Seguendo senza nemmeno troppo entusiasmo quella esibizione di pornografia del dolore che è il Grande Fratello VIP, di cui parlano un sacco i titoloni dei giornali e molto meno quelli della mia bolla (grazie a Dio per queste piccole pietà), mi sono imbattuto in un volto noto: Marco Bellavia, già conduttore di Bim Bum Bam e ancor prima attore in veste di Steve, bassista dei Bee Hive nei telefilm live action spin off di Kiss Me Licia.
Ho letto la storia di lui che è entrato nella casa del Grande Fratello con un disturbo di depressione ed è stato bullizzato dai suoi colleghi poco inclini all'empatia, in un girone infernale tremendissimo a cui, ieri sera, ha tentato di mettere una pezza il moralizzatore Alfonso Signorini squalificando Ginevra Lamborghini (sorella di Elettra) che ha pronunciato le parole "Merita di essere bullizzato" e un altro tipo con la barba blu per non so cosa, comunque relativo al trattamento nei confronti di Bellavia. Ho guardato la trasmissione un quarto d'ora, poi ho messo di nuovo la serie tv su Jeffrey Dahmer, il cannibale di Milwaukee perché mi metteva meno ansia.
Stamattina mi sono svegliato con una sola cosa in testa e non sono i pianti a dirotto della Lambo né la depressione di Bellavia - che sarò stronzo ma ci sono un po' passato e l'ultima cosa che avrei voluto fare sarebbe stata trovarmi spiato dalle telecamere h24 chiuso in casa con gente sconosciuta per poi essere giudicato dal pubblico a casa e dover pure rendere conto a Signorini - bensì con il ricordo tremendo ma vividissimo del periodo in cui i teenager italiani non erano impazziti per i trapper vestiti come i cattivi di Ken il Guerriero ma con la finta band dei Bee Hive, che andava in onda su Italia 1 proprio durante l'ora di pranzo, al ritorno da scuola.
Ebbene sì: nell’anno domini 1985, i dirigenti di Italia Uno impazzirono e decisero di trasformare un cartone animato giapponese di culto, Kiss Me Licia in un telefilm italiano, ad esso ispirato. Ma come nel film La Mosca, la trasposizione andò storta e partorì un orribile mostro ibrido, del quale ancora oggi non possiamo fare a meno. Il telefilm Love Me Licia, fu così fortunato da avere ben tre sequel (ora le chiameremmo stagioni): Licia dolce Licia (1987), Teneramente Licia (1987) e Balliamo e cantiamo con Licia (1988). Il corpo drammatico dell’opera si basava sull’amore tra la rockstar Mirko e la ragazza acqua e sapone di umili origini Licia (nell’originale Go e Yakko), con tutto un bagaglio di conflitti generazionali propri della crescita personale, le dinamiche della band, le amiche traditrici ecc.
L’adattamento dei nomi, già nel cartone animato fu fatto un po’ a cazzo, e quindi ci trovammo di fronte alcuni personaggi italiani (Mirko, Licia, Andrea, Giuliano, Marika), altri giapponesi (Satomi), qualche inglese (Sam, Steve, Shiller) e gli ultimi semplicemente inventati alla buona (Marrabbio, Lauro).
Il cartone si svolge a Tokyo, dove Licia (Luciana è il vero nome, non scherzo) lavora al Mambo, il ristorante giapponese del padre Marrabbio che ha sempre e solo due clienti, un paio di vecchi di nome Sam e Lauro. Mamma morta o non pervenuta. Un giorno di pioggia, incontra un bambino con la testa enorme ed il suo gatto parlante. Andrea e Giuliano. Scopre che il ragazzino ipercefalo è il fratellino di Mirko, il cantante della band new wave / synth pop /new romantic Bee Hive. S’innamora di lui (del cantante, non dell’infante disgraziato), poi mille peripezie, concerti, primi baci, prime notti di sesso, l’amore anche con Satomi, il padre repressivo, l’affetto per il bambinello infelice, le canzoni dei Bee Hive cantate da Enzo Draghi.
Il cartone giapponese recava l'atmosfera notturna, metropolitana, i vestiti glam, gli orecchini alla Boy George, i capelli strani, gli ormoni impazziti. Un cartone animato che trasudava sesso droga e rock’n’roll. La trasposizione televisiva però ripulì tutti questi aspetti e ci restituì un cast da brividi: Cristina D'Avena nella versione pre Instagram hot era Licia e vestiva come una suorina laica con pezzuole in testa e abiti cripto tirolesi. Ella cantava nella band di Mirko ovvero Pasquale Finicelli, vestito come un impiegato del catasto ma con i capelli biondi col ciuffo rosso. Sebastian Harrison, già ex di Lori Del Santo erra Satomi, il tastierista flautista mentre Marco Bellavia era Steve, il bassista con gli occhiali da sole sempre calati sul naso in stile Dargen D'amico. Il più figo della baracca.
Se il cartone animato era già di per sé qualcosa di terrificante, ancor di più lo erano le canzoni dei fake Bee Hive italiani, che pubblicavano anche dischi molto venduti. Se nel cartone animato le musiche sono prese pari pari da quelle giapponesi, alle quali viene appiccicato sopra un testo a caso di Alessandra Valeri Manera che viene cantato da Enzo Draghi, e non da Pasquale che interpreta Mirko, la svolta vera e propria avviene coi telefilm, in cui senza più l'appoggio del pop rock di matrice nipponica, i Bee Hive diventano un mostro informe in stile Pooh che vira sempre più verso il neomelodico e il gigidalessismo.
Se fortunatamente dopo qualche anno la fine degli Ottanta rigetta il fenomeno Bee Hive, alcuni irriducibili nostalgici attori del telefilm più altri musicisti aggiunti formarono la vera band Bee Hive Reunion, in cui canta il vero Mirko, cioè Pasquale Finicelli, alla batteria c'è il vero Matt cioè Manuel De Peppe e alle tastiere il vero Satomi, cioè Sebastian Harrison e Luciano De Marini, il vero Paul alla chitarra. Hanno girato l'Italia in tour con le canzoni dei telefilm e pure pubblicato un singolo tremabondo dal titolo Don't Say Goodbye, che fortunatamente non ha attecchito nelle menti delle nuove generazioni. Che sia questa la fine della band più assurda mai concepita?
---
L'articolo I Bee Hive hanno anticipato ogni nostro incubo musicale di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2022-10-04 13:18:00
COMMENTI (1)
Mica facile essere gentile con chi ricorda un passato fatto solo per essere dimenticato... Comprensibile solo per chi lo ha vissuto: chissà cosa penseranno i cciovani.