Autunno 2012, appena sbarcato a Torino faccio la conoscenza di una allegra compagnia con la quale poter esplorare la città. In quegli anni la città della mole era in continuo fermento artistico e culturale, dove i festival erano costanti e in un club come l’Hiroshima potevi vedere i Black Rebel Motorcycle Club a due metri da Robert Levon Been. Pensate che c’erano ancora i Murazzi...
In questa frenesia della scoperta i miei amici mi portano una sera in un locale. "Un locale nuovo", mi dicono. Scendiamo il lato destro dei Murazzi e veniamo inghiottiti dalla folla urlante e scalmanata. I buttafuori erano forse più numerosi dei passanti e ogni tanto uscivano da uno dei locali trascinando a forza un tipo molesto.
Superato un groviglio di ragazzi il mio amico indicando un palazzone oltre il Po mi fa "è quello il posto, diofa sbrighiamoci che si mette a piovere". Attraversiamo il ponte del Valentino e iniziano a caderci addosso secchiate d’acqua indescrivibili. Corriamo più forte, superiamo il cancello, scendiamo la scalinata e c’infiliamo in quello che ora è l’ingresso artisti del Cap10100.
Ci scrolliamo l’acqua di dosso e veniamo pervasi da profumo di cibo e un vociare scrosciante più della pioggia, in sottofondo una batteria a cassa dritta suonava ovattata. Una scala completamente ricoperta da murales ci rapiva gli occhi. "Non avevamo soldi per dipingere tutti i muri e quindi abbiamo chiamato dei writer e gli abbiamo detto: 'divertitevi!'" mi racconterà poi la direttrice artistica e madre del Cap Valentina Gallo durante la nostra intervista.
Ritornando a quella sera, l’ambiente era uno spazio fatto da miriade di stanze e stanzette, più la grande sala dove si esibivano le band. I murales erano fighissimi ed erano ovunque. In alcune stanze si cucinava polenta col ragù e io da meridionale che non l’aveva mai mangiata, l’apprezzai, ma purtroppo raga non mi piace granché.
C’era gente che dipingeva, gente che magnava, gente che si dimenava sotto il palco con la band che spaccava. Insomma era una comunità più che un locale. E non dimenticherò mai per tutta la vita quella sigaretta fumata sul davanzale fissando un Po bruciato dalla pioggia battente.
Sapevo che ci sarei ritornato e così è stato, per 10 anni. Il Cap 10100 è diventato in questo tempo uno dei punti di riferimento artistici della città. Ha superato difficoltà immani come la chiusura per due anni a causa di un cavillo burocratico nel 2017, una chiusura ben peggiore della pandemia per Valentina e la direzione. Eppure questo marzo, senza più distanziamento, sono andato al al Cap10100 a godermi i Savana Funk dal vivo, un concerto fighissimo ed una band che dal vivo regala emozioni e fa divertire.
Quando arrivo per l’intervista incontro Valentina e Antonia Peressoni, responsabile della comunicazione, arrivata dopo la riapertura del 2019 e "già parte della famiglia" mi confessa sorridente Valentina. Il posto è completamente nuovo e tirato a lucido rispetto al 2012, "una ristrutturazione da 500 mila euro" mi spiega Valentina.
Gli chiedo di raccontarmi un po’ della storia del locale e scopro che ha un passato da proletariato urbano niente male. Negli anni è stato infatti più volte un dopolavoro della fiat oltre che un teatro, un cinema, una fabbrica e la sede di una delegazione straniera durante le Olimpiadi del 2006.
"Il Cap10100 è lo specchio di un luogo che nasce nel 2004 dall’idea di un progetto che avevo presentato a giovani idee e che avevo chiamato progetto Panteatro, ovvero un teatro contenitore di tutte le arti… romanticheria!", mi racconta Valentina con un filo d’ironia. In realtà Il Cap è esploso con la musica ma questo è avvenuto quasi collateralmente. "L’idea era quella di provare ad unire un pò tutte le varie forme artistiche per tornare a un teatro, adesso la dico grossa, un teatro shakespeariano, un teatro del popolo, dove la gente viene col panino in mano, un teatro come luogo, non come prosa. Poi non potevamo sapere che la città avesse così bisogno di uno spazio per la musica. Noi siamo stati inondati il primo anno da band che volevano suonare, devo dire la verità molto meno da compagnie di danza o teatrali".
