Women of the world take over 'cause if you don't the world will come to an end. And it won't take long.
C’è un senso di opportuna meraviglia che cresce, smisurato nota dopo nota e amplificato dalla ripetizione, durante l’ascolto della prima traccia di "Eureka", album del 1999 di Jim O’ Rourke. Il pezzo di cui parliamo è "Prelude To 110 Or 220/Woman Of The World", rielaborazione sontuosa di una poesia del poeta e cantante scozzese Ivor Cutler. Il poema, messo in musica nel 1983, è un commovente inno di lode al potere e all’emancipazione femminile che O’Rourke reitera a mo’ di mantra arricchendo l’arrangiamento con controcanti, cori, archi, pianoforti, batteria: l’effetto è a dir poco coinvolgente e l’intreccio armonico e melodico fa assurgere il breve poema sia a slogan politico da cantare che ad un manifesto artistico.
Ma che c’entra Jim O’Rourke, vi chiederete. Be', mi piace pensare (per assurdo) a questa canzone come ipotetico pezzo di uscita per il concerto avvenuto nel Teatro Quarto di Milano e immortalato nell’album "Alle Sorelle Ritrovate", edito dalla leggendaria Cramps col sottotitolo "Canzoni Femministe 1975". Sì, me lo immagino come una sorta di marcia trionfale che accompagna Antonietta Laterza, voce e autrice dei pezzi, e Nadia Gabi, chitarra.
Siamo nel 1975 e il movimento femminista in Italia, sull’onda delle rivendicazioni figlie della controcultura sessantottina, inizia a svilupparsi dal punto di vista identitario. Concetti come liberalizzazione e indipendenza del ruolo della donna, neanche lontanamente accettati solo una decade prima, si fanno sempre più forti e trovano eco nelle voci delle tante ragazze e donne presenti a manifestazioni, impegnate in collettivi o politicamente attive negli atenei universitari. Non solo è aspramente criticato il modello patriarcale legato allo stereotipo maschilista: ciò che si mette in discussione è il ruolo della donna, da sempre vista all’ombra del ruolo di madre e moglie.
In linea con lo spirito del celebre "Manifesto di rivolta femminile" del 1970 di Carla Lonzi (autrice, peraltro, di "Sputiamo su Hegel", reo di aver teorizzato l’inferiorità della donna nella sua "Fenomenologia"), si colloca "Alle sorelle ritrovate", lavoro che rielabora i cavalli di battaglia classici della lotta femminista integrandoli con quelli degli anni ’70 - l’aborto (legalizzato solamente nel 1978) e la liberalizzazione della contraccezione - e diventa, pertanto, colonna sonora della coscienza femminista italiana. Prendete le canzoni "Noi Siamo Stufe" o "Aborto sacrificio", ad esempio. Nella registrazione del concerto, Antonietta Laterza introduce quest’ultimo brano dicendo che l’aborto, anche se scelto e praticato nelle migliori condizioni, è una violenza terrificante. Il brano è di una potenza incredibile: inizia come una ninna-nanna in minore, proprio a ribaltare il significato del famoso verso “questo bimbo a chi lo do” ed esordisce con le parole “ora che ho seppellito l’urlo sotto il forcipe sghembo”. Ricordiamo che proprio nel ’75 il tema della legalizzazione dell’aborto iniziava a ricevere l’attenzione dei media, soprattutto dopo l’arresto dei radicali Gianfranco Spadaccia, Adele Faccio ed Emma Bonino, attivi in quegli anni anni a dare vita al CISA (Centro d'informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto).
I pezzi che troviamo in "Alle sorelle ritrovate", oltre a essere di un’importanza cruciale per la diffusione dei concetti femministi, possono essere paragonati a tutti gli effetti al filone folkloristico medievale: Antonietta Laterza, autrice, cantante e attrice teatrale, compie un’operazione sostanzialmente simile a quella del cantastorie andando a elaborare temi e storie tradizionali della cultura femminista e reimpastandoli con eventi della contemporaneità. È così che le canzoni di questo album nascono per essere destinate a un tramandamento di tipo orale: tema principe è la "rabbia di donna che si ritrova vittima e complice di un orgasmo sfuocato e di solitudine", riprendendo proprio la canzone di cui sopra; orgasmo proprio dibattuto nell’ironica "Il complesso" (la registrazione comprende anche un piacevole siparietto a mo’ di sfottò del "merlo maschio") che si riallaccia allo scritto della sopracitata Lonzi, "Sputiamo su Hegel" il cui sottotitolo era proprio "La donna clitoridea e la donna vaginale": sostanzialmente Laterza mette in musica l’andante ponziano "il piacere vaginale non è per la donna il piacere più profondo e completo, ma è il piacere ufficiale della cultura sessuale patriarcale" coniando il calzante "per noi godere vuol dire avere potere".
Credo fermamente che “avere potere” sia un’ottima traduzione a quell’enorme termine che è empowerment: empowerment tra donne che si amano come in "Simona" (che include il verso meraviglioso "due donne non possono smarrirsi negli occhi/ Simona, un uomo col cappello c'è sempre che ci trascina con sé"), quasi a musicare il motto “il femminismo è la teoria, il lesbismo è la pratica”; empowerment della donna che si rispecchia, diventando al tempo stesso altro, nella figura della madre in "Cara Madre", quasi una ripresa della teoria contenuta nel "Seminario XX" del psicoanalista francese Jacques Lacan: il processo di riconoscimento e presa di distanza della propria immagine avviene non solo in un luogo immaginario, il famigerato Altro, ma soprattutto in un corpo, nello specifico quello della madre ("Cara madre/così grassa e sconfitta/ho rifiutato la tua immagine/mi sono emancipata/amore libero parità/il '68 la fabbrica il corteo"); empowerment atteso e voluto con il sangue e con le unghie, come canta Laterza in "Cento Migliaia di Anni": dopo centomigliaia di anni ricomincia la nostra storia.
E allora, donne di tutto il mondo, prendete il controllo perché se non lo fate il mondo finirà. E non ci metterà tanto tempo.
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L'articolo Ho imparato cos’è il femminismo grazie ad un disco di Valentina Ziliani è apparso su Rockit.it il 2016-01-11 08:09:00
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