Le cose sono un po' più complicate che semplicemente "Free Shiva"

La comunità rap si è stretta attorno all'artista, arrestato negli scorsi giorni. Ma al di là della sacrosanta solidarietà di "classe", la faccenda è più complessa di così e a uscire sconfitta, come sempre, è la politica. A meno di non voler finire a ragionare come un Salvini, o peggio un Trump

Shiva al Marrageddon di Milano - foto di Starfooker
Shiva al Marrageddon di Milano - foto di Starfooker

"Sai che se avrò colpi sparerò"

Shiva – Bossoli

Be', non si può dire che non avesse avvisato. I fatti sono questi: lo scorso 11 luglio Andrea Arrigoni, in arte Shiva, si trovava nella sede della sua casa discografica Milano Ovest, a Settimo Milanese. È qui che viene raggiunto da due ragazzi, Alessandro R. e Walter P., con addosso un passamontagna. Sono lì per aggredire il rapper, secondo le ricostruzioni. Non si sa esattamente cosa sia successo, ma una telecamera di sorveglianza ha ripreso la reazione di Shiva all'agguato: il rapper estrae una pistola e apre il fuoco verso i due ormai in fuga, ferendoli alle gambe e ribaltando il suo ruolo da vittima ad aggressore. Lo scorso 26 ottobre, a distanza di tre mesi dall'accaduto, Shiva viene arrestato con l'accusa di porto abusivo di arma da fuoco e quella, pesantissima, di tentato omicidio.

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Nelle ore successive alla notizia dell'arresto sono stati tantissimi a riempire i social con il messaggio "Free Shiva". Non solo i fan, ma anche colleghi rapper come Lazza, Geolier e Guè. "Stop the violence", aggiunge quest'ultimo in una storia su Instagram. Messaggio sacrosanto, visto anche che questo episodio arriva nel contesto di una sorta di faida tra la Santana Gang, che fa capo al rapper Shiva, e la Seven Zoo di Rondodasosa. Però c'è del surreale: chi è che ha sparato verso due persone di schiena che stanno scappando?

È difficile parlare di legittima difesa, anche se anni di berciante salvinismo nel dibattito pubblico potrebbero portare qualcuno a pensare il contrario. "La difesa è sempre legittima" è un mantra tanto caro alla destra, che fa passare il codice di Hammurabi per una legge ancora in vigore. È uno slogan che pare aver attecchito anche in chi dovrebbe rifiutare questo tipo di narrazione politica. 

Dai video di sicurezza che riprendono l'accaduto si vede Shiva con l'arma in mano che spara verso i due ragazzi, i quali stanno scappando via. Al di là del fatto che Shiva quella pistola manco potrebbe averla, sparare a due persone disarmate che stanno fuggendo non è legittima difesa, perché non c'è (o almeno, non c'è più) un'offesa in atto da cui difendersi. L'idea farwestiana per cui se varchi il confine della mia proprietà, pure con le peggiori intenzioni, allora io posso crivellarti di colpi è uno dei peggiori rigurgiti di pensiero che abbiamo importato dagli Stati Uniti, dove ci sono più armi da fuoco in circolazione tra i civili (393 milioni) che abitanti (330 milioni). Trump su questa cosa ha eretto la sua legacy politica e reso ancora più coeso il suo gruppo di sostegno, quello che ha portato la "più grande democrazia del mondo" a un passo dal colpo di Stato

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Va detto che non siamo qui per crocifiggere Shiva. Il carcere non si augura a nessuno, tanto meno quello preventivo. Questo anche e soprattutto per come il carcere è inteso in Italia, uno strumento punitivo che lascia del tutto in secondo piano l'aspetto rieducativo, con buona pace di Beccaria. Le carceri italiane sono dei varchi verso una dimensione distorta della realtà, che non fa altro che generare ulteriore violenza e crimine, invece di adempiere a quello che dovrebbe essere il suo compito sociale. Nel saggio Abolire le prigioni del sociologo Luigi Manconi, il carcere in Italia viene descritto come un luogo che "affina le capacità delinquenziali dei detenuti, insediandoli più profondamente nel tessuto della illegalità e negando loro ogni alternativa di vita". Su tre detenuti che ne escono, due ci ritornano dentro, secondo le statistiche sulla recidività. Detta in due parole: non c'è un cazzo da essere felici a sapere Shiva in galera, visto che non c'è stato alcun grado di giudizio se non quello dei social.

E così nel sistema sempre più polarizzato in cui ci troviamo a vivere, c'è chi fa la sua incondizionata levata di scudi al grido di "Free Shiva" – la "solidarietà di classe" dei rapper è una cosa umana e normale, intendiamoci – e chi invece augura al rapper di buttare via le chiavi della sua cella. Da una parte il distacco  dalla realtà, dall'altra la miseria umana di sperare che un ragazzo di 24 anni passi il resto della sua vita dietro le sbarre. Il gesto di Shiva è prima di tutto una sconfitta politica, scomparsa da troppo tempo dal parlamento, dai mezzi di comunicazione e dai testi delle canzoni. E si vede. Quindi sì, d'accordo free Mandela, free Valpreda e tutti gli altri. Ma free anche un po' il cervello.

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L'articolo Le cose sono un po' più complicate che semplicemente "Free Shiva" di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2023-10-30 12:58:00

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