Il primo messaggio è di N. e arriva 20 minuti circa dopo la mezzanotte, mentre Intermezzo 3, una sorta di colonna sonora per un Drive ambientato sul GRA, sta scivolando via dalle cuffie: "Calcutta cuore". Pochi minuti dopo è il turno di una sentenza spietata da F.: "Mi spiace dirlo: brutto" (avrà poi modo di aggiustare il tiro). Poi ne arrivano ancora altri, nel frattempo le storie su Instagram iniziano già a fioccare, c'è chi condivide anche più di un brano per volta, come a voler dire: "Oh raga ma avete visto che è tornato o no???". Cinque anni dopo Evergreen e anticipato da una performance vista da uno spiraglio è il momento di Relax, un nuovo disco di Calcutta. Come succede ogni volta che il Frosinone sale in serie A.
Non mi era mai capitato di percepire così forte il chiacchiericcio per un disco appena uscito dalle persone attorno a me, e con appena intendo qualche minuto dopo averlo pubblicato. Oltre a un discorso di bolla c'è dentro una questione generazionale, quella di chi aveva appena messo un piede nei vent'anni quando Mainstream – difficile immaginare un titolo più profetico – accelerava la piccola grande rivoluzione di passaggio dall'indie all'itpop e si ritrova oggi con lo spaventoso traguardo dei trenta che si avvicina inesorabile. Nel mezzo che è successo? Abbiamo cercato di tirare il fiato tra una emergenza sanitaria e l'altra.
Caricare Edoardo di aspettative così forse è ingiusto, al tempo stesso sembra inevitabile farlo. Calcutta è stato in qualche modo un elemento portante della colonna sonora pre-pandemica. Era una possibilità nell'età delle possibilità, un "farcela" come mai avevamo visto negli ultimi anni: uno che fino al giorno prima girava con l'ormai mitologico pacchetto di plastica ben confezionato dai Camillas – che non manca di omaggiare in Loneliness citando i "divani degli altri" –, il giorno dopo faceva sold out all'Arena di Verona.
Cinque anni di silenzio – se escludiamo una manciata di singoli e collaborazioni sparse – si fanno sentire, eccome, soprattutto cinque anni in cui tutto è stato ribaltato come questi. Ritrovare Calcutta ora è ritrovare una speranza che avevamo messo da parte, di quelle che sono rimaste cristallizzate nel mondo di prima, automaticamente migliore di quello che ci troviamo in mano oggi grazie al portentoso effetto che il filtro nostalgia fa sul passato. Il fatto che non ci riporti lì dovrebbe essere più un sollievo che una delusione.
Ora siamo tutti un po' più grandi, e almeno alcuni di noi, come Calcutta, più maturi. Relax in questo senso è significativo: gli arrangiamenti danno una veste sempre diversa ai suoi brani, ricoperti di synth che rimandano tanto al Lucio con la B. quanto a quello con la D., la voce che si spinge con coraggio in alto, il buio della disillusione e le ombre di malinconia che si stagliano sopra di noi a ricordarci che "sembriamo tutti falliti", come lo spietato grido di dolore della struggente Tutti fa (cosa che non è solo il canto disperato di fronte alla fine di una relazione, ma un senso più profondo di universale relazione problematica con il concetto di successo). Eppure c'è qualcosa che manca.
Qualcuno direbbe le hit, intese come un senso di immediatezza a cui i dischi di Calcutta ci hanno abituato, ma anche il fatto che non ci siano stati singoli ad anticiparne l'uscita sembra rivelare qualcosa. I suoi album hanno sempre avuto la capacità di avere almeno un paio di pezzi che si imprimessero al primo ascolto, qui invece prevale un discorso più ampio di flusso. Lo suggerisce lo stesso titolo: prima abbiamo trovato il Mainstream, poi si è trasformato in Evergreen, ora si chiede Relax, lasciando che queste canzoni si sedimentino dopo più ascolti. C'è qualcuna che in questo senso ci prova più delle altre, come il ritornello catchy di 2minuti, la morbidezza di Giro con te, dove si sente l'aura di Giorgio Poi – tra i produttori del disco assieme a Myd, Suri e lo stesso Calcutta – ancora più del brano co-scritto da lui, Ghiaccioli, o ancora la già citata Tutti, che non a caso vede lo zampino di Petrella.
Qua le canzoni sono tutte mediamente belle, con qualche pezzo meno riuscito (Loneliness in particolare) a fare da parentesi tra i piccoli gioielli che crescono a ogni ascolto. Niente che abbagli di colpo, più qualcosa da cui lasciarsi a poco a poco assorbire. La vena soul di Preoccuparmi ha quell'ambizione di uscire dal tempo, il passo lento di Allegria... ci porta a guardare in faccia i nostri rimpianti dentro una stanza vuota, ma anche l'apertura del disco con Coro ha il suo fascino, con il suo stare in bilico tra canto alpino, giocosità fanciullesca e cuore spezzato.
È in questo processo di fermentazione dell'ascolto che si cela l'aspetto più interessante del disco, che incidentalmente è musicale fino a un certo punto: Calcutta riesce a tenerci lì, a chiedere e ottenere la nostra attenzione con poche manifestazioni della sua presenza. È un cantautore che suscita reazioni, fa ragionare su tutto ciò che è il contesto dentro cui si muove, ha una capacità di creare dibattito senza essere lui al centro, sfuggente com'è, quanto la sua musica. Ora chiede uno sforzo in più, ha dato abbastanza per meritarsi che gli venga concesso.
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L'articolo Calcutta, “Relax” e il peso delle aspettative di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2023-10-20 09:00:00
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