Sono le diciotto di lunedì sette luglio e i Baustelle stanno provando sul palco dell’Eutropia Festival di Roma, nella splendida cornice della Città Dell’Altra Economia all’interno del Campo Boario di Testaccio. I suoni sono quelli che di lì a qualche ora finiranno per colmare l’enorme e affascinante spazio preparato per ospitare la rassegna. Sono pochi i fortunati che si sono ritrovati, per caso o strategicamente, a godere in anteprima di qualche assaggio dello spettacolo. Tra questi, spiccano per spontaneità e tenerezza due bambini. «Perché hanno smesso di suonare? Ancora, ancora» sono le parole del primo quando “Nessuno” viene interrotta dopo pochi versi, sufficienti a valutarne la riuscita. Il secondo balla e si diverte in compagnia del padre sulle note de “Le rane”.
Quattro ore dopo, Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini fanno il loro ingresso in scena, tirati a lucido e preceduti dalla “banda” fidata, ormai rodata dopo oltre trenta date grazie alle quali il “Fantasma Tour” ha attraversato l’intera penisola e ha saputo trasformarsi e di volta in volta adattarsi ad ogni contesto. Alessandro Maiorino al basso, Diego Palazzo (Egokid) alle chitarre, Ettore Bianconi (Absent) alle tastiere e all’elettronica, Sebastiano de Gennaro alle percussioni orchestrali, Alessandro Minetto alla batteria e la sezione fiati composta da Roberto Romano e Paolo Raineri vanno a posizionarsi alle spalle del trio. L’incipit è simbolicamente riservato a “Fantasma (Titoli di coda)”, l’elettrica variazione sul tema che chiude il disco. Segue “Il futuro”, come da copione: «Qui la vista era magnifica / da oggi significa / che ciò che siamo stati non saremo più». E il “sermone” vale per tutto e per tutti: la musica che si è trasformata via via, le canzoni, il pubblico di ogni fascia di età e i Baustelle stessi. Ma allo stesso tempo ritornano alle origini, alla provincia.
Ed il cerchio si chiude: «La prossima canzone parla di quelle volte che sognavamo di venire a suonare a Roma, di fronte ad un pubblico come voi». La band attacca quindi con “I provinciali”, brano tratto da “La Malavita” ma risalente ai tempi del “Sussidiario illustrato della giovinezza”. Non può mancare “Contà l’inverni”, che Bianconi dedica con un semplice ma inequivocabile gesto al caloroso pubblico romano. Che canta i testi a memoria, balla quando c’è da ballare e ha un sussulto ogni volta che il microfono passa a Rachele Bastreghi: dapprima per “Radioattività”, poi per “Monumentale” ed infine per la recente nuova versione de “La canzone del parco”, più tirata rispetto all’originale ma altrettanto struggente. Nel mezzo, “La moda del lento” riarrangiata ed eseguita con un disincanto che si prende quasi gioco del clima di depressione che ne domina le parole. Dell’omonimo album sono anche “La canzone di Alain Delon” e “EN”, tra i momenti più alti della serata. Così come “Love affair”, di cui Bianconi cerca frettolosamente il testo fra quelli riposti sul leggio davanti a sé per poi mettere in guardia i presenti: «Di questa non ho le parole. Sono parole misteriose» dice, alludendo all’ormai relativamente lontana innocenza di quegli anni. Ma i problemi di memoria non sussistono e la voce, fin qui calibrata nella sua solennità, si fa più lieve e distesa. Protagonista indiscusso di quella che risulta essere a tutti gli effetti una vera e propria esperienza audiovisiva - un tour de force di musica, parole ed emozioni che si rincorrono senza tregua - è il tempo, nelle sue più variegate sfaccettature: da quello esorcizzato dall’amore ne “La morte (non esiste più)” a «l’adolescenza che spedivi» di “Gomma”, unico vero e proprio duetto in scaletta, in cui chiunque è mai stato giovane non può non immedesimarsi - come dimostrano le reazioni entusiaste dei tanti ragazzi presenti.
I Baustelle salutano, visibilmente emozionati. Ma il pubblico ne vuole ancora e nelle grida riecheggiano le parole del bambino durante le prove. L’encore si apre con “Le rane” che ci ricorda che «il tempo ci sfugge / ma il segno del tempo rimane». I Baustelle lo sanno bene e lo tengono a mente, proprio ora che l’intera esperienza “Fantasma” sta per concludersi. Sanno che inevitabilmente dovranno fare i conti con tutto ciò che ha significato, prima di mettersi al lavoro su quello che verrà dopo. Termina la lunga coda e parte l’inconfondibile riff di chitarra de “La guerra è finita”, con cui Claudio Brasini esalta la platea in festa. Siamo agli sgoccioli e lo si intende dagli ultimi versi del brano successivo: «Sarebbe comodo / andarsene per sempre / andarsene da qui / andarsene così». Meno di tre minuti in cui è racchiusa gran parte della poetica del trio e che dal vivo assumono un’intensità difficilmente descrivibile a parole. Il finale è riservato a “Charlie fa surf”, nella versione lenta e straziante che ci siamo abituati a sentire in questo tour. Questa volta Bianconi non ha bisogno di sforzarsi più di tanto di ricordarne le parole. Ci pensa il pubblico.
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L'articolo Com'è stato il live dei Baustelle all'Eutropia Festival di Roma di Andrea Murzi è apparso su Rockit.it il 2014-07-07 00:00:00
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