“Rose Rosse per te ho comprato stasera, e il tuo cuore lo sa cosa voglio da te”. Le parole di Ranieri risuonano dalle casse, mentre le ultime persone arrivano trafelate per colpa del caldo romano. Qualche grido impaziente si fa strada dal parterre al minimo accenno di movimento.
Ancora prima che le luci si spengano, cinquanta figure dalle lunghe tuniche bianche salgono sul palco, iniziando ad intonare fra loro un coro, quasi una messa, mentre visual di angeli caduti compaiono sullo sfondo. Qualche istante di buio. Poi, Blanco.
Vent’anni e il primo stadio, già colmo di gente. Vent’anni e sessanta dischi di platino. Vent’anni, il più giovane ad aver mai suonato all’Olimpico.
Siamo coetanei, e questa è anche l’età della maggior parte dei presenti; bisogna ammettere che un’impresa del genere sarebbe potuta riuscire solo allo 0,001% di noi, e la conferma si trova in Riccardo Fabbriconi.
Senza neanche una parola, Blanco apre subito le danze con Anima Tormentata, e quel ritornello, “Cosa mi scorre nelle vene? Adrenalina Pura. Ho il cuore di gomma, ma pompa così forte che non sento la paura” non potrebbe adattarsi meglio alla situazione. Sul palco è affiancato da ottimi musicisti, Carmine Landolfi (batteria) ed Emanuele Nazzaro (basso). Ad infiammare però le dinamiche è il sodalizio con Michelangelo, produttore e polistrumentista che è riuscito a trovare il sound giusto per conquistare un Paese intero.
Da subito, grazie alle scenografie pensate dallo stesso artista insieme a Fabio Novembre e al suo Studio, il palco diventa una cattedrale gotica, con vetrate-schermi che accolgono immagini, frammenti, opere d’arte, collage, volti - realizzati da Galattico - immersi nell’immaginario dell’ultimo disco, Innamorato (scritta che tutta la sera campeggia luminosa sull’impalcatura). Luci basse, neon, video in diversi formati pensati per ogni brano della scaletta. È uno spettacolo teatrale a tutti gli effetti e l’attenzione al dettaglio diventa fondamentale, ma il vero collante è lo sguardo innamorato del pubblico che non perde neanche per un istante l’attenzione.
Dopo l’Isola delle rose, questa volta cantata dall’inizio alla fine senza tragedie floreali - sono certa di aver sentito i fiorai di Roma tirare un sospiro di sollievo - Blanco si mostra sempre più a suo agio. Ammicca alla telecamera, la segue, la assalta, ascolta il suo pubblico, ringrazia in modo sincero per tutto quello che ha ottenuto, sprona i presenti a credere nei propri sogni.
Il registro del live cambia all’improvviso quando viene acceso un falò sul palco. Dimenticate Wonderwall o Battisti alla chitarra, la nuova frontiera delle serate acustiche in spiaggia sembra essere proprio il repertorio di Blanco riarrangiato, come nel caso di Innamorato. È un momento personale, dolce, ma visto il carisma dell’artista anche con il palco svuotato si evita l’effetto karaoke.
Non possiamo negare che qualcuno nasca con un’evidente attitudine per il palcoscenico, ma questo è quasi un caso estremo. Sembra come se tutti quei volti sul prato fossero solo uno, e Riccardo si trovasse a raccontare le sue fragilità in una notte come tante, bevendo una birra insieme agli amici di sempre.
Improvvisamente, dopo la calma, una tempesta improvvisa. Rave nella cattedrale: arriva Mace a riscrivere il sound del concerto e con La Canzone Nostra mette subito in chiaro chi dobbiamo ringraziare peri il definitivo successo di Blanco, consacrato dal suo fiuto per le bombe pronte ad esplodere.
Non poteva mancare poi il feat più recente: su Bon Ton arrivano Lazza e Drillionaire, causando un aumento indescrivibile degli hertz delle onde sonore producibili da un pubblico umano.
Qualcuno potrebbe trovare strano il non costellare la scaletta di featuring in un’occasione del genere, ma si tratta di una scelta perfettamente sensata. L’Olimpico è una prova, un salto nel buio per un artista così giovane, ma prima di tutto si tratta del proprio personale momento di realizzazione. Tanta la fatica, certo, ma questo è il suo momento, e Blanco sa di potersi permettere un live di dure ore perché ha abbasta attitudine da gestirlo senza annoiare mai.
Se qualcuno avesse dubbi sulla prestanza fisica di Riccardo, la conferma di convincenti skills nel parkour arriva quando scende dal palco saltando tutte le transenne per gettarsi in mezzo al pubblico (che non realizza bene e nel dubbio a sua volta gli salta addosso): fa salire poi tre fan sul palco, per far provare loro un minimo dell’emozione che un’intera folla con le torce accese, tra parterre e gradinate, può provare. “Roma, mortacci tua” dice guardandosi intorno.
Prima di avviarsi al finale, su Mezz’ora di sole viene circondato da un’orchestra intera di venticinque elementi, che riempie con un pathos non indifferente l’Olimpico, confermando la doppia dimensione del live, diviso tra quelle fiamme che più rappresentano l’artista, il suo carattere, e la volontà di creare una dimensione mitica che va oltre il pop da classifica, perfettamente funzionante in un contesto già di per sé mastodontico.
Per concludere, è inevitabile far saltare tutti con i brani più rappresentativi, da Paraocchi a Notti in bianco, per arrivare a quella Mi fai impazzire che ha portato alla definitiva esplosione lo stadio prima dell’ultimo saluto con Vada come vada.
È difficile rendere con le parole una dimensione live così complessa e sfaccettata; poteva trasformarsi in una disastrosa "sconfitta" e invece è stata una cartina tornasole, testimonianza di quanto nonostante il successo improvviso e l’età, ci troviamo davanti ad un artista che riesce a raggiungere vette altissime e non ha paura di continuare la scalata. Insomma, citando uno sconosciuto ventenne che ha appena fatto diverse decine di migliaia di spettatori: Blanco, mortacci tua, sei stato bravo sul serio.
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L'articolo Blanco, mortacci tua, sei stato bravo sul serio di LucreziaLauteri è apparso su Rockit.it il 2023-07-05 11:38:00
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