Già dal primo anno la musica arrivò al Cap10100 insieme a Musica 90 con l’after party conclusivo dell’ultima edizione del mitico Traffic Festival, un’evento rimasto nella storia per l’esibizione dei Daft Punk nel 2007 e che ogni anno portava a Torino artisti incredibili. La svolta è arrivata però con l’INRI fest del 2013. "Ricordo che arrivo qualcuno della INRI, vide lo spazio e disse 'No vabbè figata! Facciamoci un’INRI festì e da li è arrivato l’Indie e anche i grandi nomi come Verdena, Levante, Niccolò Fabi, The Giornalisti, Willy Peyote eccetera".
Tutto insomma andava a gonfie vele prima del 2017. "Noi eravamo in auge, lavoravamo come i pazzi, avevo 20 dipendenti con contratto subordinato tutti under 35, gente che si è fatta il mutuo perché questo posto galoppava. Poi l’ufficio dove lavoravamo noi era affidato a un’altra associazione, bastava spostare l’associazione al piano di sopra: ci hanno 2 anni di tempo".
Pensate a un locale di queste dimensioni chiuso per due anni: "300 mila euro di debito, mi hanno pignorato la casa due volte e due volte sono riuscita a salvarla. Ho pagato gli stipendi a 15 persone per sei mesi perché mi dicevano che il problema si sarebbe risolto. Alla fine ho dovuto licenziarli tutti spendendo altri 30 mila euro".
Prosegue il suo racconto: "Ovviamente ci siamo difesi con gli avvocati, la nostra avvocata, Nita Marafiotti, citala ovunque perché al di là di fare un’azione di psicoterapia su di me che ogni volta arrivavo e volevo ammazzare la gente, ci ha permesso di andare avanti". Nonostante le difficoltà il Cap ha retto, hanno trovato finanziatori ed ora ospitano diverse realtà del territorio "ad esempio la fabbrica delle bambole, Pepper lab, la fondazione Operti che fa inserimento lavorativo per i ragazzi con disabilità. In pratica il Cap è un hub anche se quello che salta all’occhio è la musica, gli spettacoli e le feste".
La pandemia invece è stata superata grazie "alla squadra del cap che in realtà è una famiglia. Innanzitutto i posti apicali sono femminili e questa cosa mi dispiace ma è una garanzia di qualità. Una donna per arrivare dov’è deve faticare il triplo rispetto ad un uomo e quindi semplicemente diventi più brava. Inoltre la Compagnia di San Paolo questa volta ha fatto un lavoro che è stato fondamentale nelle regioni dove opera e, prima col bando Rincontriamoci e poi col bando Space ci ha permesso di avere quei mezzi necessari a riflettere, a non essere disperati e a non avere la luce staccata. La pandemia ci ha fatto pensare a come rendere il Cap ancora più inclusivo e migliore del passato".
Continuando la chiacchierata non potevamo che toccare un tema caldo per la città di Torino come l’Eurovision 2022. Un tema che effettivamente “scalda” anche Valentina "Per noi è stata come un’astronave scesa dall’alto dei cieli e com’è scesa se ne è andata. La verità è che dal comune di Torino non c’è visione d’insieme dal punto di vista culturale. Sono stati sponsorizzati teatri e chiese e non i club che fanno musica in città, noi come altri club non siamo stati coinvolti per niente".
Le chiedo infine cos’hanno in mente per i festeggiamenti dei 10 anni. "Tante fotografie giganti con i ricordi più belli del Cap e poi tanti live in quella che sarà una festa di tutti quelli che vivono il cap". Quando le cerco di scucire qualche nome in programma scuote la testa sorridendo e mi confessa "durante la pandemia abbiamo fatto una scelta sulla linea da seguire dopo questi 10 anni e ti dico che non vogliamo posizionarci più nel puro indie pop ma stiamo cercando di cambiare. Insomma, se dobbiamo scegliere tra un ukulele ed una chitarra elettrica il Cap10100 è il posto delle chitarre elettriche in questo momento".
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L'articolo Cap10100: il "teatro popolare" di Torino compie 10 anni di Pantaleo Romano è apparso su Rockit.it il 2022-06-03 09:27:00
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