della sua ‘scoperta’, e alla Francia si ricorre anche in “Ici on dance”, che prende spunto da una scritta apparsa sui muri della Bastiglia subito dopo lo scoppio della rivoluzione del 1789.
Con FFF (festa, farina e forca) torna la tematica dei movimenti del proletariato giovanile, l’esaltazione della festa come momento di liberazione, non fosse per una quarta F, quella del fallimento di Parco Lambro. Il Long Playing si chiude con Vodka Cola, una sorta di profezia di quel che un dì avremmo chiamato globalizzazione, le note di copertina spiegano la lungimiranza di Stratos e compagni: “Vodka e Cola stanno per spartirsi il mondo sulla nostra pelle. Questo cocktail non lo vogliamo bere. Né, tantomeno, condire la nostra musica con salsa cilena”.
A fronte di un immaginario fortemente critico, e per certi versi radicale, nei confronti di una fase storica come quella che attraversa il ’68 e dintorni, il suono del disco ha poco a che vedere con la sperimentazione: è meno concettuale rispetto ai predecessori, più disteso, fino a immergersi nel pop. Come annota Gianpaolo Chiriacò in Area, musica e rivoluzione (Stampa Alternativa, 2005) “la sperimentazione si fa stile, e ogni arditezza tecnica, quali le evoluzioni vocali di Stratos o l’instabile vivacità ritmica di Tavolazzi, appare ormai talmente ben assimilata dagli stessi musicisti da poter resa con facilità e recepita altrettanto agevolmente”. Un’accessibilità che, che secondo Demetrio Stratos, interpellato da Maria Laura Giulietti di Ciao 2001, deriva dall’evoluzione “naturale di un gruppo. È la crescita. Non abbiamo mai pensato che le cose difficili possano avere una attrattiva maggiore. Potrei dire che è più bello suonare difficile, piuttosto che in maniera comprensibile”.
C’è tanto jazz-rock tra i solchi di 1978 gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano!, pur se contaminato da pulsioni medio orientali e mediterranee, da vere e proprie canzoni, da incursioni recitative. Il polmone ritmico è in grande spolvero, la formidabile tecnica di Capiozzo, il protagonismo di Tavolazzi fanno quadrato attorno alle certezze offerte da Stratos e Fariselli, che suona per la prima volta un sintetizzatore polifonico e coinvolge nella registrazione di Acrostico in memoria di Laio un gruppo punk femminile, le Clyto.
L’album è accolto con entusiasmo dalla critica del tempo, ma il rapporto con la Ascolto non decollerà. “Quello che ci interessava era la possibilità che il gruppo potesse continuare a suonare, mentre loro probabilmente pensavano di fare di noi una specie di Pooh più sperimentali. Ma la cosa non funzionò. Personalmente non ho mai creduto che questa esperienza potesse funzionare davvero” (Ares Tavolazzi, citato in Il libro degli Area, Domenico Coduto, Auditorium, 2005). Il resto della storia è cosa nota. Stratos si concentrerà sui suoi progetti solisti, fino alla morte, che lo coglierà sul letto di un ospedale newyorkese il 13 giugno del 1979. Il gruppo resiste ancora, tra reunion, live e nuovi lavori in studio, ma è evidente che la sua fase più creativa si sia chiusa proprio con “1978 gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano!”.
A quarant’anni di distanza, il disco è passato attraverso il lavoro di masterizzazione di Andrea e Diego Pettinelli dello studio Zdb, adeguandolo al modo in cui si ascolta la musica oggi. Il risultato è stato promosso a pieni voti da Patrizio Fariselli: “1978, disco degli Area cui sono particolarmente affezionato, ha ripreso corpo e vita, superando il gap di quattro decadi per risplendere con rinnovata energia ed emozionare anche i giovani, che non sanno cosa fosse registrare musica negli anni settanta”. Sono cambiati i tempi, le tecnologie, il modo di registrare e di fruire la musica, ma 1978 gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano! è ancora lì, forte della sua bellezza, a ricordarci chi erano gli Area.
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L'articolo “1978 gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano!”: la storia dell'ultimo disco degli Area con Demetrio Stratos di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2018-11-09 09:27:00
COMMENTI (1)
Grazie Rockit e grazie Giuseppe, sempre puntuale e dettagliato in ogni tua recensione :-) CIAO!