Il grunge non esiste più. Ovviamente e per molte ragioni. Prima di tutto, molte delle maggiori band che hanno dato vita a quella eccitante stagione della musica americana a cavallo tra gli anni '80 e i primi '90 o si sono sciolte per i più disparati (Screaming Trees, Hole, Sonic Youth) e spesso tragici (Nirvana, Soundgarden, Blind Melon) motivi, o sono sopravvissute a sé stesse viaggiando su binari meramente derivativi o vagamente differenti (Pearl Jam, Alice In Chains, L7). I pochi gruppi ancora in vita rimasti fedeli alla linea (anche quando la linea non c'è, è caso di dirlo) di quel sound e dello spirito di quell'epoca saltellano tra etichette maggiori e altre minori certi di non restare mai a piedi. Sempre supportate a dismisura, per i meriti reali o solo per mal celato affetto, passano oramai come vere e proprie icone del Rock (Mudhoney, Dinosaur Jr., Melvins).
Ma non è solo una questione di band o sound. È anche, se non soprattutto, una questione di mercato e di strutture. Il grunge, quale massima espressione di quel network musical-affaristico che si è definito come fenomeno underground degli anni '80 e mainstream (almeno) nella prima metà del decennio successivo, non è mai stato un mero evento sonoro e basta, ma da sempre, se non anzitutto, un fenomeno globale, un atteggiamento di mercato che, al pari dell'epopea beat trent'anni prima, ha tratteggiato la vita, nella mentalità e nelle azioni, di milioni di adolescenti e post-adolescenti – o almeno soprattutto quelli – in ogni dove. Le principali etichette che hanno spinto e promulgato il “verbo” del grunge sono da tempo in crisi (chi ha detto Sub Pop?) o si ritrovano da anni a ripetere la stessa solfa senza trovare nuovi nomi emergenti o fresche idee forti (chi ha detto Touch And Go?)... O viceversa, limitandosi perlopiù a campare come brand, come logo, per tracolle, magliette e toppe indossate ad memoriam o come feticcio estetico.
Il “grunge”, musicalmente parlando, come influenza, invece, non è né in crisi né morto, per nulla affatto. Lo dimostrano, tanto per citare degli esempi recenti e limitandoci alla nostra angusta penisoletta, con l'aggiunta di volere fare dei nomi diversi dai soliti, le ultime produzioni di: Mendoza, Somnambulist, Thelegati, Megaride, Tü, Isaak e Marrano. Band che hanno saputo sfornare negli ultimi mesi alcune tra le più interessanti variazioni “all'italiana” di quello che oramai viene chiamato, a grandi linee da Guilty Of Everything dei Nothing in poi, post-grunge. E chi sa quanti altri ce ne saranno che non sono passati dalle mie camere.
D'altro canto, il grunge, come suono o immaginario collettivo, non è entrato in crisi neanche con il pubblico: infatti, sfruttando alla grandissima i flussi e i riflussi storici, come il sempiterno amore per il vintage e per i classici (e Smells Like Teen Spirit oramai lo è tanto quanto l'odiata Hotel California degli Eagles) è sempre stato come la risacca che, respinta da un ostacolo, si scontra con l'onda successiva in arrivo, dando origine a un frangente. Ciò che è in crisi, insomma, non è il grunge come suono o “mood” o tanto meno memoria storica, quanto come movimento inter-musicale, opzione di mercato e pure ipotesi strutturale. Il vuoto che si è aperto nella musica (ampiamente detta) rock a causa dello sgretolamento del grunge è stato tutt'altro che irrilevante. Non esiste a oggi altra tendenza o scuola in grado di riempire lo spazio culturale e affettivo lasciato vacante dal grunge, né sul piano delle idee, né tanto meno su quello degli affari. Si vive, in altre parole, di briciole.
