Nel passaggio di millennio, dal punto di vista musicale, c’è stato un prima e un dopo: prima, gli ultimi cantautori pop. Dopo, l’esplosione del rap, onda anomala che ha travolto tutto per almeno un decennio, per poi tornare a spartirsi spazi e mercato musicale con il pop cantautorale e non. C’è tutta una generazione cresciuta in questo limbo, che poi quando ha iniziato a fare musica ha portato nella propria produzione l’unione di queste influenze d’ascolto, costruendo un linguaggio misto tra cultura hip hop, con i suoi codici, i suoi suoni e le sue metriche, e la forma canzone canonica.
Di questa formazione ibrida tra apocalittico e integrato è figlio Bolo Mai, promessa di Carosello. Nato Jean Michel Sneider (romano, ma "cittadino del mondo"), il suo nome d'arte non ha nulla ha che fare con la città di Bologna, ma nasce da alcune cravatte texane (dette "bolo ties") regalategli dalla nonna dopo un viaggio oltreoceano.
È del 1993: aveva 7 anni all’esplosione dei LùnaPop – tra le sue maggiori influenze, a detta sua, insieme a Dalla, De Gregori, 883 e Beatles – ed entrava nell’adolescenza mentre il rap smetteva di essere nicchia e diventava un mercato di riferimento in Italia. Anni da driver e runner sui set cinematografici, prima di iniziare a comporre colonne sonore per cortometraggi e, per ultima, la soundtrack di Maschile Singolare di Alessandro Guida e Matteo Pilati.
Il mondo musicale di Bolo Mai è perfettamente racchiuso in Ago e filo, l'ultimo singolo. Una composizione scura, ma comunque pop, che si intreccia con metriche quasi in extrabeat. Con una precisione icastica (quasi da sceneggiatura cinematografica), il giovane artista racconta una relazione in cui la fiducia è ancora tutta da guadagnare: se è vero che lo sguardo è animale e il corpo è illegale, è la musica governare, con le sue leggi superiori. Così, tutto il castello di illusioni nel gioco della seduzione crolla, proprio quando la donna destinataria alle attenzioni di Bolo Mai ammette di non saper ballare.
Il ritornello: "Chissà se mi posso fidare / Di una che resiste a un twist" è praticamente uno slogan: il ritmo come condizione necessaria e non sufficiente alla corporalità più fisica, la parte più carnale dell’attrazione. Anche quando ad attrarsi sono due caratteri opposti, ma complementari, proprio come un ago e filo.
Il linguaggio scivola di continuo tra il pop cantautorale di un Fulminacci più dark e il gusto radiofonico di Stromae, con extrabeat ed espressioni gergali mutuate dal vocabolario rap e incastrate in una forma semplice. Happy Perché e Medusa (i singoli precedenti ad Ago e filo, ndr) sono molto più urban e presentano in alcuni passaggi addirittura venature rock. Per questo creano un corto circuito tra forma e contenuto, comunque funzionale a un risultato che mette in relazione le diverse influenze dell’artista.
A vent’anni dal passaggio di millennio, ora che gli anni zero sono revival, cogliamo i frutti del momento in cui i due universi – l'ultimo cantautorato pop e l’esplosione del rap – hanno colliso. E hanno generato una nuova scrittura cantautoriale, di cui Bolo Mai è assolutamente figlio. Così com'è figlio dei propri ascolti e delle proprie esperienze: dal passaggio di millennio alla gavetta sul set, lui (come altri artisti) incarna a pieno la definizione di millennial. Non tanto per aver vissuto il passaggio tra un secolo e l’altro, ma soprattutto per aver saputo mescolare ciò che c’era prima con ciò che è stato dopo.
---
L'articolo Bolo Mai è la vera conseguenza del Millenium Bug di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2021-08-04 11:30:00
COMMENTI