È quindi rivolto a noi, estimatori del genere fin dal suo concepimento e veri indagatori curiosi dell'intero fenomeno, ma anche a chi all'epoca non c'era, il libro a cura di Giacomo Graziano: Gli anni del grunge - Italia, 1989 - 1996 (Gli scrittori della porta accanto, 210 pag. con appendice fotografica). Un volume di superficie, certo, ma non superficiale, che non tratta la calata dei (barbari) Tad in Italia, da Mezzago a Roma, piuttosto che le visite delle L7 a Milano e Babes In Toyland a Torino, così come mancano tutti i figli d'un grunge minore (Paw, Sponge, Love Battery, Failure, Red Kross o almeno gli Afghan Whigs fino a Gentlemen) che pure dall'Italia sono passati e hanno avuto un loro pubblico e una loro aneddotica non per forza meno interessante di quella dei soliti noti.
Tuttavia, i venti autori riescono a centrare almeno in parte lo spirito dell'epoca, soprattutto in ciò che è stato il lato emotivo di molti. I racconti significativi ci sono così (quasi) tutti: dal concerto dei Nirvana annullato a Torino a Dave Grohl che chiede gli accrediti per gli amici a Bologna, manca un Vedder esagitato al City Square ma ci sono i Pearl Jam al Sorpasso che registrano a porte chiuse per Video Music, Layne Staley e Mark Lanegan sullo stesso palco, Tunnel e la Dandini, e via ricordando; tutto non dimenticando il luogo dove il tutto avveniva: ossia la nostra Italia assai spesso mediocre, frustrante, rallentata, provinciale e, manco a dirlo, calciofila. Pur con tutta la poesia di un mondo non ancora intaccato dal web, se si supera lo scoglio iniziale e ci si toglie la corazza da duri e puri, la lettura va avanti piacevole e coinvolge, convincendo a lasciarsi andare in questa spirale di disagio, guai di ogni genere e foggia, insoddisfazione sociale, compagnie più o meno tossiche, famiglie apprensive e una voglia di rivalsa collettiva sulle note di un genere e un movimento che ha fatto, senza ombra di dubbio, la storia.
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L'articolo Briciole di grunge di Redazione è apparso su Rockit.it il 2023-05-08 14:59:00
COMMENTI (3)
commento il "un'Italia mediocre e frustrante, pericolosamente simile a quella di oggi". Quando nel settembre del 1991 andai da Virgin in piazza Duomo a Milano per acquistare la musicassetta di Nevermind, il gentile commesso disse che l'album degli Iguana non era ancora disponibile (forse conosceva il primo gruppo di Iggy Pop, di certo misconosceva il gruppo di KC)... in effetti gli Iguanas produssero un album antologico nel 1996, ma nel frattempo il grunge era morto, il post-rock aveva già ampiamente rotto il cazzo e Prodi aveva battuto Berlusconi alle elezioni politiche. L'Italia era mediocre per tantissimi motivi, vero. Lo è ancora, altrettanto vero. Ma che senso ha scrivere che quell'Italia era pericolosamente simile a quella di oggi? Il movimentismo politico "extraparlamentare" (mi si passi il termine) era vivo e pimpante, e tale sarebbe rimasto fino ai fatti di Genova del 2001. Qualcuno trova traccia seppur minima, oggi, di quel fermento?
@iosonopony ovviamente OK, se si parla per opinioni ma, ti piaccia o meno, ad avere più di 40 anni e aver vissuto il periodo non per sentito dire, sia i primi che i secondi vennero abbondantemente inseriti nel filone, come prime mover o ciò che vuoi, ma questo fu, sic et simpliciter. Negare che Rockerilla nel '94 titolava Back To Grunge i loro articoli, o che Scaruffi scrivesse di J Mascis come colui che "inventò comunque uno stile che divenne uno stereotipo dell'era grunge" è un po' come voler riscrivere le cose, come quelli che dicono che Sandinista! dei Clash non fu mai criticato. Anzi che non ho messo i Meat Puppets, per dire. Poi, se per te Dirty vale tanto quanto gli sbracciamenti per Rather Ripped e Where You Been quanto per I Bet On Sky, se per te hanno lo stesso valore artistico e/o storico, ripeto, son più che altro opinioni. Più o meno. Un saluto...
Sonic Youth citati come esponenti del grunge, Dinosaur Jr idem e inoltre tacciati di essere “supportati a dismisura”.
OK.